Un riepilogo della prima parte della stagione NBA 2016-2017, in bilico tra realtà e fantascienza, protagonisti con super poteri e colpi di scena: come nelle migliori serie tv e saghe cinematografiche.
di Michele Sarda – La boa di metà stagione coincide per convenzione con l’All Star Weekend, che culmina con la gara di esibizione tra i migliori giocatori delle due conference e che quest’anno si terrà dal 17 al 19 febbraio a New Orleans. Tuttavia, da un punto di vista matematico e tenendo conto soltanto della regular season, le squadre raggiungeranno quota 41 partite giocate (su 82) proprio in questi giorni. Proviamo a fare un bilancio di quanto successo ai protagonisti principali di questa prima parte di stagione, visto che alcuni potrebbero anche non raggiungere i playoff.
Westworld
Abbiamo assistito finora a una serie di prestazioni individuali che definire mostruose sembra un eufemismo. La Western Conference sembra ancora una volta superiore alla Eastern per concentrazione di talento, tant’è che elencare tutti i giocatori meritevoli di una menzione sarebbe impossibile. Partiamo da qui: il 5 dicembre Klay Thompson, sulla carta solo il terzo violino dei Golden State Warriors, ha segnato 60 punti. Sì, ma in 29 minuti di utilizzo, palleggiando 11 volte in totale, tenendo la palla in mano 1 secondo e mezzo di media e realizzando il 64% dei tiri presi. Una prestazione storica sotto così tanti punti di vista da far girare la testa.
Poco meno di un anno fa lo stesso Thompson aveva stabilito il record di punti segnati in un solo quarto, a quota 37. Il suo amico d’infanzia Kevin Love dei Cleveland Cavaliers ne ha messi a referto 34 nei primi 12 minuti, il 23 novembre 2016: seconda prestazione di sempre, prima se si prende in considerazione soltanto il quarto di apertura.
James Harden degli Houston Rockets sta collezionando cifre da capogiro: primo nella classifica degli assist con 11,7 a partita, terzo realizzatore con 28,6 punti di media, secondo (…) per triple doppie collezionate a quota 12 (si ha una tripla doppia quando un giocatore raggiunge quota 10 o più in 3 voci statistiche, di solito punti, assist e rimbalzi). Lo abbiamo addirittura visto difendere forte, non proprio il suo tratto distintivo più famoso. Sarà anche per questo che i suoi Rockets sono terzi a Ovest. Harden ha chiuso il 2016 con una partita assurda, da 53 punti, 17 assist e 16 rimbalzi:
Di solito in una stagione NBA si verificano 35 triple doppie in tutto. L’anno scorso, come anche nel 2015, a guidare la classifica è stato Russell Westbrook degli Oklahoma City Thunder, con 18. Bene, siamo a metà stagione e Westrbook ne ha già collezionate 20… Oscar Robertson nella stagione 1961-1962 ha viaggiato a 30,8 punti, 11,4 assist e 12,5 rimbalzi a partita, unico nella storia a chiudere con una tripla doppia di media. Finora le cifre di Westbrook in questa stagione: 30,8 punti (primo in assoluto), 10,7 rimbalzi (undicesimo e primo tra le guardie) e 10,5 assist (secondo). Sui risultati (Oklahoma è solo settima a Ovest) e il suo atteggiamento si può discutere all’infinito. È tuttavia innegabile che in una lega di mostri, superuomini e freak assortiti, lui sia il più mostruoso e inspiegabile di tutti. Guardarlo giocare è un mistero al cui fascino non si riesce a resistere, che il risultato poi sia il fastidio o l’ammirazione, o entrambe, o una volta una e poi l’altra. Non si possono prevedere le sue azioni: Westbrook è una pila di energia entropica sempre a massimo voltaggio, può produrre risultati diversi, catastrofici o entusiasmanti, a ogni suo gesto. È così ipercinetico da sembrare un cartone animato e farti venire il mal di testa. Il suo dinamismo bruciante, la sua resilienza ossessiva, il caos tutt’altro che calmo che lo pervade, lo fanno apparire ultraterreno. A volte sembra davvero che abbia un’aura magnetica attorno che gli permette di piegare il mondo al suo volere, che giochi in preda a un’ebbrezza febbrile che lo porta a rifiutare i concetti stessi di forza di gravità, stanchezza o sconfitta.
Mentre assistevo a tutto questo, mi sono appassionato a Westworld, e mi sono detto: “Westbrook sembra uno di quegli androidi”. Poi, però, nelle vacanze di Natale mi sono guardato tutto “Dirk Gently” su Netflix. C’è questo personaggio che mi ha affascinato tantissimo: Bart, un’assassina olistica che segue imperturbabile il corso degli eventi uscendo indenne da ogni situazione per quanto improbabile. Ecco, quando cerco di spiegarmi Russell Westbrook mi ritrovo a pensare che sia l’assassino olistico del basket moderno.
Stranger Things
Che Westbrook fosse capace di simili prestazioni non è però una sorpresa, soprattutto considerando lo spazio apertosi quest’estate dopo il passaggio di Kevin Durant ai Warriors. Thompson, Harden, Love: anche loro bazzicano i piani alti della lega da anni. C’è poi tutto un sottobosco meraviglioso di volti nuovi e di nomi meno conosciuti, di giovani giocatori in rampa di lancio o altri con più esperienza che stanno vivendo la migliore stagione in carriera. Dopo una partenza in sordina rispetto alle aspettative, i Boston Celtics si trovano al terzo posto nella Eastern Conference guidati da un folletto alto 1 metro e 75 a nome Isaiah Thomas. Scelto nel 2011 alla sessantesima e ultima scelta assoluta dai Sacramento Kings, sembra spinto da un’insaziabile volontà di rivalsa, di dimostrare che sottovalutarlo per i suoi deficit fisici è stato un errore. Un po’ alla Tyrion Lannister, per capirci. Il 30 dicembre ha messo a referto così il suo massimo in carriera per punti:
Guardando questi highlights o quelli di Harden, provate a soffermarvi su un particolare: nella NBA di oggi si tira soprattutto da oltre l’arco dei 3 punti o da sotto canestro, i jumpshot dalla media distanza sono sostanzialmente diventati un’opzione d’emergenza per quando qualcosa nel gioco chiamato è andato storto, e in generale il ritmo è in costante crescita.
È un trend che va estremizzandosi di anno in anno, eppure il miglior marcatore del miglior attacco della stagione (finora addirittura migliore di sempre, e nonostante il ritmo bassissimo e la prevalenza di schemi in isolamento rispetto a contropiede o transizione) è DeMar DeRozan (quinto in assoluto con 28,2), una guardia tiratrice le cui statistiche di tiro appaiono così:
Non soltanto tenta di segnare da oltre l’arco dei 3 punti soltanto 1,5 volte a partita, ma lo fa con il 24,1% di realizzazione, a favore di una mole di tiri da dentro l’area da 3 punti che non ha eguali. D’altronde i Raptors sono pieni di tiratori affidabili, in primis Kyle Lowry (44,5% da 3), con il quale DeRozan ha sviluppato una chimica anche al di fuori del campo, elemento non da sottovalutare tra quelli che permettono ai Raptors di appartenere all’élite della lega. E poi quando vai a canestro così (e quando va male ti guadagni 2 degli 8,9 tiri liberi che conquisti a partita) chi te lo fa fare di tirare da lontano?
Animali fantastici e dove trovarli
Ci sarebbe già abbastanza carne al fuoco per considerare la stagione 2016-2017 di particolare interesse. Eppure c’è una sorta di smania diffusa che striscia tra gli appassionati, legata a una masnada di ragazzi di età inferiore ai 23 anni che stanno facendo scintille e che rendono elettrizzante il pensiero di cosa possa succedere nelle stagioni future. Alcuni di loro stanno giocando molto bene ma stanno rendendo al di sotto di aspettative in alcuni casi troppo eccessive, vedi Anthony Davis a New Orleans, il trio Towns-Wiggins-Lavine a Minnesota e il lettone Porzingis a New York, altri invece continuano a stupire senza sosta.
Per esempio c’è un ragazzo che dopo essere stato scelto alla numero tre dai derelitti Philadelphia 76ers (che ormai di aspettative da rispettare non ne avevano più) ha dovuto saltare due stagioni per gravi infortuni: Joel Embiid ha finalmente messo piede in campo, ed è un gran bel vedere. Le cifre parlano di 19,6 e 7,6 punti a partita, già ottime per una matricola (migliore tra i rookie), ma che contestualizzate fanno paura. Visto il recente passato fatto di guai fisici, l’organizzazione dei 76ers ha deciso di non esagerare con l’utilizzo e di limitare il suo utilizzo a non più di 25 minuti a partita, rispettando inflessibilmente questa decisione anche quando significa privarsi del proprio miglior giocatore nei momenti chiave. Personalmente faccio coincidere il 23 novembre con il momento in cui mi sono detto “questo è da tenere d’occhio”…
La partita è al secondo supplementare, ma Joel ha superato il limite di minuti e non può più rientrare. Nella sua reazione di stizza ho visto la voglia di competere e la sete di gioco che contraddistinguono i grandissimi giocatori. Aiuta poi a ricordarsi il suo nome il fatto che si senta parlare di lui a ogni sua trovata stravagante. Solo le ultime: l’altra sera è entrato in campo imitando la star del Wrestling Triple H, mentre qualche giorno prima ha festeggiato la vittoria allo scadere contro i New York Knicks ballando con le cheerleader.
Sostanzialmente era dai tempi di Shaquille O’Neal che alla lega mancava un giullare vero, solo che stavolta il giullare ha dalla sua anche l’arma dei social media. Su twitter era un mattatore assoluto già prima di iniziare a giocare, adesso ha chiesto a tutti di votarlo per garantirgli la prima partecipazione all’All-Star Game, da cui dipende una serata romantica con una celebrità.
Qualcuno invece rischia di non ricevere i voti che merita perché ha un nome inusuale, che gli americani fanno molta fatica a pronunciare e ancora di più a scrivere: Giannis Antetokounmpo. Con una storia straordinaria alle spalle, il greco chiamato The Greek Freak (soprannome che ha preso piede anche per la complessità del cognome) è l’animale più straordinario tra tutti gli animali straordinari che popolano la NBA. Il coach dei suoi Milwaukee Bucks, Jason Kidd, gli ha sostanzialmente consegnato le chiavi della squadra facendolo giocare stabilmente nel ruolo di playmaker, e il risultato è galvanizzante.
Al di là delle cifre sontuose, al di là di proporzioni fisiche post-vitruviane/aliene/robotiche (alto 2 metri e 11, con un’apertura alare di 2,14 e delle mani che misurano 30 cm), al di là dei risultati della squadra (quinti a Est) e soprattutto al di là dell’età (22 anni) e delle vertigini conseguenti alla proiezione futura delle sue potenzialità, è l’eccitazione che assale chi lo guarda giocare e i suoi stessi compagni che fa pensare di stare assistendo allo sviluppo di un giocatore senza precedenti.
Una serie di sfortunati eventi / Black Mirror
Sotto le vette della lega infuria una tempesta infinita di storyline, alcune sceneggiate dal caos in persona, altre scritte con grande tecnica ma senza guizzi di spettacolarità che finiscono per passare inosservate. Nel primo caso viene spesso da chiedersi cosa diavolo stia succedendo a squadre come Sacramento, dove la stella DeMarcous Cousins alterna atteggiamenti discutibili in campo e fuori, soprattutto nei confronti dei giornalisti che oramai non fanno più nulla per nascondere la loro frustrazione nei suoi confronti.
Non dissimile la situazione a New York, dove i Knicks fanno parlare ma sempre per i motivi sbagliati.
Il 10 gennaio il redivivo Derrick Rose non si è presentato alla partita casalinga contro New Orleans senza avvertire la squadra. A quanto pare è dovuto andare a Chicago a trovare la madre per motivi di salute, ma sono emerse voci di tutti i tipi, anche su una sua eventuale decisione improvvisa di ritirarsi. Carmelo Anthony dovrebbe essere il leader della squadra, ma solo nelle ultime due partite ha reagito non proprio da trascinatore della franchigia dopo aver subito il canestro decisivo senza difendere abbastanza ed è stato fischiato dai suoi stessi tifosi (anche se non si tratta dei più pazienti o tolleranti).
Sembrava finalmente la stagione del riscatto per Rajon Rondo, al suo primo anno ai Chicago Bulls, e invece le voci di un suo possibile trasferimento si fanno sempre più forti, soprattutto dopo la decisione di coach Hoiberg di lasciarlo in panchina per 5 partite consecutive, anche nella serata in cui venivano distribuiti ai tifosi i pupazzetti bobble-head che lo ritraevano. Sul versante opposto ci sono squadre che stanno ottenendo risultati per certi versi inaspettati ma che in assenza di superstar assolute non ottengono la visibilità che meriterebbero. Gli Utah Jazz sono quinti nella iper-competitiva Western Conference, hanno la migliore difesa della lega concedendo solo 94,8 punti a partita agli avversari, e hanno da poco battuto per la sesta volta di fila i campioni in carica di Cleveland:
I Memphis Grizzlies da qualche anno a questa parte riescono a stupire con prestazioni eccezionali grazie alla loro consueta attitudine al gioco duro e grintoso. Nella partita del 6 gennaio hanno battuto per la seconda volta in stagione i Golden State Warriors, primi assoluti, recuperando da un deficit di 24 punti:
Nel nostro recap non abbiamo parlato per scelta di molte squadre che di sicuro avranno comunque un ruolo di prim’ordine nella seconda metà di stagione. Una delle domande che ci siamo posti a inizio stagione è stata: “Riusciranno i Golden State Warriors a integrare Kevin Durant in un sistema già funzionante?”. Le statistiche sembrano rispondere sì, ma il campo ha talvolta fatto emergere qualche dubbio sullo stato delle gerarchie interne, talvolta in maniera quasi clamorosa come nel caso della partita contro i Grizzlies di cui sopra: ultimi possessi decisivi, il leader dello spogliatoio, il numero 23 Draymond Green, sulla carta il quarto miglior giocatore in squadra, chiede insistentemente che venga chiamato uno schema che non coinvolga solo il giocatore con la palla, questo non succede e dopo essersi sbracciato si sistema immobile sull’angolo, quasi per protesta, poi non risparmia una ramanzina dai toni sostenuti proprio alla superstar Durant:
È stata finora una stagione ricca di plot-twist appassionanti, caratterizzata dalla crescita di personaggi inaspettati: una “serie” che crea dipendenza; ed il bello è che siamo soltanto all’inizio.