David Lynch e il suono dell’incubo

In occasione della rivisitazione d’autore della colonna sonora di Twin Peaks ad opera degli Xiu Xiu e dell’imminente rilancio della serie tv che ha segnato nel profondo una generazione, ripercorriamo la carriera del suo demiurgo David Lynch, soffermandoci sul rapporto del rivoluzionario regista americano con le colonne sonore e la musica in generale. 

Macchinari siderurgici nel soggiorno; lamenti di spiriti tormentati nei cassetti; una surreale angelica cacofonia ci fa commuovere. Oggi ci chiediamo: che segno lascia l’eclettico e multiforme artista David Lynch sulla storia della musica?

I cortometraggi – La prima esperienza felice del giovane pittore Lynch con la regia comincia dal suono; se già nell’installazione (e poi cortometraggio) Six men getting sick (Six times) c’è già una componente sonora, questa è limitata al loop continuo di una sirena proveniente da una cassetta registrata. Il successo dell’opera, una spontanea combinazione di diverse forme artistiche che contiene già in nuce elementi fondamentali della poetica lynchana, lo spinge a trasferire le proprie capacità di artista visivo su pellicola. Siamo alla fine degli anni ’60 e la spesa per una piccola 16mm a manovella è gravosa per David, studente squattrinato dell’accademia d’arte della Pennsylvania, oltretutto giovane sposo e con un bambino in arrivo. Solo il contributo spassionato di un amico gli permette, dopo un tentativo fallimentare, di realizzare il corto di culto The Alphabet, nel quale proprio la neonata figlia Jennifer è integrale al processo creativo e sonoro: il pianto della bimba viene registrato dal padre su un registratore rotto, e l’effetto che emerge risulta perfetto per l’atmosfera da incubo che pervade l’opera. E’ il primo di una lunga serie di ‘incidenti felici’ che manovrano il flusso creativo del vulcanico artista, da sempre pronto a cogliere i segnali del proprio ‘destino manifesto’. Con il successivo cortometraggio The Grandmother inizia la collaborazione con Alan Splet, il sound designer e folle compagno di sperimentazione che accompagnerà Lynch per i successivi lavori – primo fra tutti il titanico esordio Eraserhead (1977).

La mente che cancella – Per essere emerso dal mondo delle arti visive Lynch è incredibilmente attento all’aspetto sonoro dei propri film; anche nel minimalismo industriale della colonna sonora di Eraserhead egli stesso ammette che si cela una componente importante del fascino della pellicola. Il progetto partorito da Lynch è un piccolo squarcio su un mondo surreale; una industria, le misere abitazioni che la circondano, una realtà disumana dove il perenne mormorìo industriale pare l’elemento più coerente e sensato in mezzo alle angosce e follìe dei suoi abitanti. Il suono è fondamentale nel rendere confusa la distinzione tra interni ed esterni, e contribuire così sottilmente al senso di smarrimento e inquietudine che ci invade durante la visione – una posizione, quella di disagio, nella quale Lynch ama far scivolare il proprio pubblico, dalla quale può manovrarlo più liberamente. Rannicchiati dal nostro angolino dal quale guardiamo angosciati al mondo, nella medesima posizione del nostro protagonista Henry (Jack Nance), ci troviamo improvvisamente sollevati dalla semplicità angelica del canto della ‘ragazza nel radiatore’ (lady in the radiator – Laurel Near), che con la sua interpretazione di In Heaven (canzone appositamente composta da un altro amico di Lynch, Peter Ivers)  porta uno squarcio di luce in questo mondo sinistro. Lei è il primo dei personaggi  dell’altro mondo, quelle figure mitiche, sovrannaturali, tipicamente lynchane che ci aprono uno squarcio su una dimensione parallela, poi meglio esplorata in particolare con Twin Peaks.

Gli esseri umani sono come piccole fabbriche. Generano così tanti piccoli prodotti. L’idea di qualcosa che si forma dentro, e tutti questi liquidi, e sincronismi e cambiamenti, e tutti questi elementi chimici che in qualche modo catturano la vita, ed emergono e si dividono e si trasformano in qualcos’altro… è incredibile.

Human beings are like little factories. They turn out so many little products. The idea of something growing inside, and all these fluids, and timings and changes, and all these chemicals somehow capturing life, and coming out and splitting off and turning into another thing… it’s unbelievable.

(David Lynch, Lynch on Lynch, FSG New York, p. 103)

L’incontro con Angelo Badalamenti – Siamo nel pieno della produzione di Blue Velvet e Isabella Rossellini, nonostante la passione dimostrata per il progetto, ha difficoltà a calarsi nel personaggio di Dorothy Vallens; in particolare nella scena della propria esibizione canora allo ‘Slow Club’, dove deve interpretare proprio la ballad anni ’50 ‘Blue Velvet’, nella versione di Bobby Vinton (il pezzo fu però scritto da Bernie Wayne e popolarizzato da Tony Bennett nel ’51). Fred Caruso, produttore del film, interviene a risolvere l’impasse che tormenta Lynch: “David, non sta funzionando. Che ne dici se chiamo il mio amico Angelo?”. Un incredulo e nervoso Lynch risponde: “Cosa ti fa pensare che chiamare questo tuo amico possa fare qualche differenza?”. L’incontro con il compositore italo-americano Angelo Badalamenti è uno dei momenti fondamentali nello sviluppo artistico di Lynch; Angelo è forse la figura più insostituibile nel suo universo creativo, il cosiddetto ‘Lynchland’.

cf04c73ec3969afff93596a00f9e3880Isabella Rossellini è Dorothy Vallens in Blue Velvet (1986); alle sue spalle, in secondo piano, Angelo Badalamenti, in un cameo come pianista dello ‘Slow Club’.

Un orecchio mozzato in un campo; una cantante tormentata da un folle aguzzino; juke box, crooners, il rock’n’roll, Elvis Presley. Blue Velvet nasce da una intuizione musicale, e la musica è l’ossigeno del film; non a caso David Lynch individua l’eye of the duck scene della pellicola nell’indimenticabile performance canora di Ben (Dean Stockwell) e Frank (Dennis Hopper) di In Dreams‘ di Roy Orbison. Angelo Badalamenti avrà un ruolo ben più ampio del ‘tutor’ musicale della Rossellini, e firmerà le splendide musiche del film; ma, più della colonna sonora originale, sono i perfetti matrimoni tra la pellicola e alcune canzoni non originali a sorprendere pubblico e critica. Lynch, che con il precedente Dune (1984) aveva toccato il punto più basso della propria giovane carriera, riesce a rialzarsi e a essere riconosciuto come un regista unico, inimitabile, che necessita di libertà creativa (fino ad allora limitata da due grandi produzioni come Elephant Man e Dune) per esprimere il proprio estro. Blue Velvet è una dimostrazione di talento indiscutibile e il secondo film puramente ‘lynchano’ a proseguire nella poetica iniziata con Eraserhead; libero da imposizioni produttive lo sguardo di David ritorna sui piccoli sobborghi americani, sul marcio che striscia sotto a piccole storie quotidiane, sull’inquietudine di una terra sospesa nel tempo – come in un sogno.

La eye of the duck scene’, come teorizzata ed espressa da David Lynch stesso in numerose interviste, è una sequenza che non potrebbe avere altro posizionamento all’interno del film: non per ragioni di sceneggiatura, ma piuttosto per permettere la piena comprensione del tessuto simbolico degli eventi. Proprio come l’occhio di un’anatra rispetto al corpo del pennuto stesso, dice Lynch, tale scena è troppo ‘veloce’ per essere posizionato in una qualsiasi altra posizione della pellicola.

“Come The wizard of Oz sceneggiato da Franz Kafka” –  Così descrive il romanziere americano J.G. Ballard la visione di Blue Velvet. Una descrizione più che perfetta, persino profetica. Nel successivo lungometraggio di Lynch, Wild at Heart (1990), l’iconico musical della MGM è una delle principali fonti di ispirazione. D’altronde molti dei classici ingredienti lynchani sono già lì: una idea coloniale e idilliaca dell’America, il viaggio in una dimensione parallela, la distorsione del quotidiano che diventa straniero e inquietante, nonché una centralità del canto e della musica. E’ tutto già presente, quiescente nella mente di Lynch, pronto a riemergere nel momento in cui si avvia a adattare per il grande schermo il best seller del momento – appunto, ‘Cuore Selvaggio’ (Wild at Heart, 1989) di Barry Gifford. Nella versione di Lynch – benedetta da Gifford stesso – ecco allora che ritroviamo streghe – tra le quali Glinda la strega buona del nord che interviene a risolvere il finale, il cane Toto, versioni da incubo dei compagni di viaggio di Dorothy, elementi che omaggiano direttamente il colossal di Fleming del 1939. E soprattutto tanta musica; la colonna sonora è nuovamente di Angelo Badalamenti, ma c’è anche la prima incursione di Lynch in generi musicali contemporanei, con la presenza della band speed metal Powermad che in uno dei momenti più alti della storia del cinema accompagnano Sailor (Nicolas Cage) nella sua emozionante interpretazione di Love Me, di Elvis Presley – una serenata da altro mondo per la sua principessa Lula (Laura Dern).

Il vento tra i boschi e i semafori appesi – Il primo periodo d’oro di Lynch, che culmina con la vittoria della Palma d’Oro a Cannes 1990 per Wild at Heart (presidente della giuria di quell’anno è Bernardo Bertolucci), è iniziato però qualche mese prima, con l’incredibile e inaspettato successo della serie tv co-creata assieme a Mark Frost: Twin Peaks. In due anni (tra il 1990 e 1991) e trenta episodi questa misteriosa e innovativa commistione di crime story e soap opera incanterà il mondo intero, e lascerà un segno indelebile non solo nelle produzioni televisive ma nell’intera cultura pop del decennio. Il nuovo media con cui Lynch deve interfacciarsi, affrontandone tutte le limitazioni tecniche, rende ancora più fondamentale la riuscita dell’incantesimo che lega le musiche di Angelo Badalamenti alle immagini che invadono le case di milioni di spettatori differenti. La scoperta del corpo di Laura Palmer (Sheryl Lee), la telefonata tra i suoi genitori, la cascata della segheria come i fiumi di lacrime che scorrono nel primo episodio: nulla di tutto ciò può vivere senza gli iconici temi musicali composti da Badalamenti. Il processo compositivo, che coinvolge ambedue gli artisti, inizia solo dopo la conclusione delle riprese del pilot, e il primo pezzo ad essere scritto è ‘Falling’, il tema principale che troviamo nei titoli di testa. Ma è la nascita di ‘Laura’s Theme’ a essere ricordata con più commozione da Lynch stesso. “Angelo, that’s so beautiful! I can’t tell you how beautiful that is!” si ricorda di aver esclamato, in lacrime, mentre Badalamenti modellava alla tastiera quell’iconico crescendo musicale ed emotivo che accompagnerà i momenti più struggenti di Twin Peaks.

La musica è matematica divina, collante dello sconfinato universo mitologico del quale Twin Peaks è solo un piccolo frammento, uno spiraglio su questo mondo – al contempo familiare e alieno – dal quale ci è concesso, almeno per un po’, di spiare. Ma questo spiraglio inevitabilmente deve chiudersi: la seconda stagione di Twin Peaks, dopo la rivelazione della identità del killer di Laura che la rete impone a Frost e Lynch, vede un sensibile perdita di ascolti. Per quanto Twin Peaks abbia ancora un ottimo bacino di pubblico la rete americana ABC perde fiducia nel progetto, complice la latitanza di Lynch dalla direzione della serie e il conseguente calo di qualità generale nella scrittura degli episodi. David ritorna per dare al suo progetto la chiusura che merita – se di chiusura possiamo parlare. Lo schockante finale dell’ultimo episodio mantiene vive le braci che riscaldano l’amore di milioni di spettatori per Dale Cooper (Kyle MacLachlan), lo sceriffo Truman (Michael Ontkean), la bella Audrey (Sheryl Fenn) e tutti gli altri indimenticabili protagonisti di questa storia. Venticinque anni dopo – come la stessa Laura Palmer aveva promesso all’agente Cooper nel telefilm – stiamo per tornare nel mondo di demoni, torte alla ciliegia e damn good coffee della cittadina di Twin Peaks, Washington. Nessuna altra serie tv può vantare un ‘cult following’ di tale potenza e dimensioni; e nel lungo periodo di silenzio tra la seconda e terza stagione (attesa a fine primavera 2017), mentre decine di serie tv nascevano debitrici all’opera di Lynch e Frost, anche le musiche di Angelo Badalamenti lasciavano un segno indelebile sulla storia della musica. La sua base jazz ha contribuito radicalmente alla nascita di un intero genere, il dark jazz (basti pensare a gruppi come il The Dale Cooper Quartet che omaggiano con orgoglio questa discendenza); e il suo incontro con la personalità vocale eterea e presenza on-stage spettrale della cantante e attrice Julee Cruise (che ritroviamo in alcuni episodi a cantare ammirata dai giovani ‘motociclisti-esistenzialisti’ del telefilm), seppur avvenuto già durante la lavorazione di Blue Velvet, raggiunge con Twin Peaks il suo apice creativo, ed è tutt’oggi fonte di ispirazione per un gran numero di cantautrici (tra le più note probabilmente Lorde, Lykke Li, Zola Jesus e Lana del Rey).

Xiu Xiu plays the music of Twin Peaks – La rivisitazione di Jamie Stewart & co. delle musiche di Angelo Badalamenti nasce su commissione della Australia’s Gallery of Modern Art ma diviene presto un successo internazionale; gli Xiu Xiu sono attualmente in tour a promuovere l’album – il 10 dicembre nella sala grande del cinema Massimo di Torino grazie a Kadmonia, Superbudda e Museo del Cinema, e l’11 dicembre al circolo Serraglio di Milano.

Fuori dagli schermi – La collaborazione tra David Lynch e Julee Cruise non si è limitata alle performance di quest’ultima per film o serie televisive. Nello stesso frenetico periodo in cui Lynch sta controllando la produzione di Twin Peaks e terminando le riprese di Wild at Heart, la Brooklyn Academy of Music gli propone di portare uno spettacolo musicale originale sul palco del McCoy theatre. Lynch e Badalamenti ne compongono le canzoni, ma è Julee Cruise la star di questa rappresentazione creata in sole due settimane e intitolata Industrial Symphony n. I: Dream of the Broken Hearted. Lo spettacolo inizia da una telefonata tra una ragazza e un ragazzo: sono Laura Dern e Nicolas Cage, ripresi durante la lavorazione di Wild at Heart e proiettati per introdurre la tematica principale – quella dell’abbandono. Il ragazzo lascia la ragazza; lei ha il cuore spezzato; si addormenta, e dal suo sogno emerge lo spettacolo (nel quale sarà anche presente Michael J. Anderson, l’attore affetto da osteogenesi che ritroviamo sia in Twin Peaks che successivamente in Mulholland Dr.). Molte delle tracce contenute nello show si ritroveranno in due album della Cruise (Floating into the Night e The Voice of Love). Nonostante l’opera non sia emersa dall’oscurità dei teatri newyorkesi segnala il crescente interesse di Lynch per la musica come espressione musicale a sè stante, che si evolverà in suoi progetti musicali: il primo cronologicamente è l’album BlueBOB del 2001, con John Neff. Con il nuovo millennio e il diluirsi dei propri impegni per cinema e televisione, Lynch è tornato su progetti più piccoli e personali; dopo una serie di singoli e collaborazioni, nel 2011 e 2013 rilascia i primi due album ufficiali (rispettivamente Crazy Clown Time e The Big Dream, quest’ultimo il primo album di soli brani originali).

L’ultima fuga psicogenica – Sulla fine del secolo scorso Lynch ha ‘pescato‘ ancora dall’oceano musicale; l’ispirazione per il film Lost Highway del 1997 emerge dall’ascolto di ‘I’m deranged‘ di David Bowie e Brian Eno, di due anni precedente. I fari di un’auto nell’oscurità; il lamento crooner di Bowie; l’incalzante base di tastiere e percussioni elettroniche. Lo sposalizio è fecondo, e da questo seme germoglia rapidamente nella mente di Lynch l’idea per uno dei suoi film più complessi e profondi. Il pezzo di Bowie sarà posizionato durante i titoli di testa e di coda – come se tutto il resto del film fosse contenuto al suo interno. Che Lost Highway abbia una relazione privilegiata con il mondo della musica è esplicitato anche nella trama, dove Bill Pullman interpreta Fred Madison, un sassofonista jazz-avantgarde ossessionato dalla gelosia e incapace di soddisfare la moglie. Badalamenti e Lynch decidono di abbandonare le soluzioni elettroniche e, cercando un suono più autentico negli archi (amatissimi da Lynch, ammiratore in particolare del compositore polacco Krzysztof Penderecki), si stabiliscono a Praga per lavorare con l’orchestra di Stephan Konicek. Come se non bastasse Lynch si rivolge a Trent Reznor, al quale chiede di collaborare alla parte non-originale della colonna sonora, come il leader dei Nine Inch Nails aveva già fatto in precedenza per Natural Born Killers (1994). Reznor avrà una importanza anche più ampia del previsto, andando a comporre appositamente i due brani ‘The Perfect Drug’ e ‘Driver Down’. L’ultimo aneddoto riguarda la partecipazione dei tedeschi Rammstein alla colonna sonora del film; Lynch racconta di “questa band tedesca che continuava a mandarmi cd e io non li ascoltavo. E un giorno, ancora una volta per destino, avevo appena finito la sceneggiatura, mi siedo ad ascoltarli e bang! Non vedevo l’ora di metterli nel film.” Nel film finiranno due brani della band industrial metal (l’eponimaRammstein e ‘Heirate Mich’), ma la loro musica, perennemente sparata a tutto volume durante le riprese, influenzò il mood dell’intera pellicola – ad oggi probabilmente l’operazione più ambiziosa e totale dell’artista David Lynch.

 

XIU XIU PLAYS THE MUSIC OF TWIN PEAKS
Sala grande del Cinema Massimo, Torino, 10 dicembre 2016
Circolo Serraglio, Milano, 11 dicembre 2016