Paper Girls Vol 1: cosa resterà di questi Anni ’80?

La graphic novel Paper Girls – edita da Bao Publishing – omaggia gli Eighties e strizza l’occhio a cult di oggi (Stranger Things) e di ieri (Stand By Me) ma si rivela molto di più di un semplice prodotto revivalistico. 

di Isabella Parodi  –  Se lo chiedeva anche Raf nel 1989. Cosa resterà degli anni ’80? Di quel decennio glitterato e inarrestabile, ma anche sporco, edonista e falsamente ingenuo? Quell’universo intrinsecamente pop che si allontana sempre più nel tempo e che forse per questo sembra gridare sempre più forte dal passato per farsi sentire. Sicuramente ci sono le orecchie giuste ad ascoltare, perché mai come negli anni zero (ormai dieci) il mondo ha assistito a simili bombe di revival. Pensiamo al successone estivo di Netflix Stranger Things o allo spielberghiano Super8. Pensiamo all’uscita del Nintendo Classic Mini!

Grazie alla Bao Publishing (per intenderci, la stessa che pubblica Zerocalcare) è uscita la versione italiana di Paper Girls, esempio più che esplicito di revival anni ’80 su carta, concepito da Brian K. Vaughan e Cliff Chiang, già ben rodati nel mondo delle graphic novel.

Le Paper Girls sono le “ragazze del giornale”, quelle che consegnano quotidiani in sella alle loro bici, lanciandoli sugli zerbini delle villette nei quartieri residenziali americani: un’immagine quasi onirico-televisiva appartenente a quello stile di vita a stelle e strisce che qui conosciamo senza tuttavia averlo mai fatto nostro. Ed è proprio durante una consegna di giornali come un’altra, nella vigilia di Ognissanti del 1988, che le dodicenni Erin, Mac, Tiffany e KJ si ritrovano ad affrontare la versione horror-fantascientifica dell’Apocalisse, tra uomini in tute bianche (alias scienziati di E.T.) che vengono dal futuro, enormi bestie simili a creature preistoriche e umanoidi deturpati.

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«La sensazione è quella di trovarsi più di fronte a qualcosa di cinematico, grazie soprattutto ai disegni di Vaughan e Chiang, dinamici e curati nel dettaglio, con un’attenzione particolare all’utilizzo dei colori (spesso fluo come luci al neon) e della luce, qui assimilabile alla fotografia di un film»

Alcuni dicono che Paper Girls sia un po’ la versione rosa di Stranger Things. Peccato che le quattro protagoniste abbiano ben poco di rosa e siano pronte a papparsi i mocciosetti di Netflix in un boccone: sono ragazze dure, di quelle che la sanno lunga. Vanno in giro in giubbotto di jeans e stivali da uomo, sigaretta in bocca e walkman nelle orecchie. Se è vero che questo comic attinge dalle dinamiche sdoganate da Stand by me,  gli autori danno in realtà vita a personaggi che si discostano del tutto dai topoi stabiliti per i pre-adolescenti dal duo degli eterni bambini King – Spielberg. Non sono più i perdenti di IT o i teneri Goonies amanti di storie di pirati e avventure alla Indiana JonesDi quell’universo più edulcorato resta altro, la parte più visceralmente vera: lo scontro generazionale, il costante diverbio tra ragazzini disillusi e un mondo che non li capisce.

In questo primo volume c’è però qualcosa in più. Sono subito gettate le basi per una critica concreta al vuoto edonismo di quel controverso decennio (in realtà esistente tuttora, solo meno spudoratamente kitsch). Non a caso, in mezzo all’accozzaglia di citazioni pop non mancano i riferimenti biblici, il terrore dell’oblio, del castigo divino, della perdita di ogni cosa.
In questo senso, il ricorso alla fantascienza mostruosa in stile Guerra dei Mondi (cui si fa riferimento esplicito nel volume) prende una strada autonoma rispetto ai già citati esempi. Mostri e alieni ci aiutano ad astrarci dal quotidiano e a guardare oltre, amplificando i temi centrali della serie: la condotta umana e il tempo, inteso come susseguirsi di generazioni, sia in piccolo (bambini, ragazzi, adulti, vecchi) che in grande (la storia dell’uomo). Per questo diventa centrale il viaggio nel tempo: c’è chi è tornato dal futuro per chiudere i conti ed “epurare” (gli adulti già arresi e punitori) e chi invece per cambiare le cose (gli adolescenti che ancora hanno speranza). E guarda caso, tutti parlano lingue diverse e nessuno riesce a comprendersi.

«Non solo un avventuroso sguardo al passato a scopi di entertainment, ma anche un’analisi di noi stessi come esseri umani»

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La sensazione, leggendo, è quella di trovarsi più di fronte a qualcosa di cinematico, grazie al realismo dei contenuti e soprattutto dei disegni di Vaughan e Chiang, dinamici e curati nel dettaglio, con un’attenzione particolare all’utilizzo dei colori (spesso fluo come luci al neon) e della luce, qui assimilabile alla fotografia di un film.
Al di là dei generi, Paper Girls è quel prodotto considerabile già cult. E non necessariamente perché ci sono gli anni ’80 di mezzo e tutto ciò che viene dagli anni ’80 è per definizione cult, bensì perché più che in un (seppur godibilissimo) Stranger Things, qui si indaga esplicitamente sul recupero nostalgico dei ricordi dalla nostra memoria collettiva. In poche parole, si fa ricorso alla nostalgia (e al rimorso) per parlare di nostalgia.

Non solo con un avventuroso sguardo al passato a scopi di entertainment, ma anche con un’analisi di noi stessi come esseri umani. Un compito forse tra i più ambiziosi per un’opera creativa, eppure per ora la serie sembra avere tutte le carte in tavola per reggerlo.

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