[REPORT + FOTO] Mumford & Sons: spogliatevi dei preconcetti e cantate a squarciagola

Unica data in Italia per la band inglese che in una gremita Assago Summer Arena ha reso più chiare le ragioni di un successo planetario. E duettato con un “nuovo amico italiano”…

di Giacomo Dalla Valentina – I fucking love Italy, man!, grida felice Marcus Mumford a un certo momento del concerto, in piedi sul palco dell’Assago Summer Arena e proteso verso una massa di gente (si parla di circa 13.000 persone) che risponde con un calore e un coinvolgimento che certo non può sorprendere, quando si parla della premiata ditta Mumford & Sons. La band, già paladina di un “prog-folk” riconoscibilissimo anche se non inedito (tratteggiato nell’esordio Sigh No More e portato all’esasperazione nel seguito Babel), è ora artefice di un pop-rock che nonostante i tanti difetti ha il pregio di prestarsi benissimo alle esibizioni dal vivo. Prima di loro, l’ottima apertura di Nathaniel Rateliff & The Night Sweats: un songwriting introspettivo impreziosito dalla voce graffiante del barbuto polistrumentista Nathaniel e da un approccio soul n’ funk che ci fa subito venir voglia di rivederli in solitaria. I Mumford arrivano puntualissimi davanti a un pubblico che è variegato – non prevalgono i vituperati hipster, ma nemmeno gli adolescenti col poster di Benjamin Lovett in camera ma, anzi, sull’asfalto cocente della Summer Arena si dimena felice un’eterogenea miscela di vecchio e giovane, di ordinario e radical chic, in una passerella di zaini che va dai Fjällräven agli Eastpak personalizzati da liceale – ma soprattutto affamato del clima di festa che la formazione inglese, consapevolmente, sa offrire.

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Si salta molto, si canta ancora di più, si assiste a qualche siparietto del poderoso ed empatico Marcus Mumford (dall’invito a mostrare il dito medio alle persone che durante il concerto stavano usando la ruota panoramica della Summer Arena, fino alle allusioni alle prestazioni di Italia e Inghilterra agli Europei di calcio), ma soprattutto si assiste a un’alchimia musicale che fa immediatamente comprendere le ragioni del successo dei ragazzi londinesi.

Il tempo scorre veloce tra le cavalcate folk dei primi tempi (non provateci nemmeno a resistere alla tentazione di scatenarvi sulle note di Little Lion Man, I Will Wait o Lovers’ Eyes) e le deviazioni indie di Wilder Mind, in un raro equilibrio di vecchio e nuovo, acustico ed elettrico, che è ben rappresentato dalla scaletta della serata. Questo non è tutto, perchè anche i più schizzinosi – quelli che, forzati a partecipare al concerto per accompagnare sorelle minori o fidanzati assatanati, hanno fatto di tutto per evitare di rimanerne emotivamente coinvolti – non hanno potuto fare a meno di rimanere colpiti nel momento in cui si sono trovati davanti, del tutto sorprendentemente, Ludovico Einaudi, anticipato da un sibillino Lovett come un “new italian friend e accolto con un boato dalle migliaia di persone assiepate sotto il palco: il pianista torinese, con la solita attitudine normcore nonostante l’accoglienza da rock-star da parte del pubblico, ha eseguito, prima solo e poi a quattro mani con Lovett, un intermezzo tanto straniante quanto raffinato che si è trasformato nell’intro di Dust Bowl Dance.

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A questo punto, non voglio annoiarvi con l’elogio della cover di I’m on Fire di Springsteen; non voglio ripetere quanto già scritto scritto facendo un’apologia dell’intrinseca bellezza, immediata e forse un po’ scontata, della musica di Mumford e compagni; piuttosto lasciate che, alla luce del concerto di ieri, vi dia un consiglio: fatevi un favore e spogliatevi dei preconcetti, delle esitazioni, della retorica preconfezionata delle recensioni, e se una band matura, dal sound corposo come i Mumford & Sons, vi promette di prendervi per le viscere e farvi cantare finché non avrete altro che stanchezza nel vostro corpo, ecco, in questo caso non dite di no.

La nostra gallery a cura di Corrado Iorfida

Scaletta

Snake Eyes

Little Lion Man

White Blank Page

Wilder Mind

Holland Road

Lover of the Light

Tompkins Square Park

Believe

Broken Crown

Ghosts That We Knew

Lovers’ Eyes

The Cave

Roll Away Your Stone

Ditmas

Dust Bowl Dance

Encore

Hot Gates

I’m on Fire (Bruce Springsteen cover)

Babel

I Will Wait

The Wolf