In occasione di Champagne for Gypsies, il suo attesissimo album (in uscita il prossimo 25 settembre), Goran Bregovic ci racconta di questo disco, della sua vita e di tutto quello che rappresenta oggi la sua figura nell’universo musicale.
di Davide Agazzi – Ne sono trascorsi di anni da quando, ancora ragazzino, Goran Bregovic muoveva i primi passi nella musica, suonando nei piccoli bar dell’ormai ex Jugoslavia. In quasi quarant’anni di carriera le sue musiche sono diventate il simbolo di una cultura tormentata e controversa, regalando emozioni attraverso i tantissimi concerti o dipingendo scenari indimenticabili dietro le pellicole di Emir Kusturica. Esportare un mondo, una realtà sconosciuta, entrare nella storia. Per uno che l’ha visto in concerto due volte, intervistarlo dal proprio pc, in videochiamata dalla propria cucina, non ha prezzo.
Da San Remo alla Puglia cantando “Bella Ciao”: qual è il suo rapporto con l’Italia?
Quando avevo diciotto anni, dopo i primi concerti in Jugoslavia, arrivai a Napoli. Quella fu la mia prima piccola finestra sull’Italia. Da quel momento non mi sarei mai immaginato di diventare “mastro concertatore” alla Notte della Taranta, un evento davvero unico. Quest’anno c’erano 120.000 persone in Puglia al concerto: un vero miracolo. E’ veramente facile innamorarsi del vostro paese.
Solo una striscia di mare divide l’Italia dai Balcani: esiste un collegamento tra pizzica, taranta e le vostre musiche tradizionali?
La mia musica è adatta ad un pubblico che non ha bisogno di istruzioni, un pubblico che abbia voglia di divertirsi. Per questo, quando ho suonato in Puglia, ho trovato delle persone già “preparate”, che sapevano già come muoversi. Ci sono tanti collegamenti tra queste culture, un autentico “ponte musicale” tra le due sponde.
Dopo quattro anni dall’uscita di Alkohol, arriva finalmente il secondo capitolo. Che cosa dobbiamo aspettarci da questo Champagne for Gypsies?
Un disco da bere e da ballare. E’ un album che vuole soffermarsi sulla questione dei gitani, un popolo che la politica vede come un problema, al quale gli stessi politici non sanno dare una soluzione. Vengono cacciati da tutti i paesi, picchiati, vengono bruciate le loro case, ma nessuno ricorda quanti personaggi importanti avevano origine tzigana: Charlie Chaplin, Maria Teresa di Calcutta, Elvis Presley e Django Reinhardt, solo per fare degli esempi. Ho voluto brindare al loro talento con tanti artisti gitani, così è nata la collaborazione con i Gypsy Kings, con i Gogol Bordello e tanti altri.
E secondo Goran Bregovic qual è la soluzione migliore?
Io non credo ci sia un problema da risolvere. Una volta che decidi di aprire le frontiere perchè vuoi vendere la tua Fiat nei Balcani, per trarne un vantaggio, devi calcolare che il flusso non potrà mai essere unidirezionale. Anche loro, una volta aperte le frontiere, cercano di seguire la via migliore. L’Italia è il paese preferito dai gitani, perchè l’Italia ha sempre avuto un cuore per i poveri. Io capisco che per i politici rappresenti un problema pratico, ma bisogna soffermarsi e guardare dentro se stessi: in ognuno di noi si nasconde un piccolo gitano.
Lei è nato a Sarajevo, in un mondo, la Jugoslavia, che oggi non c’è più. Oggi si sente più bosniaco, serbo o jugoslavo?
Io oggi ho casa a Zagabria, Belgrado e Sarajevo. E sono i posti dove non voglio dormire in hotel, dove voglio avere una mia dimora. E’ difficile rispondere: io ho amato ed amo il mio paese, ma non è facile amare una patria che ti chiede sempre di essere un soldato. Mio nonno era un soldato, mio padre era un soldato. Io per fortuna sono riuscito a fare altro e giro per il mio paese mostrando il passaporto ad ogni frontiera.
Viaggiando ad Est è facile scontrarsi con due generi musicali molto particolari, il manele, presente anche nel suo disco, e il turbofolk, criticati da molti per i contenuti delle loro canzoni o per i video musicali con donne seminude, belle macchine e soldi facili. Come giudica questa corrente musicale?
Anche su Mtv ci sono donne nude, belle macchine e quant’altro. Non mi sembra sia molto diverso dai diversi programmi televisivi nel mondo, basta guardare la Rai. Sono considerati kitsch, ma ogni tanto bisogna essere un po’ kitsch, alla fine il buon gusto è solo una convinzione.
Nel corso della sua carriera ha prestato spesso le sue musiche ai film di Emir Kusturica e le sue colonne sonore sono diventate un mito nella tradizione del vostro paese. Oggi invece ci sono i dj, la moda del Balkan Beat e le serate in discoteca. Che cosa è cambiato?
Ricordo il mio primo concerto a New York, al Lincoln Center. Quella sera, oltre a me, per la prima volta vidi diversi dj affiancati da musicisti tradizionali. C’è sicuramente tanta curiosità nei confronti di questa piccola cultura ed è normale che chiunque sia interessato a dare il proprio contributo lo faccia alla sua maniera. Credo che ci sia una sorta di scambio: i dj prendono le sonorità tradizionali, ma anche i musicisti hanno imparato qualcosa dall’elettronica. Da noi tutto era troppo barocco, quest’innovazione è servita parecchio.
In tanti anni ha girato mezzo mondo, se non forse tutto. Quale concerto le è rimasto più impresso?
Potrà sembrare banale, ma il concerto alla Notte della Taranta mi è piaciuto molto. Sono rimasto affascinato dalla fusione di tanti artisti, tutti bravissimi, riuniti in una sola sera. Mi sono trovato davvero molto bene.
Tornando al disco: non può non saltare all’occhio la collaborazione con Eugene Hutz dei Gogol Bordello. Ma non avevate litigato?
Assolutamente no! Eugene ed io ci siamo incontrati per la prima volta per la realizzazione dell’album. Ci siamo chiesti entrambi come mai non avessimo mai collaborato insieme, così gli ho inviato del materiale e sono andato nel suo studio a Rio de Janeiro (Gypsy Record), dove vive attualmente. E’ uno studio piccolo, credo che il microfono non costi più di cinquanta euro, ma ci siamo trovati benissimo. Sono gli unici pezzi che abbiamo registrato in studio. Con tutti gli altri artisti ci siamo trovati nelle case di ognuno.
Infine, una domanda figlia di questi tempi: in un periodo in cui non si vendono cd ed il mercato discografico è in crisi, quale può essere il futuro della musica?
Karl Marx parlava della “fine dell’arte”. Credo che oggi più che mai siamo vicinissimi a quanto professato da Marx, perchè in questo mondo tutti possono essere artisti, grazie ad internet, grazie alla comunicazione. Il problema però non è nell’arte, ma nel sistema di pensiero, un sistema che deve produrre ogni giorno un numero prefissato di star, quando ormai chiunque può diventare famoso con la propria arte. Un bellissimo passo per la libertà di tutti noi.