Il cocktail musicale di Silver Linings Playbook

di Isabella Parodi – Silver Linings, letteralmente “il riflesso argenteo delle nuvole”, lo stesso che vediamo luccicare dopo un temporale. Perché è questo che facciamo, in fondo: affidarci alla speranza, cercare di cogliere in ogni situazione quel lato positivo (goffa ma in fondo giusta traduzione italiana del titolo) che permette di guardare avanti, giorno per giorno, attimo per attimo. Così il regista “testa calda” David O. Russel (Three Kings, The Fighter) va a parafrasare Silver Linings Playbook, romanzo d’esordio dell’americano Matthew Quick.
Come ormai la maggior parte dei prodotti leggeri hollywoodiani, qui più che mai commedia e tragedia trovano un equilibrio perfetto: difficile dire dove finisca una e inizi l’altra in un film come Il lato positivo, decisamente più realtà che fiction. O. Russel sfodera proprio l’arma del realismo psicologico che in mano sua funziona così bene e la sfrutta per una serie di personaggi tutto tranne che ordinari, a cominciare dai due protagonisti: il complessato Pat (un Bradley Cooper al massimo della forma), reduce da otto mesi di ospedale psichiatrico dopo una violenta crisi di bipolarismo (aveva sorpreso la moglie con un altro…) e la giovane Tiffany (il premio oscar Jennifer Lawrence), neo-vedova acida e impetuosa, con una recente dipendenza da psicofarmaci e sesso. Entrambi hanno bisogno di riposizionare il baricentro nel posto giusto e scopriranno ovviamente di poter trovare un buon equilibrio l’uno nell’altro.
A occuparsi della loro colonna sonora c’è il veterano Danny Elfman, che ancora una volta si dimostra grande arrangiatore oltre che compositore. Niente più bassi potenti stile Sam Raimi o melodie delicate alla Tim Burton: i titoli iniziali Silver Linings sono leggeri e movimentati insieme, dominati da una chitarra molto americana e vocalizzi ambigui, un po’ allegri, un po’ cupi. Nulla di più azzeccato per una storia dolce/amara come questa, dove il resto del soundtrack si presenta come un cocktail molto eterogeneo: Elfman estrae da un repertorio musicale rigorosamente americano brani passati e contemporanei allo stesso tempo, che adatta ai diversi personaggi. E così sarà rock più o meno duro per l’imprevedibile Tiffany e country folk (quello di Johnny Cash e Bob Dylan, per intenderci) per il volubile Pat; il jazz del The Dave Brubeck Quartet si incentra sugli sforzi dei due ragazzi di entrare in sintonia durante la preparazione alla gara di ballo, mentre la sensualità stuzzicante di Ambrosia Parsley & the Elegant Too con Goodnight Moon li vede finalmente all’unisono; la sublime My Cherie Amour di Stevie Wonder è il brano galeotto che fa scattare Pat, simbolo del suo fallimento come marito e uomo, così come la dolce Monster Mash dei Crab Corps lo accompagna nel jogging mattutino, segno di volontà di miglioramento fisico e mentale lungo una strada che saprà riportarlo finalmente nella direzione giusta. E come scordare l’improbabile medley della gara di ballo, che vede affiancati The Dave Brubeck Quartet, White Stripes (con Fell in love with a girl) e Stevie Wonder, brani completamente diversi che portano al limite l’eterogeneità totalizzante del film.
Le differenze spiccano dal punto di vista musicale come da quello filosofico, e tornano puntuali temi non nuovi (viene in mente, su tutti, Ragazze Interrotte) ma qui interpretati con una leggerezza epositività nuove, che fanno uscire dal cinema con un gran sorrisone stampato in faccia. Perché quando si parla di quello strano, subdolo e incomprensibile guazzabuglio di idee che affollano la psiche umana siamo veramente in grado di dire cosa significhi essere sani? Parafrasando Morgan, spesso una crisi può essere un eccesso di lucidità, un punto di aggancio a quello stato mentale che permette di astrarsi e vedere la realtà per quello che è veramente. Pat e Tiffany galleggiano proprio sopra quella linea sottilissima che sta tra ragione e follia: prima la patiscono, poi ci combattono e infine si rassegnano a metterla da parte. Perché quello che importa non è più fare i conti con la propria malattia, ma con la vita in sé, aggrappandosi proprio a quei silver linings che spuntano sempre, prima o poi, dopo un brutto temporale.

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