di Isabella Parodi – Mancano pochi mesi all’attesissimo ritorno del duo francese, quei Daft Punk che circa vent’anni fa insieme a Underworld e New Order si ergevano a pionieri dell’elettronica moderna, destinati a influenzare intere generazioni di musicisti e appassionati. I due “stupidi teppisti” (questo significa daft punk, espressione con cui un ignaro giornalista li definì prima ancora che il gruppo vero e proprio nascesse) per l’estate 2013 sforneranno un quarto album, dopo anni di parziale silenzio, se si escludono sporadici live o l’ottima colonna sonora del disneyano Tron Legacy.
Conoscendoli, c’è da aspettarsi la stessa cura nei visuals che una volta accompagnava la loro house così anni ’90 unita a quel tocco francese molto tecnologic(o) e martellante che li ha resi i protagonisti delle discoteche di tutto il mondo. Tra gli immortali videoclip affidati a mani esperte (primo tra tutti il visionario Michel Gondry) e i live dominati da laser, astronavi e effetti colorati sempre spettacolari, i Daft Punk centrarono la propria passione per la fantascienza con il lungometraggio Interstella 5555 – The 5tory of the 5ecret 5tar 5ystem, anime giapponese girato in collaborazione con Leiji Matsumoto, il creatore del mitico Capitan Harlock. Il film riunisce abilmente quel linguaggio elettronico parlato dai Duft Punk con l’estetica nostalgica del cartone giapponese vecchio stampo, impregnato di un’ingenua fantascienza tutta anni ’70 che con l’animazione moderna si è andata progressivamente a perdere. Insomma, all’uscita del film nel 2003, la generazione cresciuta a pomeriggi di Astro Boy e Mtv aveva letteralmente la bava alla bocca.
Interstella 5555 è un’ora di videoclip musicale non stop: per il parlato non c’è spazio, in compenso dall’inizio alla fine scorre per intero l’album Discovery con cui i Daft Punk fecero scuola nel mondo della dance d’inizio millennio. Uno dopo l’altro, alcuni dei loro più grandi successi raccontano la storia di quattro musicisti alieni dalla pelle blu, rapiti da una galassia parallela alla nostra e condotti sulla Terra da un magnate della musica che intende sfruttare il loro talento. Alla band viene dato il nome di Crescendolls, titolo di un singolo di Discovery e spaventosamente simile al logo Coca-Cola.
Sulla Terra spopolano col singolo One More Time (considerato tutt’ora uno dei migliori pezzi dance della storia, insieme al loro precedente Around The World); la hit Digital Love onnipresente come jingle di radio e canali televisivi in tutto il mondo fa da sfondo al sogno zuccheroso (molto manga) dell’eroe alieno Shep, che a bordo di un’astronave a forma di chitarra elettrica salverà la band; con la metallica Harder, Better, Faster, Stronger i quattro sono trasformati in esseri umani, dopo un disperato tentativo di fuga con la concitata (e solo musicale) Aerodynamic ; mentre Shep salva tre di loro con la techno martellante di Superheroes, l’euro-dance di High Life accompagna la consegna del disco d’oro al miglior singolo (premiazione in cui concorrono i Duft Punk stessi, in versione cartoon); la melodica Veridis Quo rivela la natura del rapitore, sfoggiando la critica di Matsumoto al divismo senz’anima dell’industria discografica moderna, sempre più pronta al sacrificio di un genuino amore per l’arte e la musica in nome del profitto. Il sacrificio che il vero fan compie per loro è infatti significativo: Short Circuit accompagna la band nella fuga (le guardie sono distratte da un’improbabile partita di calcio Francia – Giappone) e i quattro si apprestano a tornare a casa a bordo di uno shuttle, mentre per dieci minuti imperversa Too Long, esempio di dance tutta da ballare che preannuncia l’inevitabile lieto fine. Interstella 5555, pur nella sua assoluta banalità di sceneggiatura, è proprio come una favola, che incarna alla perfezione il manga romantico-barocco targato Matsumoto, dove sullo sfondo di una società post-industriale arida e automatizzata governata dal dio denaro, pochi personaggi dal tratto fortemente anarco-idealista salvano il salvabile, un po’ come i cowboy buoni dei vecchi western proteggevano le frontiere. Un messaggio semplice e chiaro, di stampo evidentemente didattico, comunicato al limite del subliminale, grazie all’universalità del linguaggio musicale elettronico che, piaccia o meno, arriva a tutti.