James Cameron e la musica da kolossal

di Isabella Parodi – James Cameron, l’uomo degli effetti speciali d’avanguardia, dei kolossal, della fotografia d’autore, che mira sempre a colonne sonore indimenticabili, è ora tornato nei cinema con la versione in 3D del beneamato Titanic, a cento anni esatti dal suo affondamento e ben quindici dal decollo nelle sale.
Ma cosa pensare di questa moda del revival in tridimensione? E’ davvero un modo per riavvicinare le nuove generazioni a grande schermo e pop corn (come dice il regista) o è solo un banale tentativo di lucrare su un film (per quanto bello) già datato, e da molti persino sopravvalutato? Non che Cameron ne abbia bisogno, essendo uno dei registi che ha ottenuto i più alti incassi di sempre.
Ma facciamo un passo indietro, quando l’ultra perfezionista regista canadese ancora si muoveva dai primordiali interessi giovanili per la fantascienza pionieristica alla George Lucas emergendo inizialmente come esperto tecnico di effetti speciali (suo marchio di fabbrica). Il debutto alla regia arrivò per lui con Pirana paura, il sequel del cult di Joe Dante (erede peraltro de Lo squalo di mastro Spielberg): horror bruttino snobbato dalla critica, primo e ultimo B movie di Cameron (e sicuramente unico flop nella sua carriera).
Non mancava infatti molto prima che a Hollywood sbarcasse il film che avrebbe cambiato il volto del cinema sci-fi: nel 1984 il re dei cyberpunk movies aveva il volto e i bicipiti dell’ex body builder Arnold Scharzenegger, e una genialità futurista degna delle utopie Orwelliane.
In  Terminator (e il fortunato sequel) Cameron per la prima volta introdusse un tema a lui caro, quel controverso rapporto tra uomo e macchina che negli anni ’80 germinò così efficacemente nel cinema occidentale, riflesso angoscioso del timore generale di perdere il controllo su una tecnologia in costante e minacciosa crescita. Una sorta di rinata visione apocalittica del progresso mascherata da action movie per le masse, per cui il regista canadese volle a tutti i costi una colonna sonora che comunicasse qualcosa in più rispetto a un banale thriller duro e puro. Per questo chiamò a raccolta il compositore americano Brad Fiedel, che accettando diede vita all’indiscusso masterpiece della sua breve carriera. L’allora innovativo uso di sintetizzatore e strumentazione elettronica si amalgamò alla perfezione con gli scenari epico-futuristici del film e con i già mirabolanti effetti speciali pretesi da Cameron. Il risultato? Ancora adesso il tema principale del cult anni ’80 per eccellenza ci mette i brividi.
Fiedel tornerà nel non eccezionale thriller umoristico True Lies, dove più che il soundtrack trovano spazio nei ricordi di tutti l’epico spogliarello di Jamie Lee Curtis e i possenti pettorali di un Arnold ancora al top.

Ma per Cameron la fantascienza è una vera ossessione: pochi anni dopo accettò di dirigere il sequel di Alien, film con cui Ridley Scott aveva rivoluzionato del tutto la maniera dell’horror-fantascientifico. Gestire una simile eredità non è facile ma se la cava alla grande, sostituendo l’orrore “vedo non vedo” e le astrazioni di Scott con più ritmo, azione e aggressione visiva e sonora. E soprattutto iniziò con Aliens l’assai proficua collaborazione con James Horner, pluripremiato compositore hollywoodiano (Braveheart, Apollo 13, A beautiful mind, Troy…) noto per l’originale impiego di melodie celtiche e il sapiente uso dell’elettronica.
Non male anche la parentesi musicale con Alan Silvestri, uno dei compositori più prolifici in assoluto: con The Abyss, ambizioso prodotto di nuovo fantascientifico, ritrovò spazio la fissazione del regista per il mare e i misteri delle sue profondità. Il film non sbancò immediatamente, ma la colonna sonora leggera, un po’ sognante, a tratti lirica piacque subito a tutti.

Che piaccia o meno però, nel ’97 era Cameron “il re del mondo”, come non mancò di esclamare agli Academy Awards mentre a fatica stringeva le statuette di Titanic tra le braccia. Se le era comunque meritate: amore e tragedia mischiati in maniera eccelsa, attori provetti, pruriti e ipocrisie sociali messi a nudo, effetti speciali d’avanguardia e ovviamente una colonna sonora indimenticabile, forse più immortale del transatlantico stesso.
Al rifiuto di Enya, era James Horner a tornare all’attacco: quindici tracce maestose per avvolgere la gigantesca potenza del mare e del più grande oggetto in movimento mai costruito, ma anche intime, per accompagnare la coppia del cinema che in un sol colpo spodestò dal trono Rhett e Rossella. E poi, quella vigorosa ma delicata My Heart Will Go On di Celine Dion che mandò in visibilio tutto il mondo.
Tre anni fa con il capolavoro del digitale Avatar, Cameron tenta il bis. Scaltramente, è di nuovo Horner a musicare il tutto, infarcendo la pellicola iper digitalizzata di percussioni e strumenti etnici, cori afro e tanta elettronica di qualità, che ha però la grossa pecca di annoiare al mero ascolto su disco e senza l’ausilio dell’immagine. Leona Lewis, ex talento dell’X Factor britannico, offre la sua I See You ai titoli di coda: bella e potente, ma non ce n’è. Celine non si supera.
E il film? Qui più che mai piogge di stereotipi da incasso sicuro celano tematiche veramente forti e rischiose: un grido all’ecologia che termina col trionfo della natura selvaggia, la perdita di valori, l’antirazzismo e soprattutto la facile etichettatura “nemici” a chi detiene il controllo delle risorse energetiche (ogni riferimento è puramente casuale…). E così dopo i brutti Alien, siamo noi gli extraterrestri conquistatori e senza scrupoli. Si può di nuovo gridare al capolavoro dunque? Magari no, ma nell’attesa dei due sequel in arrivo, riconosciamo comunque a Cameron il coraggio di osare con argomenti scomodi che si dovrebbero sempre ribadire, magari con la spintarella dell’effetto speciale di cui è così esperto, che oggi come oggi non basta mai.

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