di Isabella Parodi – Si tende a dire che gli americani sono buoni a banalizzare e/o imbastardire il lavoro oltreoceano, e molto spesso forse è vero, ma non nel caso di Vanilla Sky, fortunato thriller di stampo onirico nonchè remake del precedente “Apri gli occhi” dell’ispanico Alejandro Amenabar. Mentre il primo quanto a notorietà non ha superato i Pirenei, la versione americana d’inizio millennio diretta da Cameron Crowe si è fatta subito cult, entrando nel fortunato filone tutto anni zero che sguazza tra inconscio, sogni e realtà parallele.
C’è chi l’ha amato e c’è chi l’ha odiato, e soprattutto c’è chi non ne ha capito niente, ma questo “cielo di vaniglia” à la Monet si presenta comunque ambizioso, con una trama intricatissima a più letture: ci si può fermare a piangere per il povero faccino sfigurato di Tom Cruise o a sbavare sulle gambe chilometriche di Cameron Diaz (entrambi belli quanto bravi), ma anche arrivare a riflettere su temi forti, la vanità dell’esistenza, il destino, il karma, la legge di Murphy, la fortuna.
In ogni caso si gode di un super cocktail di riferimenti culturali d’arte, cinema e musica, in nome di un citazionismo timido come un eco, al limite del subliminale, lontano anni luce dallo spudorato prodotto pop Tarantiniano. L’incredibile colonna sonora soprattutto, opera della chitarrista americana Nancy Wilson (moglie del regista e autrice di molti suoi soundtrack) mette insieme episodi musicali distantissimi tra loro: si va dai classicismi jazz di Coltrane, al rock primordiale deiBeach Boys, dalle raffinatezze yankee di Todd Rundgren ai modernismi techno-minimali di Radiohead, Chemical Brothers e Underworld, nonché un inedito originale, la dolce ma briosa Vanilla Sky di Paul McCartney (battezzata dalla pellicola), ascoltabile nel live album Back In The Us.
A cavalcare l’onda di quest’ottima accozzaglia musicale, l’assurda storia di David, stereotipo vivente del giovane ricco, bello e spaventosamente superficiale. La sua vita va a gonfie vele: un porsche, un bell’appartamento a due passi da Times square, milioni di dollari ereditati dal padre e un rapporto disimpegnato con la bella Julianna. Tutto è un gioco, finché anche lui non trova un vero scopo nella vita nella frizzante Sofia (Penelope Cruz), di cui si innamora subito. La gelosia di Julianna gli costerà tutto, quando in un raptus di follia tenterà di uccidere entrambi schiantandosi con la macchina. David sopravvive completamente sfigurato e da quel momento nulla avrà più senso.
Niente sarà più “al suo posto”, come nell’incipit suggeriscono i Radiohead con Everything in its right place, dall’album Kid A, successo mondiale che nel 2000 segnò l’iniziazione del gruppo a lidi sempre più minimali e lontani dai cenni di pop del passato. Subito dopo attaccano i Mint Royalecon From rusholme with Love nell’epica scena della corsa a perdifiato di David in una Times square surreale completamente deserta. Il sogno è già cominciato?
La musica regge il gioco alla narrazione: prima dell’incidente, rimane inerente alle immagini, e così giustamente sentiamo All the right friends dei R.E.M. nei momenti con gli amici, Wild honey degli U2 per una serata di zucchero con Sofia e la techno Rez degli Underworld in una nottata in discoteca.
Ma poi, tutto insieme alla storia diventa onirico e illogico, e va a spezzarsi quella convenzione cinematografica che vuole immagini e suoni coerenti tra loro: Good Vibrations dei Beach Boys fa paradossalmente da sfondo a un momento di pura follia di David e Can we still be friends di Todd Rundgren accompagna un omicidio. Tutto quindi, ci dice che qualcosa non va, ma solo le deLucidazioni finali e con esse la rilassante Where do i begin? dei Chemical Brothers mettono un punto fermo (forse) a questo impossibile intrico di fili che tiene insieme il precario equilibrio psico-fisico umano. In Vanilla Sky a dominarci non sono più i teneri infantilismi di Al di là dei sogni né ancora i mirabolanti tecnicismi di Inception: qui l’inconscio è dinamico, senza controllo e persino autolesionista. Crowe sguscia l’essere umano del suo irrilevante involucro esterno per aprire un vaso di Pandora folle e sconvolgente, andando a ledere proprio quell’effimera esteticità del protagonista, che come in un girone dantesco sconterà la pena per la sua vuota vanità portandosi dietro un volto orrendamente sfregiato. I risvolti sono a dir poco moralistici, come in una favola che si rispetti: c’è la possibilità di redimersi, di ricominciare, ma solo se hai imparato la lezione.