di Isabella Parodi – Sopravvissuta al funesto presagio targato Maya, Hollywood puntualissima ri-accende i fanali su di sé per l’85^ edizione degli Academy Awards, l’evento cinematografico più caldo e prestigioso dell’anno. C’è chi storce il naso con spocchia a questa affermazione, ma la realtà è questa: da un punto di vista quantitativo gli Usa (se tralasciamo il trash Bollywoodiano..) restano per ora i leader trascinatori dell’industria cinematografica mondiale. E non cessano di sorprendere: Hollywood decide di rinnovare le burle (dopo molti anni col grande Billy Crystal a condurre) e sorprendentemente a farci ridere sarà quella faccia da schiaffi di Seth MacFarlane, il papà dei Griffin appena esordiente al cinema. Nato con la bestemmia in bocca e convinto progressista politically uncorrect, pare strano che diventi portavoce di un evento extra lusso così ostinatamente tradizionalista. In America, poi.
Non sarà comunque solo Seth MacFarlane a dare uno scossone agli Oscar di quest’anno. Le proposte cinematografiche in gara non sono dominate dai soliti due colossi destinati ad accaparrarsi tutte la statuette: un anno fa The Artist e Hugo Cabret si portavano via i premi artistici l’uno, e tecnici l’altro, lasciando gli altri concorrenti per lo più a bocca asciutta. E mentre si esaurisce con loro quel sentimento nostalgico trainatore del Midnight in Paris di Woody Allen (miglior sceneggiatura), sono tanti i lavori che quest’anno hanno una speranza, ciascuno con la sua particolarità.
I favoriti ovviamente ci sono, a cominciare all’appuntamento annuale con Spielberg, che con il suo Lincoln offre la solita alternativa squisitamente civile e ben fatta che tanto piace alla giuria di Beverly Hills. Eppure tre ore per raccontare gli ultimi giorni del presidente con cilindro sono troppe: didascalico, noiosetto e dal fastidioso stampo documentaristico, Lincoln potrebbe essere diretto da tutti e da nessuno. Per fortuna c’è Daniel Day Lewis a bucare lo schermo, con un’immedesimazione a dir poco sconvolgente (ha già la statuetta in tasca). Lo stesso non si può dire di John Williams, evidentemente in ferie quest’anno data la pochezza musicale del film. Un’ennesima candidatura del tutto fuori luogo.
Solo musica invece (anche se non originale) per l’opera-film Les Miserables, che porta con sé performance recitative e canore di altissima qualità (Anne Hathaway dopo tanti filmetti è come un fulmine a ciel sereno). Ostico nella sua liricità, non è il musical che tutti si aspettavano, ma tanto di cappello al coraggio. Una sola la canzone originale (Suddenly) a concorrere per l’oscar, che però non regge il confronto con le immortali canzoni del musical originario.
E dopo i moti parigini, altra politica, più tristemente contemporanea. Zero Dark Thirty, ultima fatica dei marines della Bigelow, di nuovo in viaggio in Iraq dopo il pluripremiato (o solo suffragett-o?…)The Hurt Locker trentotto lune fa. Poche speranze per lei questa volta, perché dopo aver fatto piazza pulita ai Golden Globes e ai BAFTA inglesi, il premio a miglior film (politico) pare essere per l’Argo di Ben Affleck, nuovo amore delle folle e della critica. Gli ingredienti ci sono tutti: buona tensione, storia rispettata e pochi inchini fastidiosi alla Casa Bianca. Affleck si conferma decisamente migliore come regista che come attore (qui batte Kevin Costner quanto a mono espressività); ma una brutta sceneggiatura (la candidatura dev’essere uno scherzo di Carnevale), attori mediocri (Alan Larkin e John Goodman tristemente sprecati) e un uso fastidiosamente piacione della colonna sonora, lo allontanano di parecchio da avversari più maturi e completi. Vita di Pi con le sue 11 nominations (artistiche e tecniche) è la vera perla dell’anno: filosofico, innovativo e di ineffabile bellezza visiva, stordisce e disarma chiunque. Eppure non vincerà.
Spiccano anche le pellicole con le migliori performance attoriali: dall’europeo Amour dove concorre l’attrice più anziana mai candidata (Emmanuelle Riva, di 85 anni) a Re della terra selvaggia con la più giovane (la piccola Quvenzhané Wallis, di 9 anni); dalla sacra triade del discusso The Master (Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman e Amy Adams) al gruppo di disperati di The Impossible, l’ottima ricostruzione psico-fisica del disastro dello tsunami natalizio 2004, con una (già) bravissima Naomi Watts e soprattutto il giovane esordiente Tom Holland.
Siamo quindi arrivati al fondo. Tra poche ore si srotola il tappeto rosso e Seth farà il suo mitico show. Oltre alle già annunciate esibizioni musicali di Adele, Norah Jones e Barbra Streisand e al buffonesco duetto tra MacFarlane e Kristin Chenoweth, Hollywood omaggerà anche degnamente Broadway con alcuni brani dal vivo tratti dai migliori musical (Dreamgirls, Chicago e naturalmente il novello Les Miserables).
Nel frattempo tra tutti questi grandi nomi noi strizziamo come sempre un occhio ai veri outsiders dell’anno, e nell’attesa del verdetto supremo di chi di dovere, assegniamo le nostre personali statuette verdi.
And the oscar goes to..
MIGLIOR FILM
Moonrise Kingdom (Wes Anderson)
L’incredibile escluso dell’anno, indiscusso gioiello di filmografia indipendente di un Wes Anderson di ritorno dalla parentesi cartoon. Il “Moonrise Kingdom” è un luogo (fisico e ideale), dove si rifugiano due preadolescenti in fuga dall’oppressione famigliare e sociale dei rigidissimi anni ’60. Suzy, dodicenne incompresa da una famiglia distratta e Sam, esperto scout rimasto orfano, scopriranno insieme l’avventura vera (non quella pseudo militare del campo scout), l’amore (il primo, tenero e sconvolgente) e la libertà. Il tutto con occhi ancora ingenui, liberi da quelle sovrastrutture e categorizzazioni che ingabbiano il cervello di un adulto.
Anderson si fa filosofo, psicologo, paroliere e pittore, in questo splendido ritratto a tinte pastello sul disagio adolescenziale, sfruttando con sublime maestria prospettive, colori, parole e musica.
MIGLIOR REGIA
Ang Lee (Vita di Pi)
Il taiwanese Ang Lee ci regala uno spettacolo per gli occhi e per la mente: Vita di Pi è una freschissima dose di moderna saggezza orientale, che attraverso un viaggio incredibile prende in esame, snoda e risolve temi profondamente umani e in modo del tutto innovativo.
In che modo raggiungere Dio e che cosa è, in effetti, Dio? Quanto è labile quella linea che separa la nostra natura umana da quella animale? E quanto conta la fortuna per riuscire nei nostri intenti? Ang Lee come sempre risponde con un inchino solenne alla libertà d’espressione, sia questa sessuale (Brokeback Mountain) filosofica (La tigre e il dragone) o religiosa: non importa se sei cristiano, musulmano o buddista, il cammino verso la rivelazione è diverso e personale per ciascuno di noi. L’indiano Pi lo scoprirà su una zattera. In mezzo all’oceano. Con una tigre (oppure da solo?).
MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA:
Joaquin Phoenix (The Master)
Forse ve lo ricorderete per l’insopportabile Commodo de Il Gladiatore o per le parti bizzarre di Shyamalan in Signs e The Village. Ma nulla è comparabile alla straordinaria performance di The Master, dove riveste il complesso ruolo di Freddie, mentalmente disturbato, alcolizzato e violento ex marine reduce della Seconda Guerra Mondiale. Phoenix si cala nella parte impossibile del bifolco ignorante e ingovernabile, regalandoci una mimesi che fa invidia a Jim Carrey: finta paresi facciale, occhi fissi nel vuoto e sorrisi sardonici dominano dall’inizio alla fine.
Eccezionale, anche più del Lincoln di Lewis, dove quel briciolo di autocompiacimento e divismo dato dall’esperienza in più, disturba un po’ l’occhio più attento.
MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA
Philp Seymour Hoffman (The Master)
Gelidi occhi azzurri e sorriso beffardo: è il master, il capo-guida spirituale di The Cause (“la causa”, alias Scientology), setta religiosa falsamente anarchica di stampo filosofico – scientifico.
Hoffman incarna con fanatica ironia le sembianze del capo folle e potente, che con charme unico fa pendere dalle sue labbra decine di persone in adorazione, come lobotomizzate. Un master furbo e fermamente convinto di assurdi principi “divini” che distorcono completamente la realtà conosciuta. Inevitabili parallelisimi con princìpi autoritari politici, sociali e religiosi scatenano sorrisi amari, molto.
MIGLIOR ATTRICE
Anne Hathaway (Les Miserables)
La Hathaway esce dal guscio e spicca il volo, regalando la performance femminile migliore (protagonista e non) e di gran lunga più complessa dell’anno. Un’unione sublime di canto e recitazione, mai esagerata, mai sbavata, accompagna lo sfortunato personaggio di Fantine dei Miserabili. La sua interpretazione in I Dreamed a Dream è semplicemente da brividi e la consacra a uno dei migliori volti della nuova generazione di attori Hollywoodiani.
MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE
Quentin Tarantino (Django Unchained)
Lo screenplay di Django Unchained non sarà quello di Pulp Fiction o Jackie Brown, ma è con assoluto piacere fisico che finalmente abbiamo l’onore di vedere quasi sicuramente vincente l’intelligente, sporco e sagace verbo tarantiniano. Un bel dito medio alzato a quegli stessi boriosi critici americani che fino a qualche anno fa snobbavano l’estro di Tarantino degli anni d’oro perché evidentemente sconveniente, e che stanotte premieranno il suo lavoro complessivamente meno riuscito, perché il pulp è diventato di moda.
Te lo dovevamo, Quentin.
MIGLIOR FOTOGRAFIA
Claudio Miranda (Vita di Pi )
Scordatevi Avatar perché il digitale da quest’anno ha un nuovo re. Il cileno Claudio Miranda dopo alcune fotografie più metropolitane (Se7en, Il Corvo, Fight Club) dà colore e tridimensione alla distesa oceanica di Vita di Pi, dando vita all’opera più bella mai vista sullo schermo: la parola chiave è l’acqua, di cui Miranda sfrutta tutte le proprietà stordendoci con ardite inquadrature sottomarine e ambigue viste perpendicolari sul mare. E poi, meduse fosforescenti, balene gigantesche, milioni di pesci volanti e una tigre quasi umana. Affascinante e ipnotico: se anche il film fosse un fiasco, la fotografia basterebbe a salvarlo
MIGLIOR COLONNA SONORA
Nick Cave & Warren Ellis (Lawless)
Altra esclusione quella del mitico soundtrack di Lawless: metà cover e metà originale, merita comunque il titolo di miglior colonna sonora dell’anno. Il duo maledetto Cave-Ellis ci stordisce con un lurido quanto irresistibile sound sudista, fatto di bluegrass, folk e tanta tanta country. Con loro rispolveriamo un amore innato per banjo, tamburello e chitarra folk, e ovviamente per voci ruvide e sporche, da vero contadino sdentato del Kansas.
MIGLIOR CANZONE
Cosmonaut – Emmylou Harris & The Bootleggers (Lawless)
Non dare l’oscar a Adele equivale a sparare sulla croce rossa. E siccome ha già vinto, noi bastian cuntrari di OUTsiders premiamo il timbro delicato e melodioso della cantautrice Emmylou Harris sulle note dolci dei The Bootleggers (anche loro assurdamente esclusi dal red carpet).
Cosmonaut è una poesia, leggera come una piuma che vola morbida sulla voce magicamente fievole, ridotta quasi a un sussurro di Emmylou.
Saliamo sul razzo del cosmonauta e lasciamoci trasportare.
Dopo i “vincitori OUTsiders”, ecco a chi sono effettivamente andate le ambite statuette dell’85° edizione degli Academy Awards:
* MIGLIOR FILM: “Argo” Grant Heslov, Ben Affleck and George Clooney, Producers
* MIGLIOR REGIA: “Vita di Pi” Ang Lee
* MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA: Jennifer Lawrence in “Silver Linings Playbook”
* MIGLIOR SCENEGGIATURA ADATTATA: “Argo” Screenplay by Chris Terrio
* MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE: “Django Unchained” Written by Quentin Tarantino
* MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA: Daniel Day-Lewis in “Lincoln”
* MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA: Christoph Waltz in “Django Unchained”
* MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA: Anne Hathaway in “Les Misérables”
* MIGLIOR CORTO ANIMATO: “Paperman” John Kahrs
* MIGLIOR FILM D’ANIMAZIONE: “Ribelle – The Brave” Mark Andrews and Brenda Chapman
* MIGLIOR FOTOGRAFIA: “Vita di Pi” Claudio Miranda
* MIGLIORI EFFETTI VISIVI: “Vita di Pi” Bill Westenhofer, Guillaume Rocheron, Erik-Jan De Boer and Donald R. Elliott
* MIGLIORI COSTUMI: “Anna Karenina” Jacqueline Durran
* MIGLIOR TRUCCO: “Les Misérables” Lisa Westcott and Julie Dartnell
* MIGLIOR CORTO DOCUMENTARIO: “Inocente” Sean Fine and Andrea Nix Fine
* MIGLIOR CORTOMETRAGGIO: “Curfew” Shawn Christensen
* MIGLIOR FILM STRANIERO: “Amour” Austria
* MIGLIOR SONORO: “Les Misérables” Andy Nelson, Mark Paterson and Simon Hayes
* MIGLIOR DOCUMENTARIO: “Searching for Sugar Man”
* MIGLIOR MONTAGGIO SONORO: “Skyfall” ex-equo con “Zero Dark Thirty”
* MIGLIOR MONTAGGIO: “Argo” William Goldenberg
* MIGLIORI SCENOGRAFIE: “Lincoln” Production Design: Rick Carter; Set Decoration: Jim Erickson
* MIGLIOR COLONNA SONORA: “Vita Pi” di Mychael Danna
* MIGLIOR CANZONE ORIGINALE: “Skyfall” from “Skyfall” Music and Lyric by Adele Adkins and Paul Epworth