L’unica data italiana di Talib Kweli a Bologna è un manifesto old school

Il rapper, tra i maggiori esponenti del conscious rap East Coast, è tornato nel nostro paese per un’unica data. A distanza di nemmeno un mese dal live di Havoc dei Mobb Deep, il Locomotiv di Bologna ospita – sempre grazie a Soul Food Promotions – uno degli mc più rappresentativi di New York: Talib Kweli. Lo storico rapper di Brooklyn ha scelto infatti il capoluogo emiliano come unica città italiana del suo tour europeo. Articolo a cura di Filippo Santin.

Appena entrati, prima del live, l’atmosfera è molto rilassata. Purtroppo, complice forse anche il fatto che fosse domenica sera, il pubblico non è accorso in massa. Ciò tuttavia ha permesso di creare un clima per così dire intimo, pacato.

A scaldare gli animi ci pensa subito il dj che accompagna Talib Kweli, il quale dopo essersi messo alla console spara alcuni banger classici del rap di New York: da “Simon Says” di Pharoahe Monch a “Ante Up” degli M.O.P., con i quali è impossibile non muovere la testa.

Pochi minuti dopo sul palco appare finalmente Talib, con indosso un cappellino mimetico, baggy jeans e un felpone nero. C’è tempo soltanto per un rapido ma affettuoso saluto, e poi si comincia subito a rappare, come vuole la nobile arte del rap vecchia scuola. L’mc newyorchese aizza il pubblico ma senza esagerare, bilanciando con un certo tono morbido che fa parte anche della sua musica, nelle sue sfumature più soul.

A proposito di soul, il live diventa fin da subito anche un modo per celebrare il nome di Angie Stone, cantante purtroppo appena scomparsa, e che di questo genere è stato una delle più note rappresentanti dall’inizio degli anni Duemila – sullo schermo scorrono le immagini del video della sua “Brotha”.

Talib, seguendo questo mood, continua cantando “Hot Thing”, realizzata in collaborazione con will.i.am, per poi indugiare ancora sul suo lato più romantico, con “Never Been In Love Before”. Tant’è che fra un pezzo e l’altro chiederà sorridendo al pubblico: “Credete nell’amore?”. Ma c’è spazio anche per la politica nei discorsi di Talib, come da sempre c’è ampio spazio per questo tema nella sua musica. Inneggerà infatti il pubblico a resistere al fascismo di questi ultimi tempi, e per sostenere il messaggio in sottofondo comincerà a risuonare “FDT (Fuck Donald Trump)” di YG e Nipsey Hussle.

Da qui in poi vengono celebrati altri personaggi che hanno gravitato intorno alla musica del rapper, e che sono purtroppo scomparsi: da MF Doom a J Dilla, di cui viene ricordata l’opera, replicando sul palco pezzi come “Raw Shit”, o Baatin degli Slum Village, rappando sul beat della loro “Fall In Love”, realizzato da J Dilla stesso.

C’è spazio inoltre per celebrare le radici reggae/giamaicane dell’hip-hop, quando il dj fa suonare classici come “One Blood” di Junior Reid o “Bam Bam” di Sister Nancy, per poi proseguire con uno dei pezzi più celebri e attesi di Talib Kweli: ovvero “Definition”, realizzato con Mos Def, e che è contenuto nel loro album cult del 1998, “Mos Def & Talib Kweli are Black Star”, pietra miliare dell’hip-hop East Coast.

Successivamente il rap old school di New York viene esaltato di nuovo, quando Talib decide di rappare sulla strumentale di “Check The Rhime” degli A Tribe Called Quest, e viene inoltre esaltata la sua serie di collaborazioni con Madlib, geniale producer californiano che è un mito per tutti gli appassionati del rap più alternative e ricercato.

Lo show continua fino a “Get By”, la hit del 2003 prodotta da Kanye West e con cui probabilmente Talib è più conosciuto. Sembra sia l’ultimo pezzo della serata, ma in realtà c’è spazio per un altro paio di hit, tra cui la bellissima “Respiration” dei Blackstar, che viene rappata mentre alle spalle scorrono le immagini del video in bianco e nero, con anche Mos Def e Common che si muovono tra i palazzoni popolari della New York anni Novanta.

È stato dunque un concerto che ha voluto non soltanto preservare dall’oblio un certo modo di concepire l’hip-hop, con le sue radici vecchia scuola di stampo newyorchese, ma anche rimarcarne il lato politico, da tempo ormai un po’ perduto, così come i generi da cui esso si è sviluppato, ricordando tutti coloro senza i quali, anche indirettamente, questa cultura che coinvolge milioni di persone nel mondo non sarebbe mai nata.