La musica di Anna B Savage è come una storia d’amore: può essere sofferta, oppure armoniosa. O entrambe le cose nello stesso momento. In ogni caso, qualcosa che vale la pena di essere vissuto. Il racconto del concerto all’Arci Bellezza di Milano. Di Edoardo D’Amato
Secondo Naoise Dolan, una delle più originali e talentuose scrittrici di oggi, In irlandese non c’è un modo diretto di dire “ti amo”. In effetti, se si prova a digitare “I love you” nei traduttori automatici, compare “Is breá liom thú”, che tradotto significa “I like you” (“mi piaci”). Non proprio la stessa cosa. Questo discorso si ricollega ad Anna B Savage, che prima di suonare la canzone “Mo Cheol Thú” al Circolo Arci Bellezza di Milano spiega che nel dialetto irlandese di Munster per dire le magiche paroline si utilizza un’espressione veramente romantica, che poeticamente fa coincidere l’amore con la musica. Il titolo della canzone infatti significa letteralmente “tu sei la mia musica“. È solo uno degli highlights di un live intenso, che l’artista inglese divide in tre parti: la prima tutta dedicata all’ultimo disco “You and i are Earth”, la seconda dove riprende invece i pezzi dei primi due e infine la terza in cui fa un mix.
Inizialmente di poche parole, Anna a poco a poco si scioglie insieme alla sua band, che, oltre ad accompagnarla nota dopo nota, sembra anche “proteggerla” ad ogni parola cantata, che suona sempre come una confessione a cuore aperto. Già nei lavori in studio, a partire da “A Common Turn”, si percepisce distintamente la sincerità con cui la cantautrice si racconta, ma nella dimensione da concerto tutto è ancora più amplificato da parole, gesti e sguardi che tradiscono le emozioni. A livello musicale, dal vivo l’esecuzione è impeccabile: sembra di sentire i suoi LP. Quello che stupisce è la voce di Anna: semplicemente magnetica, la potresti ascoltare per ore senza stufarti mai. Sia quando canta un pezzo come “I Reach for You in My Sleep”, dove sembra in pace col mondo, sia nel momento in cui invece stringe i denti e inizia a intonare:
“Dissolving in the car
With you on the A1 southbound
Can you hear my sadness?
Can I even make a sound?”

In “My Name” il suo canto, nonostante sembra sia sempre sul filo di strozzarsi dal dolore, raggiunge delle vette di intensità che fanno venire i cosiddetti brividini. Terminata la canzone, alla fine Anna si commuove e inizia a cercare gli sguardi d’amore dei compagni di palco, che prontamente arrivano. Ma anche il pubblico, che ha riempito l’Arci Bellezza (lo sapevate che è l’anagramma di “balli carezze”? Ci risiamo), non è parco di applausi a attestati di affetto.
Lo stacco dai fantasmi elettronici dei primi due dischi e l’apporodo al folk più classico dell’ultimo si sente eccome: gli andamenti febbrili di canzoni come “Pavlov’s Dog” o della title track di “in|FLUX” trovano una loro pace nelle ballad di “You and I are Earth”, dove fa capolino la chitarra di Nick Drake. Quello che stupisce, in ogni istante del concerto, è la versatilità timbrica e interpretativa di Anna.
“The Orange”, definita dalla stessa artista tra le sue canzoni scritte una delle più importanti, chiude il cerchio con le parole del testo conclusive “And if this is all that there is/I think I’m gonna be fine“. Non serve aggiungere altro.
