Il romanzo d’esordio di Elvio Carrieri (Bari, 2004), Poveri a noi è uscito per Ventanas Edizioni nel marzo del 2024. Ne parliamo in un’intervista sincopata sgusciata fuori quasi per caso dalla nostra chat Instagram degli ultimi mesi. Articolo a cura di Carolina Dema. Foto credits: Gaia Velli.
Un’intervista più GenZ di così si poteva pianificare solo attraverso botte e risposte di TikTok reel da trenta secondi l’uno. Ma questo scambio è stato pura improvvisazione, commistionata a una velatissima pressione egomaniacale, giustamente conseguita a eterni rimandi e promesse infrante. Finché tra risposte alle storie, chiacchiere in dm, settimane di ghostaggi, plichi di audio, rock’n’roll, e inglesismi di dubbio gusto (mea culpa) il giorno di Natale, presumibilmente tentando la dissociazione dai corrispettivi pranzi di famiglia, Elvio e io abbiamo compreso che l’intervista era stata dentro di noi per tutto il tempo, che eravamo, insomma, noi l’intervista; al di là della struttura e della volontà effettiva.
Di seguito, dunque, la trascrizione – all’incirca – fedele delle conversazioni sulla scrittura e, soprattutto, sul romanzo d’esordio dello stesso Elvio Carrieri, Poveri a noi, degli ultimi mesi.
Elvio, aggiungo, l’ho conosciuto nel settembre del 2024, quando si recò a Torino per presentare il romanzo alla libreria Trebisonda, in dialogo con la scrittrice sua connazionale (quanto è cardinale, del resto, nel libro la baresità) Paola De Pasquale.
Partiamo con Elvio che, in seguito alla mia lettura del romanzo, chiede giustamente cosa ne abbia pensato. A questa domanda seguono tre lunghi audio i quali, per amore del mio benessere mentale, non riascolterò. Li sintetizzerò scrivendo che mi è piaciuto molto il lavoro di ricerca della lingua; gli intarsi di dialetto barese naturalissimi, un dialetto – come mi pare di ricordare disse Elvio durante la presentazione a cui assistetti – senza bisogno di note a margine esplicative; la pateticità di un padre assente che da mitico guerrillero volontario in Bielorussia, si rivela un caracollante vecchietto appassionato di musica indie; un tipo che si fa chiamare Plinio Il Vecchio; le bellezze architettoniche fagocitate dalla speculazione urbana che diventano metafore dello sguardo sul mondo dei personaggi (l’inappetenza di Libero, l’indefessa ricerca della meraviglia di Letizia). L’unica perplessità l’ho trovata in Letizia, la fidanzata, che rischia talvolta di diventare organo funzionale a Libero: un manic pixie dreamgirl che talvolta sembra strumentalizzarsi per ripulire il protagonista dalla sua cinica disillusione. Chiedo inoltre negli audio se ciò che ha raccontato alla presentazione, ovvero che il libro è stato scritto in una sola settimana, (e che settimana, proprio quella in cui stava anche dando la maturità!) non sia in realtà un semplice mito creato a posteriori per sponsorizzare il libro, un’iperbole promozionale.
(nota: ogni punto a capo corrisponde a un messaggio)
ELVIO
Lo sai il personaggio di Letizia è iper divisivo
Secondo alcuni miei interlocutori (va detto, in questo caso tendenzialmente uomini) è il personaggio migliore di tutto il romanzo perché di fondo è l’unico positivo
Ma la tua obiezione non mi è nuova
Ci ho ragionato molto in realtà. È stato come se volessi preservarla da una vera e propria emancipazione (inteso come approfondimento) in quanto personaggio per non scavare e renderla di fatto l’unico personaggio positivo di un romanzo intero
Come se andando a fondo sarebbe venuto fuori del marcio pure sull’unico personaggio su cui puntavo
In più il suo ruolo da incredula in quel capitolo è puramente funzionale al racconto di Bari, la sua non appartenenza alla città è l’appiglio che ho per raccontarla
Però se penso a molti altri momenti specialmente sulla fine credo sia un personaggio molto, molto cazzuto. L’unico capace di avere presa sulla realtà e quindi effettivamente di agire
In sintesi io la penso come personaggio positivo, l’unico. Ma forse per renderla personaggio positivo ho dovuto preservarla dall’operazione di chirurgia che si fa quando si scrivono i personaggi, le ho tolto un passato e le ho tolto le nevrosi. Solo così mi riusciva di scriverne.
Spero tutto ciò non risulti in una visione estetizzata e ingenua della donna
CAROLINA
(altri audio che non riascolterò, per il suddetto motivo)
Instagram per fortuna ha tagliato i miei svarioni ma quello che volevo dire credo sia arrivato
Comunque a parte questo mi ha stupito la tua conoscenza in fatto di burocratese e tassazioni varie, e in generale l’approcciarsi a personaggi di età anche abbastanza lontane dalle tue (cosa che io per esempio non credo sarei in grado di fare) e infatti ero curiosa di sapere perché hai deciso di dedicare il tuo esordio a dei trentenni
E vabbè hai sorvolato sul romanzo scritto in una settimana, me lo accollo: keep your secret. Magari quando tra dieci anni faremo una conferenza alla sala d’oro del salone del libro i nodi verranno al pettine
ELVIO
(rispondendo al mio ultimo messaggio)
Ama scusami mi ero perso il mess
Ti confermo che è assolutamente vero
Ho anche le prove ahahahaha
Poi c’è stato editing ma il 90% del romanzo è stato scritto in 8 giorni
[la conversazione riprende dopo circa quindici giorni, in seguito alla reaction di Elvio a una mia storia Instagram su una recensione letteraria appena pubblicata]
CAROLINA
No comunque ultimamente sto pensando che le recensioni di libri sono super idiote, vorrei leggere solo approfondimenti culturali di dieci pagine in cui si fa l’esegesi di tutte le easter egg e i riferimenti del libro
Forse vuol dire questo diventare vecchi :,(
ELVIO
Arriva la fase
(menzionando la precedente conversazione)
Non hai visto che ti avevo rispppp
CAROLINA
Oopsi mi sto perdendo troppi messaggi ultimamente
(in risposta alla precedente conversazione)
Ecco ma quindi perché già?
Perché c’era la fretta di scriverlo in così poco tempo, I mean
ELVIO
Perché Forlani aveva fatto da garante per quel tempo e voleva impedirmi ripensamenti auto correzioni eccesso di zelo
CAROLINA
Lol futurista
ELVIO
Guarda fu una scelta a posteriori geniale
Perché in fase di correzione di bozze iniziai a riscriverlo e me lo bocciarono per le troppe modifiche
CAROLINA
Io personalmente credo che la scrittura sia un processo lento, sì alle revisioni, cambi, ripensamenti e rimuginìi . Però alla fine ognunə scrive nel modo che sente più giusto per sé stessə. Io tipo Kerouac lo amo, ma non riuscirei mai a partorire roba decente, scrivessi come lui in On the Road ecc
Però daje per te ha funzionato ed è uscito un bel libro quindi bombaaa
Ma last question
Il prossimo lo scriveresti sempre con questo modus operandi? O proveresti a darti più tempo?
ELVIO
Ama io partivo dal presupposto che il romanzo non era cazzo mio avendo sempre scritto poesia
Quindi di base qualunque metodo per me era nuovo
Ahahahahaha
(in risposta al mio ultimo messaggio)
Non lo augurerei al mio peggior nemico di dover produrre novanta cartelle in 8 giorni
CAROLINA
Hahahah okok ci sta capisco
Tra l’altro stavo ascoltando un podcast di Lucy e Nicola La Gioia ha appena detto “scrivere è sbagliare, scrivere è cestinare”, parlando dei primi i racconti di Marquez che voleva emulare Kafka
Boh niente mi ha fatto ridere la coincidenza
ELVIO
Ahahahahahaha è verooo
Ma la faremo mai sta intervistaaaa
[il seguente scambio di messaggi si è svolto tra la sera della Vigilia e il giorno di Natala; se per qualcun* può racchiudere qualche sottospecie di significato simbolico]
CAROLINA
Ma allora avrei una mezza idea di farla un po’ spuria
Nel senso tipo
Dialoghi su Instagram con Elvio Carrieri
O titolo più drip che mi verrà in mente
Perché alla fine già ci siamo detti un tot di cose qui in dm, anche in maniera abbastanza spontanea che mi piace
Potrei farti delle altro domande così e pigliare dalle altre nostre conversazioni
A me ispira come cosa
ELVIO
Letteralmente il motivo per cui l’ho pensato
Perché stava già avvenendo
Ahahahahahaha
CAROLINA
Hahaha infatti top, l’intervista è sempre stata dentro di noi
Eh dunque ti chiedo: perché Forlani ti ha proposto la scrittura di un romanzo, se fino a quel momento avevi manifestato solo velleità poetiche?
ELVIO
Perché si è creata una coincidenza irripetibile. Io venivo da mesi di staffetta indotta da lui con la produzione di pezzi di prosa, quindi stavo faticando con un mezzo non mio, lui al contempo a Parigi si è sentito dire da Laura: voglio un autore giovane per la collana Parole
Non ci eravamo messi d’accordo, io non sapevo niente, nemmeno chi fosse la casa editrice
Lui ha fatto la pazzia e ha dichiarato: ho un poeta che ti diventa romanziere in una settimana
Io ovviamente all’oscuro di tutto
Folle
Ah buon Natale in tutto ciò ma chissenefrega
CAROLINA
Che tu l’avevi conosciuto portando le tue poesie in giro giusto?
Che grande, il pimp della letteratura
Lol I hope this text finds you durante il pranzo di Natale all’italiana più lungo della storia
Poi c’ho in canna un altro paio di domande
Favorite dall’appropinquarsi di un’indigestione di pandoro etc
ELVIO
Le mandai per mail alla redazione di nazione indiana. Mi rispose lui e me le pubblicò. Fecero 5mila letture o roba simile
[il giorno dopo]
CAROLINA
Ok rieccomi scusa
Bombaaa
Allora domanda extra classica ma sempre interessante per me: quali sono gli autori e autrici (ma anche artisti non prettamente legati alla letteratura) che ti hanno in qualche modo ispirato per la scrittura di Poveri a noi?
E poi
Perché tu, scrittore di vent’anni, hai deciso di portare nel libro la storia di un gruppo di trentenni? Perché non quella di ventenni baresi di cui, si suppone, tu possa carpire al meglio l’esperienza? Non sto dicendo che sia obbligatorio fare autofiction (anzi ci mancherebbe, come sappiamo è una tendenza che ha i suoi punti deboli, e sono la prima ad apprezzare l’ingegno che sta dietro la costituzione di una storia di fiction, la ricerca, l’immedesimazione ecc), ma sono curiosa di capire da cosa è scaturito il bisogno di raccontare l’esistenza incagliata della prima adultitá, di raccontare la tua città attraverso gli occhi di un protagonista che bene o male si è già ricavato il suo spazio statico nella società e nel lavoro.
Anzi, l’hai scritto durante la maturità, quindi sarebbe potuto facilmente essere un romanzo ambientato tra i banchi di scuola
[dopo tre giorni]
ELVIO
Eccomi lol
Steinbeck mi ha dato il soggetto, i buddy movies me l’hanno condito. Il tono grottesco del linguaggio va da Rabelais e Folengo al dialetto in Piva
(in risposta alla seconda domanda)
Questa è una delle domande più frequenti (comprensibilmente). I miei trentenni sono trentenni solo su carta. Anagraficamente hanno un numero ma per il resto stanno altrove. Sono conglomerati di istanze nevrosi e anche attitudine brillante di certe figure a metà tra i dodici, i venti e i trenta. Non sono ragazzini di scuola ma neanche adulti (colpevolmente per loro, va inteso). Non è un caso che il primo lavori e l’altro sia fermo. Sono due spinte che si controbilanciano, la prima va avanti l’altra tira indietro verso lo stato infantile. Dovessi esplicitare la metafora direi che Plinio è l’impossibilità di crescere, anche fisicamente
[svariate ore dopo]
CAROLINA
Ok, capisco che intendi. E credo che si percepisca abbastanza nel romanzo
Ma a livello più, diciamo, viscerale, perché hai scritto di questi personaggi? Nel senso, considerato anche che è stato un romanzo su commissione, era una storia che avevi già in canna o l’hai partorita sul momento? E l’idea ti è giunta a mo’ di epifania (perdonami il romanticismo) o l’hai strutturata a tavolino (del tipo: voglio scrivere di questo, questo e quest’altro e il modo migliore per farlo è attraverso questi personaggi?) Sono apparsi prima i personaggi o i temi?
[ormai è da qualche giorno iniziato il nuovo anno]
ELVIO
[nove audio in cui si scusa profusamente per gli audio; ma, alla fine dei conti, li ha fatti lo stesso; segue trascrizione]
Vedi tu chi è resuscitato dalla tomba. Scusami lo iato [nota dell’intervistatrice: stava in effetti strascicando ed alitando le vocali in modo alquanto aggressivo], scusami l’attesa, ma tanto ho capito che il bello di questa nostra intervista su Instagram è proprio questo, che ce ne sbatte un cazzo di niente.
Ti manderò degli audio perché oggi sono molto pigro, ho finito di leggere Gadda alle 4 del mattino e non c’ho voglia di fare un cazzo quindi mi dispiace, mi dispiace assai se ti devi sorbire degli audio.
Allora, io credo che tutta tutta la questione sia riassumibile proprio nel carattere jazzistico, improvvisativo che io mi sono dato: cioè, avendo io un chiaro e ovvio limite di tempo, ma non avendo alcun tipo di limite in altro senso, quindi io potevo fare quello che volevo, scrivere di quello che volevo l’importante è che lo facevo, che buttavo tutto fuori, l’importante è che lo facevo subito, che lo facevo senza ripensamenti, senza eccesso di zelo. La chiave è stata scrivere di pancia e questo voleva dire scrivere in maniera jazzistica, in un certo senso.
Il primo e unico vero tema che mi è venuto in mente è stato proprio un’amicizia perché, non lo so, mi era parso che non ci fosse niente di più bello, ma anche di più doloroso – forse anche magari per dei rimbalzi della mia storia personale – di un’amicizia che finisce, o in generale, di un’amicizia incrinata, di un’amicizia che ha qualcosa che non va; di marcio alla base; più che di un amore. Infatti l’amore è collaterale. Nel romanzo il grande peso è l’amicizia. Ma non c’è stato niente di strutturato, nessuna – diciamo – composizione a tavolino, è stato anzi abbastanza folle anche concepirla la cosa.
Io semplicemente avevo fatto l’esame di maturità il 3 luglio, e avevo avuto la commissione il pomeriggio. Ero andato in ansia perché non sapevo che cazzo fare, non sapevo che cosa scrivere, non sapevo niente.
Poi la sera ero andato a casa della mia ragazza, cioè non a casa della mia ragazza, ero andato a un forno a casa della mia ragazza nel suo paese di origine, che ti rivelo essere Fasano. E niente, mi ero fatto un po’ stordire da questo folclore locale, da questa famiglia proprio piena di gente che se ne torna da tutte le parti del mondo e che si rivede per mangiare il caciocavallo e il capocollo di Martina Franca, e da tutte anche le pallosità del caso, diciamo.
Quindi poi, quando sono tornato da questo forno – che poi non è manco una roba di Bari, cioè è proprio una roba paesana, fasanese, il forno, nella loro villa col trullo eccetera eccetera – insomma, quando sono tornato a casa non riuscivo a chiudere occhio e intorno alle 2-3 mi è venuta in mente questa roba di un pazzo che è convinto di reincarnarsi in Plinio il Vecchio, cioè di uno che si fa chiamare Plinio il Vecchio e quindi preso da questo furor, e anche poi suggestionato da quello che avevo appena fatto, da tutta una serie di circostanze psicosomatiche, è nato l’incipit, ma è nato probabilmente tutto il primo capitolo in una botta, se non ricordo male.
Niente è stato programmato, cioè io non avevo davvero idea, anche una volta scritto il primo capitolo, di come la storia potesse andare a parare. Mi svegliavo ogni giorno, sapendo che avrei dovuto fare minimo 20.000 battute, senza sapere quello che avrei scritto.
Cioè era proprio pagina bianca, cioè poi, pagina bianca. L’altra cosa vergognosa è che l’ho scritto sulle note del telefono, quindi… Ma che per me sono più sono più comode del computer e quindi niente: era un totale salto nel vuoto ogni giorno. Però, ecco, per concludere, la cosa seriamente determinante è stata l’amicizia: stata questa idea di un’amicizia dannata, inclinata, irrisolvibile, anche un po’ maledetta, diciamo corrotta dal male, che dobbiamo di’.
Correggo, non maledetta né corrotta dal male, perché non c’è niente di maledetto. Più che altro, ecco, irrisolvibile; cioè che questa idea di conflitto irrisolto – capito? – di ineluttabilità del dislivello tra i due. Vogliamo fare i GenZ, chiamiamola di tossicità. Ecco, questo era il tutto, questo era il dunque: questi due amici, sto pazzo che è convinto di essere Plino il Vecchio, e una certa paesanità di fondo. E quindi, niente, scusami se mi sono dilungato.
PS so già che mi odierai per gli audio e mi sto già sentendo in colpa
[dodici maledettissimi giorni dopo]
CAROLINA
Merdaaa mi ero totalmente persa scusascusascusa
Ok ora sto morendo di influenza, ma post Tachipirina ascolto. I swear ce la possiamo fare a finire questa intervista
ELVIO
Adoro tutto ciò. Tolta la tua influenza
CAROLINA
intervista più jazzata nella storia della letteratura, dopo quella che ho fatto alle Yslam Girlz che non pubblicherò mai perché ho registrato il video senza audio e perché mi hanno bullizzato dandomi del Pascoli
[Yslam Girlz, se state leggendo: scusate se ne venite a conoscenza così, ma sono stata succube di un episodio dissociativo per tutta la durata della nostra conversazione e, dai, alla fine non ha un suo senso profondo che la nostra intervista rimanga effimera come la performance artistica che mi avete imposto nel corso della call online?]
oh comunque dopo 5 mesi(?) [Nota dell’intervistatrice: da quando abbiamo iniziato a parlare dell’intervista] penso che ce l’abbiamo fatta
ringrazio te e soprattutto l’app di trascrizione vocale senza cui tutto ciò non sarebbe mai stato possibile
mo inizio a buttare giù, vediamo se non ci metto altri 5 mesi a pubblicarla lol
[taglio alcuni messaggi di carattere più personale per non rovinare il pathos dell’intervista e finire con]
ELVIO
Macché. Siamo jazzisti
[Fin.]
CAROLINA
nooo aspetta mi è venuta in mente un’ultima domanda
Visto che sei anche musicista, come si interseca – se lo fa – la composizione musicale con la scrittura – c’è qualche similarità o completa opposizione tra i due processi?
ELVIO
Completa e necessaria opposizione. Infatti sono contro la poesia musicata (nel 2025, non nel VI secolo a.C.), orrore. Mi si attivano due aree diverse del cervello, ma non so se sta cosa ha validità da un punto di vista neurologico lol. Ti dico che se scrivo non voglio suoni e se suono, figuriamoci se compongo, non voglio leggere. Non ci riesco proprio. Sarà un limite ed è triste che io non riesca a spiegarmelo
[Ok, ora, per davvero. The End]
Foto credits di copertina: Gaia Velli