Il Linecheck Festival, con il supporto di roBOt, conclude la sua edizione del 2024 a Bologna, in una serata che grazie a Mace e altri nomi del panorama internazionale unisce dance e ricerca musicale. Report a cura di Filippo Santin.
Da qualche giorno a Bologna è iniziato il freddo vero, quello che ti fa chiedere se “stasera voglio uscire o preferisco restare a casa sotto le coperte”. Questo però non significa che gli eventi in città diminuiscano, anzi. Sabato 23 novembre, per esempio, al DumBO ha avuto luogo la serata conclusiva del Linecheck, giunto ormai alla sua decima edizione, festival che si muove tra Milano e Bologna, e che negli anni ha organizzato non solo concerti ma anche incontri, talk, ospitando nomi importanti della scena musicale italiana e internazionale. Nel capoluogo emiliano, in collaborazione con roBOt e Music Innovation Hub, ha portato quindi DeFe, Quantic, Kabeaushé e Mace, per una serata che, visto il sold out ottenuto, malgrado il freddo è riuscita a convincere la gente a non restare a casa sotto le coperte.
In fila all’ingresso si notavano persone di varie età, giovani presumibilmente attratti soprattutto dal nome di Mace – che, per chi non lo conoscesse, negli ultimi anni ha collaborato con rapper e cantanti tra i più noti nella scena italiana – ma pure persone nella loro “mezza età”, che frequentano spesso gli eventi del roBOt dedicati alla musica elettronica più ricercata. Anche l’abbigliamento differiva abbastanza: c’era chi sfoggiava soltanto sneaker semplici, al massimo qualche felpa oversize e un cappellino, ma anche chi faceva suo un tipico outfit da clubber berlinese, total black e magari inforcando anche degli occhiali da sole. Citando Berlino, bisogna dire che il DumBO ricorda vagamente un posto dove si potrebbe ballare nella capitale tedesca, vista la sua estetica industriale, dato che ha sede in un ex-capannone ferroviario poi riqualificato.
La serata inizia presto, attorno alle ventidue, fedele agli orari annunciati. A salire sul palco per primo è DeFe, attivo ormai da una quindicina d’anni nella scena musicale bolognese, con i suoi dj set in vari locali. La sua selezione che spazia tra molti generi, come soul, funk, jazz, musica latina, caraibica o ritmi africani – rigorosamente in vinile – fa da apripista al dj set successivo, quello di Quantic, che seguirà questa scia sonora. All’anagrafe Will Holland, prolifico musicista inglese che dal 2001 ha pubblicato numerosi album anche sotto diversi pseudonimi, si è sempre dedicato all’esplorazione di generi lontani dalla tradizione della sua madrepatria, come per esempio la cumbia, che ha avuto modo di approfondire nei suoi viaggi che lo hanno portato tra l’altro a vivere per anni in Colombia. La sua scelta di dischi va a pescare proprio in certi territori, indugiando su ritmi latini o afro-caraibici, che fuoriescono anche da produzioni realizzate dallo stesso Quantic – come per esempio la sua cover in versione cumbia di “Hotline Bling” di Drake, suonata assieme ai Los Miticos Del Ritmo. Si balla in modo rilassato, quindi, appena prima di lasciare posto al live di Kabeausché che però si attesta su corde ben più energiche.
Nato in Kenya ma di base a Berlino, la sua musica è difficilmente inquadrabile. Si muove infatti nelle zone della sperimentazione, mescolando melodie pop ma anche una certa elettronica “disordinata”, che può esplodere all’improvviso. Il falsetto di Kabeaushé sa creare atmosfere sonore morbide, che però vengono travolte di colpo dai bassi delle 808, ed è un po’ quello che succede sul palco del DumBO. Presentatosi a petto nudo, Kabeaushé cerca immediatamente di coinvolgere il pubblico non solo con la sua musica, ma anche con le sue movenze agitate, che possono magari ricordare l’aura di Tyler, The Creator. Si nota questa voglia di far perdere le inibizioni a chi sta ascoltando, a far sì che la gente si scateni mettendo da parte il suo ego, tant’è che Kabeaushé stesso in più occasioni scende dal palco e si mescola alla folla, invitando anche a pogare seppure senza troppa violenza, rispecchiando così la sua musica che si sposta frequentemente da “dolcezza pop” ad aggressività quasi vicina al noise. Ed è qui, probabilmente, che si crea una linea di intenti comuni con quelli di Mace, che si metterà dietro alla consolle intorno all’una e mezza di notte. Anche da parte del producer milanese, infatti, c’è da sempre l’intenzione di portare gli ascoltatori altrove, più in là della propria individualità e avvicinandosi invece a un’esperienza collettiva, così come tenta di fare durante i suoi live pure un collega come Cosmo.
Sul grande schermo alle sue spalle appare soltanto il logo del suo nome d’arte, mentre viene accolto dai fan con urla di approvazione che di solito si riservano alle rockstar. È la dimostrazione che Mace, grazie soprattutto alle collaborazioni con Salmo, Blanco, Coez fra i tanti, e ai suoi dischi da producer “Obe” e “Māyā” dove ha riunito nomi altrettanto noti, ha oggi raggiunto una fama davvero grande fra i giovani – in particolare nella fascia 20-25. Ma allo stesso tempo, nonostante il successo commerciale, pare sempre disinteressato al cercare “formule semplici” o al lasciarsi incasellare in un personaggio ben definito. Fin dai suoi esordi come classico beatmaker hip-hop, si è poi mosso lontano, avvicinandosi all’electro o alla trap prima della sua esplosione in Italia, ma si è mosso lontano anche fisicamente, viaggiando in tutto il mondo come dj dopo essersi inoltrato di più nell’elettronica e addirittura trasferendosi in altri paesi come il Sudafrica. Durante il suo set al DumBO questa sua tendenza all’esplorazione, non solo musicale ma anche personale, che non si vuole porre limiti, sembra trasparire bene. La musica scelta non va verso un’elettronica facilona, danzereccia, ma delinea delle sfumature psichedeliche, con tocchi di ambient, che ammorbidiscono un po’ la cassa dritta e cercano di creare pure un’atmosfera di serenità. E a quanto pare Mace ci è riuscito, perché alla fine ringrazierà il pubblico bolognese, con cui già ha avuto spesso a che fare in passato, concludendo una serata capace di spaziare grazie ai vari artisti tra clubbing “edonista” ma anche ricerca musicale, multiculturale, e aspirazione ad “abbassare le difese” tramite la musica, in un mondo che invece preme sempre sul consolidare il proprio individualismo.