Da quando vivo a Torino, sento spesso dire che “Torino è la città del cinema.” È una frase pronunciata con convinzione e felicità, quasi come un augurio per la sopravvivenza del cinema. Sorprende che a dirlo siano spesso persone che fanno parte del pubblico casuale delle sale. Tra il Museo del Cinema, le programmazioni ricche delle sale e i numerosi festival che animano la città quasi ogni mese, si è formata l’immagine di Torino come culla del cinema. E in effetti forse lo è, ma ci sono certe zone d’ombra che non sempre vengono esplorate. Ed è grazie a realtà come il Cineteatro Baretti che vengono approfonditi generi e argomenti “difficili” da portare in sala. Ogni anno, questo spazio sostiene progetti unici e identitari che vogliono attirare l’interesse del pubblico verso autori, artigiani, tecnici e correnti spesso ignorati/e in Italia.
Il weekend dall’ 8 al 10 novembre si è svolto il FREAK FILM FESTIVAL, un titolo che non può passare inosservato, perché cosa significa freak all’interno del linguaggio cinematografico visto che in base ad ogni epoca storica del cinema, il freak può essere Robert Wiene, Orson Welles o Lars Von Triers, tutto dipende da chi guarda. Il Festival si è diviso in tre giornate per cercare di dare una propria idea di cinema che rappresenti la marginalità, soprattutto dei giovani, visto che è stato organizzato dai giovani per i giovani, lo so sembra un motto di qualche ente europeo o di qualche politico ma questo festival è realmente così, sia chi lavorava nella sala, sia gli ospiti invitati e il pubblico facevano parte di quella fascia di popolazione che è una minoranza in questo paese.
“La vita non è bella, il film finisce di merda” – Vashish
La prima giornata ha chiarito le intenzioni degli organizzatori con la proiezione di Funeralopolis – A Suburban Portrait, alla presenza del regista Alessandro Redaelli. Questo documentario osservativo e crudo esplora la marginalità immergendosi nella vita della provincia italiana, tra dipendenze, musica e noia. Il dibattito con il regista ha toccato vari temi dal perché realizzare un documentario di osservazione, la censura in italia e lo stato (decadente) del cinema italiano. La forza di questo festival è stato inserire i concerti di Gheddi, Nor e Vashish dopo la proiezione di questo documentario, la musica è importante per il cinema e viceversa. Vashish rapper e protagonista di funeralopolis ha rappresentato perfettamente l’identità del festival, perché è appasionato di un certo tipo di cinema di genere ed è un esponente del rap hardcore, quei generi che si spingono al limite per riflettere i vari aspetti della società e dell’essere umano. La sua esibizione live si avvicina più a un concerto punk che al classico live rap, ed è reale,cruda e unica. Le proiezioni seguite da dei concerti sono una formula vincente che tutti i film festival dovrebbero utilizzare.
La seconda giornata ha presentato la rassegna Free the Freak, con quattro film che rappresentano quattro diversi tipi di “freak”: il ribelle in chiave grottesca e parodistica di Cry Baby di John Waters, l’inetto nell’intenso realismo di A Woman Under Influence di John Cassavetes, il conformista nel mockumentary satirico Zelig di Woody Allen, e infine il radicale nel crudele Sick of Myself di Kristoffer Borgli. Personaggi disadattati che non sanno trovare un posto nella società ma allo stesso tempo registi reietti lontani da quell’industria hollywoodiana che troppi ammirano.Un percorso tra generi, stili e temi differenti che scavano nella mente degli essere umani fino a chiedersi “cosa si è disposti a fare pur di essere visti?”
La terza e ultima giornata purtroppo non sono riuscito a seguirla, ma si è divisa tra un concorso di cortometraggi realizzati da autori under 35, serigrafia di poster e t-shirt del Laboratorio Zanna Dura e l’incontro con proiezione della trilogia Uomo Macchina del regista Andrea Gatopoulos.
“Per me, il cattivo gusto è ciò che rende l’intrattenimento interessante. Se qualcuno vomita mentre guarda uno dei miei film, è come ricevere un’ovazione in piedi. Ma bisogna ricordare che esiste il cattivo gusto buono e il cattivo gusto veramente brutto. Sono orgoglioso del fatto che il mio lavoro non abbia alcun valore socialmente redentore.” – John Waters.
In tre giorni, il Freak Film Festival è riuscito non solo a rappresentare la marginalità in diversi aspetti, ma anche a creare un percorso fatto di documentazione, rappresentazione e sperimentazione cinematografica. Il festival ha unito il cinema ad altri linguaggi artistici come il rap e la serigrafia, dimostrando la capacità del cinema di influenzare e lasciarsi influenzare.
L’interesse verso il ruolo marginale dei giovani ha rappresentato un percorso di identificazione tra vari generi cinematografici, musicali, artistici e gender. Sostenere festival come il Freak Film Festival significa valorizzare spazi dedicati alla diversità artistica e culturale, che danno voce a opere e autori marginali, ma ricchi di originalità e prospettive uniche. Questi eventi non solo ampliano la nostra visione del cinema, ma alimentano un dialogo autentico e inclusivo su temi che raramente trovano spazio nei circuiti più convenzionali.
Articolo a cura di Norman Gontier e foto di Nicolò Canestrelli.