Il mondo entra nel teatro, dal teatro si guarda al mondo. Il Festival delle Colline Torinesi porta in scena spettacoli internazionali e italiani, per riflettere sul tema del confine e sconfinando tra le arti. L’attenzione verso le avanguardie teatrali, la curiosità verso la ricerca di nuovi linguaggi scenici e drammaturgici, la scoperta di nuovi talenti, sono gli elementi su cui si fonda la rassegna che torna dal 12 ottobre al 10 novembre. Vi segnaliamo i prossimi appuntamenti. Clicca QUI per il programma completo del festival.
Ecco i prossimi spettacoli in programma:
HANNAH – 22 > 31 ottobre al Teatro Gobetti Sala Pasolini
Al tema delle migrazioni storiche degli anni ‘30 fa riferimento il monologo dedicato a Hannah Arendt. Lo interpreta Francesca Cutolo su drammaturgia di Sergio Ariotti. La forma è quella di una conferenza-spettacolo alla Sala Pasolini del Teatro Gobetti. Due tempi: una prima parte datata 1943 e una seconda nei giorni nostri. In una si cominciava a discutere della soluzione finale di Hitler, di Auschwitz e della condizione dei migranti in America come analizzata in Noi rifugiati. Nell’altra, dell’eredità culturale della Arendt che ci parla anche del processo Eichmann, di Stato di Israele e mondo arabo, argomento drammaticamente attuale. Nel monologo si scoprirà una donna scaltra, passionale, coraggiosa.
LAPIS LAZZULI – 22 e 23 ottobre alle Fonderie Limone
Ispirandosi all’affascinante pietra semipreziosa blu rinomata per il suo comportamento imprevedibile sotto pressione, Laskaridis crea un nuovo mondo accattivante ed enigmatico pieno di dualità intriganti. Il nome stesso della pietra, lapislazzuli (spesso tradotto come la “Pietra del Cielo”), allude ad un’origine sia terrena che celeste. È stata proprio questa dualità insita nel nome della pietra ad innescare la ricerca dell’artista di portare in scena uno spettacolo di contrasti af-fascinanti. Con questo spettacolo continua la collaborazione tra Torinodanza e le Colline Torinesi.
SAHARA – 26 e 27 ottobre al Teatro Astra
Con Sahara si ricerca la condizione iniziale dell’artista che ha, come materia, soltanto la propria persona. La grande povertà di materie e di relazioni nel deserto spinge la danza a considerare soltanto ciò che si ha: se stessi, come unico – primo e ultimo – strumento. Forme inesistenti e irriproducibili sono realizzate se non attraverso se stessi. Ma il deserto è anche luogo di massima ombra, visto che si tratta sempre della propria, e ciò obbliga comunque alla compagnia, anche se fosse soltanto con i prodotti della propria mente; pensieri tanto numerosi da risultare strane infiltrazioni del passato… La mente non è un luogo esclusivamente proprio… Il deserto racchiude tutte le fantasie e il suo ambiente è falsamente vuoto, popolato, com’è, di immagini mentali di ogni specie. Lo avevano capito bene gli anacoreti di un tempo, che proprio nel deserto andavano a combattere le immagini del mondo… Ancor prima di essere una situazione spaziale, il deserto impone una condizione temporale massimamente elastica: momenti di attesa esasperante e momenti di repentina prontezza, che la musica, composta su commissione, detta.
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***SPETTACOLI TERMINATI***
IL FUOCO ERA LA CURA – 15 e 16 ottobre al Teatro Astra
Fahrenheit 451 di Ray Bradbury descrive un futuro distopico in cui è vietato leggere, schermi costantemente accesi alienano il tempo libero delle persone e il tentativo di pensare causa malessere fisico. Ironicamente, il corpo dei pompieri non è più impiegato per spegnere gli incendi, bensì per bruciare i libri e se necessario i loro possessori. Il fuoco era la cura attraversa e rilegge liberamente Fahrenheit 451, lo consuma come si fa con un libro amato, letto mille volte e trascinato in mille luoghi, lo sporca, lo dimentica da qualche parte e poi lo ritrova, mentre la copertina sbiadisce, la carta si scolla e le pagine si riempiono di appunti, biglietti, segnalibri e ricordi. Cinque performer ripercorrono la storia del romanzo, si identificano coi personaggi, si muovono in senso orizzontale mappando i coni d’ombra, le cose che Bradbury non ci spiega o non ci racconta, creando linee narrative parallele, deviazioni teoriche, costruendo anche le cronache di un tempo intermedio fra il nostro presente e un futuro anticulturale in cui l’istupidimento ci salva dal fardello del pensiero complesso. Se Bradbury si fosse sbagliato solo di qualche anno, se Fahrenheit 451 accadesse davvero, noi cosa faremmo?
“Non è necessario bruciare libri per distruggere una cultura. Basta convincere la gente a smettere di leggerli.”
CENCI. RINASCIMENTO CONTEMPORANEO – 15 > 20 al Teatro Gobetti
prima – presentato con Teatro Stabile Torino
11 settembre 1599, Roma. Beatrice Cenci, nobildonna appartenuta a una delle più influenti famiglie dell’epoca, viene giustiziata per parricidio, per essersi difesa dai ripetuti abusi di un padre violento e depravato dopo innumerevoli e ignorate richieste di aiuto. Vittima prima dei soprusi, poi della giustizia. Il processo spacca la città: “aver volontà di togliersi dall’ingiustizia è delitto o justizia”? Il giorno dell’esecuzione Caravaggio e Artemisia Gentileschi assistono alla decapitazione; quell’immagine si imprime nel loro sguardo, è una discesa ripida nella carne che genera visioni. Quel teatro della crudeltà è oggi per noi un attributo del concetto di verità. Cenci traccia una linea che attraverso i secoli giunge a noi sinistramente intatta nel suo nucleo primordiale, seppur mascherata dietro civili sembianze. Vi si denuncia l’anarchia del male, la responsabilità personale dell’ingiustizia che si propaga all’intera società, la religione come fondamento e condanna dell’edificio sociale del nostro Paese, così malato e bisognoso di laicità.
“Il corpo umano è un campo di battaglia dove sarebbe bene che noi ritornassimo. C’è ora il nulla, ora la morte, ora la putrefazione, ora la resurrezione”.
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