Altro che Satanismo: Church of Crow Festival è un modello virtuoso

Band provenienti da mezzo mondo e devote alle sonorità più cupe del metal si sono ritrovate a suonare in una chiesa sconsacrata arroccata tra le viuzze di un paesino piemontese: l’occasione è data dal festival di due giorni Church of Crow, nato dalla volontà di Valerio Leynir Possetto di riproporre un modello di evento europeo nelle lande spesso desolate del “Piemorte”. Reportage a cura di Lorenzo Giannetti. Clicca QUI per la gallery fotografica. 


Dato che si tratta di un festival Doom Metal, dedicato quindi alle sonorità più dilatate e pindariche del genere, consentitemi di prenderla da lontano, lentamente.

Qualche settimana fa ho visto al cinema il docufilm Kissing Gorbaciov, sulla rocambolesca avventura dei CCCP in Russia negli Anni 90. No, i CCCP non centrano nulla col metal e nemmeno voglio sfruttare la Fede religiosa ritrovata da Giovanni Lindo Ferretti come gancio per parlare del binomio chiesa/rock. Mi è venuto in mente Kissing Gorbaciov perché nel documentario viene raccontato un episodio a dir poco surreale: quello in cui un manipolo di giovani rappresentati del Partito Comunista pugliese scrivono una lettera all’ambasciata russa proponendo una sorta di scambio culturale sull’asse italo-russo al fine di far suonare delle band nostrane in URSS (spoiler: ci andranno, tra gli altri, proprio i CCCP) e portare in Italia il meglio della scena underground sovietica. Ecco, contro ogni pronostico e forse al di là di ogni immaginazione, a rispondere a quella richiesta pare essere stato Michail Gorbaciof in persona, acconsentendo ad una operazione sulla carta piuttosto improbabile negli Anni della Cortina di Ferro, o per lo meno molto ardita.

Ecco, con un volo pindarico e con le dovute proporzioni, mentre bestemmiavo per lo sciopero dei treni domenicale segnalato in maniera come al solito piuttosto laconica da Trenitalia, cercavo di immaginarmi il momento in cui Valerio Leynir Possetto, ovvero l’organizzatore del Church of Crow, si deve essere ritrovato in un ufficio comunale per proporre un festival di matrice depressive metal in una splendida chiesa seicentesca in via San Giuseppe di Pinerolo.

Organizzare un festival di questi tempi in Italia è già di per sé un percorso ad ostacoli, così diventa uno sport estremo. Fortunatamente, come la Madre Russia coi nostri giovani militanti pugliesi, anche il Comune di Pinerolo si è rivelato più aperto, disponibile  e oserei dire lungimirante della media, come del resto già avevo avuto modo di constatare l’ultima volta che effettivamente avevo messo piede nella suddetta chiesetta pinerolese, in occasione del festival di avanguardia Musica in Prossimità, fiore all’occhiello di zona (così come il mercatino dell’antiquariato che accompagna la nostra via crucis fino alla location dei concerti). Preso atto con piacere della fumata bianca della politica local, evidentemente non stagnante in certe dinamiche tipiche della provincia sabauda, mi immergo senza remore nella coltre di decibel dispiegata dalle band in cartellone. E che band! Purtroppo posso seguire solo la domenica, seconda giornata di festival, a seguito del battesimo di fuoco del sabato avvenuto tra le braccia di Skepticism, Kypck e molti altri guerrieri doom.

Ad accoglierci in questo rituale domenicale sull’altare del Church of Crow, ci pensa una delle eccellenze nostrane da esportazione: Il Ponte del Diavolo sono ormai a tutti gli effetti tra i local heroes più ricercati anche sui radar internazionali, forti di una sezione ritmica cingolata plasmata sul doppio basso, d’una vocalità istrionica e di una proposta accattivante, figlia bastarda di influenze black, post e darkwave. La band gioca quasi in casa e il pubblico reclama a gran voce un bis che arriva una atmosfera sorniona e familiare. La bella cartolina di un festival che sembra unire un approccio molto DIY e senza troppi fronzoli ad un respiro internazionale. Merita citare, al tal proposito, anche il collettivo Burning Tower – Il Ponte del Diavolo ne è anima e motore – che con grande costanza sta portando a Torino nomi di rilievo del panorama musicale estremo.

Il primo impatto col Church of Crow è quindi un assalto brutale che ha il sapore di casa.

Subito dopo i Black Oath apparecchiano una situazione più scenografica dalle vibes esoterico: trucco pesante, candelabri ornamentali e un doom metal classico ma famelico il giusto, dritto per dritto nel solco sabbathiano. Comfort Zone? Sì, e va bene così.

A proposito di fame, la zona “food & drink” del festival è allestita negli spazi adiacenti del Circolo Sardo Grazia Deledda. Se il connubio metallo-clero ha ormai una sua iconografia storicizzata, la combo Quattro Mori Total Black è visivamente più inedita e accattivante. Scherzi a parte, le Ichnusa finiscono in fretta, così come la proposta vegetariana, ma paninozzi abbondanti e servizio ruspante sono un toccasana e il circolo sardo è un’oasi costellata di banchetti merch interessanti (ce ne sono anche all’interno della chiesa, dove sono fatalmente attratto dalla t-shirt di Kali Yuga Bizzarre degli Aborym). I concerti continuano accumulano un ragionevole ritardo, il controllo alla porta è scrupoloso sì ma non troppo invasivo: encomiabile data la situazione, diciamo, “borderline” il tentativo di assicurarsi di mantenere sempre il numero adeguato di persone all’interno della location senza risultare troppo nazi-pedanti.

Arriva il momento dei tedeschi Dawn of Winter, che non è facilissimo vedere da questi parti, di fatti c’è una zoccolo duro di fan fedelissimi che canta quasi tutte le canzoni tra le prime file con grande trasporto. Siamo di fronte a dei veri e proprio paladini del genere, dei cavalieri doom senza macchia, con una proposta (ed una formazione) rodatissima e granitica che affonda le sue radici nel magma metal degli Anni Ottanta. A tratti è commovente vedere come questi veterani si raccontino sul palco come se fossero ad una riunione familiare. Un concerto intimo da cantare con le corna al cielo fatto di inni sacri per gli orfani del doom delle origini. A questo punto è a loro che voglio riferire liberamente la scritta latina che capeggia sopra il palco: “Tidi derelictus est pavper, orphano tv eris adivtor / A te si affida l’infelice, sei tu a soccorrere l’orfano”.

L’ultima esibizione della serata è quella con cui gli Shape of Despair ci trascinano in un viaggio al termine della notte di abbacinante bellezza. La band finlandese, tra le teste di serie del funeral doom mondiale, si conferma all’altezza del suo ruolo e delle aspettative, grazie ad una performance sublime e monumentale di rara intensità. Una musica totalizzante che è intreccio di voce maschile e femminile ma soprattutto è fusione di elementi contrastanti: contemporaneamente tappeto vellutato e muraglia impervia, fiume placido e marea incontrollabile. Caos calmo.

Una catarsi finale che fa apprezzare ancora di più il discorso di chiusura invocato dal pubblico e ovviamente affidato al demiurgo Leynir, che altissimo svetta sul palco e con estrema semplicità e senza troppi fronzoli dice solo “Grazie a tutti coloro che hanno reso possibile questo festival”.

Un festival che si è rivelato una perla underground a livello nazionale e pare avere buoni margini di miglioramento. Altro che Satanismo, il Church of Crow Doom di Pinerolo Festival è un esempio virtuoso di passione condivisa in provincia. Preghiamo di non perderlo.

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