Miglio è una cantautrice d’origine bresciana, bolognese d’adozione e dalla scrittura cosmopolita. Il suo ultimo disco si intitola Futuro Splendido e per tematiche e disposizione d’animo non evoca affatto un futuro splendido. La sua scrittura malinconica e al contempo burrascosa potrebbe ricordare, per vibrazione e sfumature, le sperimentazioni al crocevia tra pop, elettronica e poesia di artisti come Meg o più recentemente BIRTHH. Canzoni come temporali improvvisi, evidentemente dettate da una urgenza istintiva e a tratti ferina. Se il futuro splendido evocato dal titolo del disco è più una speranza che una prospettiva, le atmosfere in ballo evocano direttamente scenari cinematografi più cupi e conturbanti, paesaggi in disordine probabilmente non lontani dalle spiagge deturpate di Vasco Brondi. Una sorta di distopia di provincia: metafisica, sensuale e spietata come in un film di Yorgos Lanthimos.
Abbiamo raggiunto Miglio per approfondire un po’ tutte le suggestioni di questo esordio. Intervista a cura di Lorenzo Giannetti.
Parto dicendoti che ti ho scoperta qualche mese fa grazie al Premio Buscaglione. Ti va di raccontarmi un po’ come ti sei vissuta quella esperienza, in trasferta e in concorso – per quanto sia un concorso un po’ atipico, più simile ad una grande festa. C’è qualcosa che cambieresti del modo in cui affrontato quelle giornate?
“Ho un buon ricordo delle due giornate e dei due live nelle corrispettive serate. Come hai anticipato tu l’aria che si respirava era più di festa o come se fosse un festival dove più artisti condividevano la stessa serata. Diciamo che non l’ho proprio vissuto come un “concorso”, non concepisco la musica come una gara quindi il mio approccio in generale a queste cose è orientato al suonare e all’avere la possibilità di fare un live in luoghi dove si può arrivare ad altre nuove persone.”
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Parlando dell’aspetto performativo, mi piacerebbe approfondire un po’ di aspetti. Hai una scrittura molto introspettiva, che si intreccia ad una composizione molto catartica e mi verrebbe da dire un po’ rituale, sciamanica. In un certo senso ti visualizzavo molto come una performer solitaria. Sul palco del Buscaglione ad esempio eravate in due. Come gestite e gestirai la vostra dimensione live? In futuro ti piacerebbe ampliare ulteriormente l’organico?
“La dimensione live, i concerti per me hanno una loro dimensione fuori dal tempo e dallo spazio, si tratta di qualcosa di poco “controllabile”, è un discorso molto introspettivo. Sul palco condivido con i musicisti che ho scelto per la formazione live, in questo caso si tratta di un solo musicista al momento e di un’altra figura, che è quella del fonico, in sala, che gestisce nel dettaglio i suoni (al Buscaglione non c’era però la possibilità di portare questo elemento). È importante la comunicazione con chi suona con me, soprattutto nei momenti di “sperimentazione” sonora/strumentale, mi
piace condividere la musica con gli altri. Sicuramente per il futuro il set verrà ampliato con la possibilità di avere qualche macchina in più sul palco e di gestirla in maniera più ampia sotto certi punti di vista. Al momento la soluzione doveva essere “smart” (per motivazioni di gestione anche economica) ma al contempo performativa.”

Si è già detto in maniera abbastanza diffusa che le tue canzoni evocano immagini e trascinano luoghi. C’è qualcosa di molto astratto e onirico ma allo stesso tempo molto concreto, palpitante e palpabile. Se potessi scegliere senza pensare a budget e logistica, in quale luogo-location ti piacerebbe portare la tua musica per una sorta di concerto ideale?
“Potrei elencarne più di uno: sul mare, non so in quale modo, ma con il mare attorno. Poi sicuramente in una distesa di campi infinita con le montagne o le colline davanti e per ultima in una chiesa. Ma nel mezzo ci sono altri posti sicuramente, qualche anfiteatro all’aperto su qualche isola. Tutto ciò di notte.”
La domanda precedente mi è venuta in mente anche perché collaboro anche con la rivista Zero e avevo letto l’intervista in cui parli della Bolognina. So che sei stata un po’ apolide tra Brescia e Bologna, ora sei in tour in giro per l’Italia: domanda generica per una risposta aperta… come è girare in tour? Come sta andando?
“Ci pensavo proprio l’altro giorno. Questa è la prima estate dove ho avuto la possibilità di suonare abbastanza in giro, incontrare persone diverse, luoghi differenti, festival differenti. Essendo estate sto frequentando principalmente i festival e mi sono resa conto che sono ambienti molto belli (nella maggior parte dei casi), pieni di persone che lavorano per far sì che tutto vada nei migliori dei modi e alla fine cercano di cooperare tutti per la buona resa di una serata, dei concerti. È un aspetto molto interessante. Sembra sempre una festa e nonostante io non sia una grande frequentatrice di queste ne apprezzo molto l’attitudine. Suonare è il senso di questo mestiere, per me.”
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Ora entriamo un po’ dentro al disco. “Futuro Splendido”. Ho letto di vari riferimenti all’elettronica Anni Ottanta e in particolare ad un certo mood berlinese. Sono curioso di chiederti: che rapporto hai col clubbing? Pensi alle tua canzoni più su una dimensione di dancefloor? L’eleganza intensa ma minimale, a tratti quasi rigorosa (berlinese appunto, sì) di certe tue composizioni mi ha ricordato vagamente il disco de Il Quadro di Troisi uscito l’anno scorso…
“Non conosco gli artisti che hai nominato ma andrò certamente ad ascoltare con curiosità. Ho una concezione della musica legata alla sperimentazione e al continuare a fare ricerca, quindi nella lavorazione del disco abbiamo (insieme al mio produttore Marco Bertoni con cui ho prodotto il disco) cercato di lavorare il suono il più possibile attraverso la contaminazione di generi e suoni che ci interessavano, ci piacevano. C’è sicuramente una influenza industrial, new wave degli esordi per poi passare da contaminazioni più contemporanee, non ho un diretto rapporto con il clubbing ma se questo viene preso e utilizzato a proprio piacimento può essere una strumento forte. Ho scoperto che è molto stimolante scrivere delle cose di un certo tipo e vedere persone che cantano queste parole lasciandosi trasportare anche dal suono, muovendo i loro corpi, seguendo una ritmica serrata con una elettronica lavorata insieme a tutta una attenzione al suono in generale.”
E a proposito di reference: a me inizialmente è venuta in mente una versione più intimista e uggiosa di Meg. Certe trovate linguistiche invece mi fanno pensare ad un mix tra Subsonica (Gli Uomini Elettronici sa di Microchip Emozionale) e Le Luci della Centrale Elettrica. C’è un artistica che ritieni fondamentale per la nascita del progetto Miglio? Qualcosa che ti ha dato la spinta per passare dalle idee all’azione diciamo. L’urgenza, si dice.
“Sì certamente sono mondi che condivido e vicini alla mia sensibilità. Ho scoperto di amare determinate cose, dalla lettura di Tondelli (che è vicinissimo a Le luci) così cruda e vera alla scoperta dei Joy Division e quindi a tutta una attitudine di un certo tipo che mi ha stimolata tantissimo. Nel mezzo si vive, io cerco di ampliare la mia osservazione e ci sono aspetti che mi rendono fortemente sensibile e permeabile e in qualche modo riflettono poi nella musica che voglio scrivere.”
Il tuo primo EP si intitola “Manifesti e immaginari sensibili”: per me è subito Offlaga Disco Pax (più che CCCP). Non ho intenzione di parlare di appartenenza politica in senso stretto. Vorrei solo chiederti se in qualche modo ti piacerebbe che la tua arte venisse letta e intesa come atto politico o se al contrario di senti scomoda in quella veste.
“Senza alcun dubbio. Noi siamo atto politico in ogni secondo della nostra vita, da come parliamo, da come ci approcciamo agli altri, dall’attenzione che riserviamo a certe cose ed altre invece no, dalle scelte che facciamo ogni giorno. Attraverso l’arte si possono veicolare informazioni e pensieri, ci si può arricchire culturalmente e come diceva Gramsci bisogna abbuffarsi di sapere, di conoscenza, di istruzione altrimenti siamo finiti.”
Mentre scrivo sono reduce dal Pride qui a Torino. Mi piace il modo in cui emergono in maniera molto naturale sessualità e sensualità nella tua scrittura. Senza particolari fronzoli, d’istinto. Vorrei chiederti se nel mondo della musica c’è qualcosa che ti infastidisce e che semplicemente cambieresti sulla questione di genere.
“Ci sono molte cose che mi infastidiscono al riguardo, è un discorso molto ampio e servirebbe uno spazio a parte per parlarne. Purtroppo viviamo ancora dentro gap culturali che non sono stati del tutto superati, questo resta un paese fortemente bigotto, l’apertura vera non è ancora arrivata. Stiamo facendo delle cose bellissime ma non è abbastanza, il governo attuale che abbiamo lo testimonia, testimonia come in un attimo si possano fare mille passi
indietro. Nel mondo della musica esiste ancora troppo cameratismo e pochissima vera aggregazione tra persone a prescindere dal genere. Ci sono ancora visioni dell’artista donna che deve rientrare in certi canoni, che deve fare musica in un certo modo con una certa attitudine (la donna “cantante”, nell’immaginario collettivo della maggioranza) e questa visione è silente ma presente anche negli stessi artisti che fanno musica e che sono abituati a catalogare in un determinato modo.”
È interessante anche il discorso sul concetto di futuro che suggerisci nel videoclip di My Future is You. Un futuro diverso a seconda (anche) della prospettiva di chi guarda. Nonostante l’amarezza di cui è intrisa la nostra generazione su questa tematica, alla fine il tuo disco lascia – pare – un barlume di speranza e dunque il titolo non è un ossimoro. O no?
“Di splendido non vedo molto, attorno, all’orizzonte. Per me era una parola volutamente disturbante, volevo fosse in contrapposizione con il suo vero significato. Per fortuna poi esistono le prospettive personali e se io guardo dalla mia, nonostante attorno veda poco, vicino a me però c’è della luce e sono le cose importanti a cui tenersi stretti, quelle sicuramente hanno qualcosa di splendido.”
Per chiudere, e alleggerire: la tua cover preparata al Premio Buscaglione è stata forse quella che ho preferito. Qual è la canzone di qualcun altro che ti piacerebbe aver scritto tu?
“Mi sono innamorato di te di Luigi Tenco”
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Intervista a cura di Lorenzo Giannetti