Un festival che è come una seconda casa: la famiglia si stringe attorno a Jazz:Re:Found 2023

Anche quest’anno Jazz:Re:Found ha dimostrato di saper emanare qualcosa di diverso rispetto agli altri festival sparsi lungo lo stivale. Lo fa dal punto di vista delle emozioni che sa regalare al suo pubblico e non solo. Reportage a cura di Alessandro Giura. 

Quella di quest’anno, la quindicesima edizione, aveva un’emozione diversa, quella del ricordo verso chi ha fatto diventare speciale la manifestazione. Ce lo ha spiegato Andrea Passenger, incaricato di aprire le danze sulla collina di San Quirico con un dj set di 3 ore: “È stato il primo set del festival, dopo la morte di Alessandra Vigna, un’amica che ha contribuito ad ogni edizione del festival ma soprattutto una colonna portante della ‘famiglia’ che esisteva da ben prima della nascita del festival stesso. Ho preparato un set ispirato alla musica che le piaceva e guidato dall’atmosfera del momento, un tributo speciale far sentire la sua presenza”. Il suo ricordo era percepito anche da chi è esterno al festival, rendendo ancora di più l’idea di quanto il Jazz:Re:Found sia un’atmosfera intima, una grande famiglia di appassionati che si riunisce per ascoltare bella e nuova musica, fuggendo dallo stress che l’inizio di settembre porta con se dentro l’incantevole borgo di Cella Monte.

La bellezza intrinseca di un senso di comunità, di creazione di un’ampia famiglia molecolare formata dagli appassionati. La particolarità di Jazz:Re:Found sta proprio nel fatto che riesca ad attrarre un insieme di persone diversissime tra loro.

Addetti ai lavori nel panorama culturale italiano, appassionati di musica, gli occasionali curiosi, hipster, borghesi, meno borghesi, fricchettoni,  campeggiatori in gita nel Monferrato. Di tutte le età poi visto che puoi incontrare sia ragazzi pieni di energie che aspettano l’apertura del palco Dancing nella notte che persone adulte che vogliono godersi musica ricercata alternando le esibizioni con più calca a quelle più ricercate e nascoste gli angoli di Cella Monte, persino le famiglie con bambini piccoli appresso muniti di cuffia per non compromettere precocemente i timpani.

Persone e storie così diverse che si incontrano, ballano, ascoltano, mangiano e bevono gli ottimi prodotti del Monfrà. In tutto il festival abbiamo incontrato molte persone. Tanti stranieri, per esempio Philip, un ragazzo arrivato da Bordeaux per sentire il set di Gilles Peterson. La potenza con cui il Jazz fa incontrare tutte questi esseri umani e le loro storie come una grande jam session è qualcosa di magico. 

E così anche quest’anno ci siamo persi a ballare a San Quirico, a lasciarci illuminare dalle luci stroboscopiche del Main Stage, a sederci sul prato dell’Ecomuseo sorseggiando un bicchiere di Ruchè e spizzicando panissa fritta da un cono. La spensieratezza che evoca il festival la percepisci anche quando fai avanti e indietro tra la via principale del Borgo perchè è il momento di ricaricare i braccialetti o prendere qualcosa di sostanzioso prima che inizi la prossima performance. Non pesa affatto, è tutto troppo intimo e sereno per sentirsi sereno. Come si fa a non sentirsi coccolati con musica dal vivo di alto livello ascoltata con le colline piemontesi piene di vigne e altri suggestivi piccoli borghi a incorniciare il panorama?

Il denominatore comune di tutto questo resta la musica. La direzione artistica anche quest’anno è riuscita a portare una line up di alto livello in grado di diffondere l’accoglienza offerta da Cella Monte.

Dopo che nel primo giorno, un giovedì di fine agosto quindi anche più sgombro di persone e rilassante, Andrea Passenger aveva messo i dischi per 4 ore mentre cambiava la luce, il Main Stage raduna gli spettatori accolti ad inaugurare la 4 giorni di Jazz:Re:Found perchè tocca ai sempre solari Nu Genea. Per fortuna Massimo Di Lena e Lucio Aquilina, i due produttori partenopei che hanno dato nascita all’interessantissimo progetto, hanno radunato tutta la band rendendo il loro groove ancora più immersivo e danzereccio. La voce e il simpatico volto della cantante Fabiana Martone sono ammalianti e coinvolgenti. Il collettivo partenopeo ha così sapientemente messo in scena il “Bar Mediterraneo” in grado di fargli fare il botto lo scorso anno e avvicinare tante persone nuove alla loro musica che è un omaggio alla fusione delle diversità musicali e culturali.

Dopo di loro la dj sudafricana trapiantata a Berlino e al Panorama Bar Lakuti ha fatto ballare tutti a San Quirico, facendo venire ancora più voglia di abbracciarla visto come la sua selezione a coccolato i dancers rimasti per sentirla.

Dal venerdì il Festival ha aperto anche l’EcoMuseo dove hanno suonato LANDER & ADRIAAN e Turbojazz in live band, confermandosi una delle novità più intriganti per il clubbing italiano. Ma era il giorno di Gilles Peterson che ha fatto ballare con un set sui generis, un viaggio tra suoni house e jazz molto variegato in compagnia di Patrick Forge. E sopratutto era anche il giorno di Nils Frahm, l’artista forse più atteso di questa edizione viste le poche tappe che fa in Italia.

Nils Frahm: uno scultore del suono in trance in mezzo alle vigne

Il musicista tedesco ha eseguito una performance accattivante, accompagnato da un pubblico molto attento a non perdersi neanche una nota, capace di zittire, in maniera educata ovviamente, chi creava brusio con commenti alla performance. Quando suona Nils non c’è spazio per parole, bisogna solo aprire bene le orecchie e far in modo che i suoi suoni si diffondano tra le sinapsi del cervello e le vene del corpo, suscitando reazioni come sorrisi beati e lenti movimenti indotti. Nils ha fatto quello che sa fare, ha scolpito lo spazio che c’è tra musica elettronica e classica sotto tocchi al pianoforte, giocando con il campionatore e suonando uno strano strumento di vetro rotante. Non saprei dire che strumento fosse, ricordava gli artisti di strada che suonano i bicchieri nella loro versione artistica esposta all’ennesima potenza. Nils è sembrato completamente in trance sotto i colpi della sua sensibilità musicale. Neanche notava il fiume di sudore che gli colava da sotto il cappello o gli applausi di apprezzamento del pubblico.

Finito il viaggio di Nils ha intrattenere il pubblico è toccato a Louie Vega con il suo dj set in grado di mescolare vari elementi di house, funk, jazz e soul con un profondo spirito latino, esaltando il dancefloor che ha poi continuato a far muovere il corpo dopo di lui con Khalab al palco dancing e con la cattivissima e intrigante dj olandese Zohar a San Quirico.

Al sabato c’era il sold out, e in questo senso la line up della giornata si è rivelata particolarmente azzeccata. Con il calare del sole a far compagnia il pubblico è stato il pop dolce di Elise Trouw. La giovanissima americana ha incantato con la graziosità tramite il quale ha messo in mostra le sue doti da poli-strumentista e la voce suadente. Elise Trouw scrive, canta, suona la chitarra, il pianoforte, il basso e ovviamente la batteria. Una persona dotata di superpoteri musicali, che ha alternato cover e is uoi brani come l’ultimo EP “Losing Sleep”. Se volete sapere di più si di lei vi consigliamo i suoi video su Youtube.

Dopo di lei è calato un morbido buio e si sono alzati decisamente i decibel grazie al live di Dardust. Uno spettacolo concettuale vero e proprio tra percussioni dritte, colori e immagini accese, suoni elettronici. Un viaggio musicale immaginifico senza soluzione di continuità, spaziando tra omaggi a Vivaldi a coraggiose rivisitazioni in chiave disco del barocco italiano, passando per gli ABBA. Ne hanno parlato in molti delle esibizioni dal vivo di Dario Faini, l’hit-maker per eccellenza in Italia, ma che con il suo progetti solista dal vivo è riuscito a dirci molto di più su di lui, al punto che l’idea che abbiamo di lui diventa distorta. Non è solo il produttore di hit sanremesi ed estive, Dardust è molto di più, un fruitore di varie forme musicali elettroniche e lisergiche, in  grado sia di strizzare l’occhio al pop che di sorprendere dal punto di vista emotivo. La sua presenza nella line up al sabato sera si è dimostrata particolarmente azzeccata.

Dopo la sua esibizione gli strumenti sono stati smontati in fretta e furia per far spazio alla consolle di Ben Ufo. La sua presenza sulle locandine del festival è stata un correzione dovuta al forfeit di Laurent Garnier (sigh), dimostrando quando il Jazz:Re:Found sia in grado di tenere alto il livello anche di fronte agli imprevisti. Ben ha fatto ballare con un set molto divertente, forse un po’ discotecaro se mi passate il termine, tra cassa dritta, elementi dell’elettronica UK e qualche pezzo vocal, ma non ha mai fatto calare l’intensità, non ci sono stati sali scendi come invece avevano fatto i dj del giorno precedente nel Main Stage e la pista era calda e divertita, instancabile con qualche elemento che ha colorito il tutto come pistole spara bolle e palme gonfiabili. Dopo di lui era il caso di correre al San Quirico, che già in giornata aveva estasiato grazie al live degli Handson Family insieme a Vanessa Freeman, per concludere la giornata a colpi di dischi messi da Lefto Early Bird.

Domenica invece è stato il turno degli Echt, sempre stuzzicanti e coinvolgenti, prima dell’acclamatissimo FKJ, uno degli astri nascenti della nuova scena house-elettronica francese, capace di raccogliere milioni di ascolti e visualizzazioni da una piattaforma all’altra sin dal 2013. Ma il vero motivo per cui non bisognava mancare era l’ultimo live in Italia dei The Comet Is Coming, che ha breve si scioglieranno privando il panorama della musica live di uno dei suoi fenomeni più interessanti. La cometa londinese si è abbattuta su Cella Monte, propagando un esplosione di nu jazz con il sassofono di Shabaka Hutchings, synth esasperanti di Danalogue The Conqueror e batteria pestata a dovere da Max Hallett (Betamax Killer). Il loro live è come al solito travolgente, i tre sembrano in totale armonia e rispettosi dei rispettivi spazi sonori.

Un finale magico, come è stato magico il Jazz:Re:Found anche quest’anno, reso ancora più speciale dall’emotività diversa che vi spiegavo sopra. Un’emotività tangibile che ha abbracciato chiunque abbia deciso di spendere a Cella Monte il primo weekend di questo settembre, mettendo la croce sull’estate che sta finendo.