Ha solo ventuno anni, eppure sembra che due date sold out di fila allo Zelig, storico comedy club di Milano, siano per lui ordinaria amministrazione. Si chiama Davide Calgaro, è stato l’enfant prodige della stand up comedy italiana e oggi si è già ritagliato un suo personalissimo spazio in questo settore sempre più affollato, che verso di lui nutre grandi aspettative.
_di Umberto Scaramozzino
Davide è partito da Baggio – quartiere della periferia occidentale di Milano, uno dei protagonisti del suo show – ed è arrivato in tutta Italia, dai locali ai teatri, con i suoi spettacoli dal vivo, passando anche per le sale cinematografiche e i salotti di casa, con i film e le fiction a cui ha preso parte negli ultimi due anni. Guardandolo sul palco dello Zelig viene naturale invidiare la sua naturalezza. Polo, jeans, sneakers e l’aria di chi sa che sta andando a fare ciò per cui è nato.
“Venti Freschi” – questo il nome del monologo – è la prova di un talento che conosce bene i limiti imposti dalla propria dimensione anagrafica e sa come giocarci, facendo leva sull’eterogeneità del pubblico. Da un lato i boomer, ovviamente da sfottere, e dall’altra i coetanei, nei quali generare complicità. In mezzo, però, c’è la porzione più abbondante della platea, quella dei Millennials che vogliono sentirsi abbastanza maturi da empatizzare con chi viene deriso e abbastanza giovani da non sentirsi tagliati fuori dai discorsi da Gen Z. E Davide è eccezionale nel trascinare tutti, senza lasciare indietro nessuno.
Lo show è fluido, ben calibrato, talmente rodato che sembra già quasi pronto a cambiar pelle. Lo si intuisce dal modo rapace che il giovane comico ha di avventarsi su ogni piccolo fuoriprogramma, come un telefono che squilla in prima fila. «Passamelo, rispondo io!»
Personalmente, alla soddisfazione di aver riso molto, in una stand up comedy brillante, aggiungo quella di aver ritrovato sul palco esattamente la persona che appena un paio d’ore prima aveva risposto alle mie domande, con grande consapevolezza. La prova che chi fa bene questo mestiere, lo fa raccontandosi senza omettere e senza bluffare.
Tu hai mosso i primi passi qui al Laboratorio di Zelig, che rapporto hai con questo posto e cosa rappresenta oggi per chi fa il tuo mestiere?
Per me sta diventando casa, forse lo è già diventato. Ho iniziato qui che avevo quindici/sedici anni ed è stato uno dei primi locali che mi ha fatto esibire. Quando vengo a fare uno spettacolo allo Zelig, che sia uno show intero di un’ora come quello che porto in tour adesso, o che sia per qualche minuto come facevo all’inizio, so sempre che mi troverò bene, perché è un gran bel posto in cui lavorare. Penso che continui a rappresentare uno dei migliori comedy club in Italia. Uno di quei locali in cui vieni a fare stand up comedy e sai di trovare un pubblico caldo, attento, pronto ad ascoltare. Infatti molte persone che mi seguono a Milano probabilmente mi hanno visto in passato in uno di quegli interventi di pochi minuti all’interno di serate con altri comici.
A proposito di questo, così come a Milano anche in molte altre città d’Italia si stanno creando interessanti scene locali, dove una sorta di collettivo di comici si va a creare il proprio pubblico. C’è qualche città che da questo punto di vista ti affascina particolarmente?
Ho frequentato diversi ambienti di stand up comedy in diversi città. Credo che ci sia una realtà molto bella a Torino, ma la scena che trovo davvero coesa è quella di Genova. Invece una città molto forte, ma che frequento poco e con qualche difficoltà personale, è Roma.
Forse un po’ ostica, vero?
Io ho un rapporto strano con Roma. Non a causa del pubblico, ma forse perché devo ancora comprendere bene i meccanismi. Anche perché la comicità cambia, da regione a regione, da città a città. E il pubblico romano sicuramente è molto diverso da quello milanese. Sicuramente con il tempo riuscirò a inserirmi meglio e capire con più chiarezza le dinamiche.
Roma ha comunque un altro ruolo rilevante nella tua carriera, visto che lavori anche nel cinema e nonostante la giovane età hai già diversi film all’attivo. In questo settore che obiettivi ti sei posto?
La mia idea è di portare avanti questi due ambiti in parallelo, quindi crescere come attore e crescere come comedian. Ma non nascondo di sentire già il desiderio di sperimentare e non limitarmi a ruoli comici. La maggior parte dei film a cui ho lavorato li ho collezionati in questi ultimi due anni, quindi sono ancora all’inizio, ma sento già di volermi mettere alla prova con ruoli diversi. Al cinema ho fatto praticamente solo commedie brillanti. Ho invece provato dei ruoli più drammatici nella fiction, ma sono sempre stato solo protagonista di puntata, quindi la vera sfida deve ancora arrivare.
Molti comedian mi sembra che abbiano vite parallele che in qualche modo alimentano di stimoli anche i loro spettacoli. Lundini o De Carlo, per esempio, coltivano la passione per la musica e la inglobano nei loro show. Pensi che farai anche tu qualcosa di simile prima o poi?
Ah, questa è una cosa che non ho ancora mai detto perché è davvero recentissima. Io suono la batteria e nell’ultimo periodo ho iniziato effettivamente a pensare ad un modo per portare la musica in un mio spettacolo. Solo che la batteria non è proprio lo strumento più comodo per un performer. Chitarra e pianoforte sono più classici. Però di recente ho comprato una loop station, cioè quell’aggeggio che manda in loop i suoni che registri col microfono… Non so quando vedrà la luce questa cosa, ma l’idea sarebbe di introdurre un momento musicale con questa loop station e varie strofe rap demenziali, che sto scrivendo in questo periodo. Penso che questo genere di aggiunta sia importante perché alleggerisce. Dopo venti minuti di monologo vedere qualcosa di diverso, con un linguaggio diverso, è interessante. Spero di riuscire a farlo!
Quindi tanti idee per il futuro. Ma voltandoci un secondo verso il tuo recente passato, è inevitabile chiederti qualcosa in più sul tuo rapporto con Aldo, Giovanni e Giacomo, con i quali hai collaborato più volte di recente. Com’è stato lavorare con loro?
È stato molto emozionante perché io sono letteralmente cresciuto guardandoli. Un po’ come tutti nelle ultime due o tre generazioni, penso. Incredibile quando siano transgenerazionali. Non avrei mai immaginato di poterci lavorare così presto, quando ancora mi sentivo spettatore e fan. Ed è stato bellissimo, sia a livello umano che professionale. Sono davvero tre professionisti e tre persone eccezionali.
Un aspetto fondamentale nel vostro mestiere è quello di sapersi raccontare con grande ironia, ma anche onestà. Tu ti sei ritrovato a farlo già a quindici anni, in piena adolescenza. Cos’hai provato e cosa provi nel metterti a nudo davanti al tuo pubblico?
Penso sia un modo interessante di stare sul palco e di creare empatia col pubblico. Io ho quasi sempre parlato solo di me, del momento che stavo vivendo, della mia famiglia, della mia scuola. Senza andare troppo nel mondo circostante. Questo penso sia molto legato al momento della mia vita, al fatto di essere molto giovane e quindi non dominare ancora così bene gli altri argomenti da poterne parlare in modo comico. Mi piacerebbe però in futuro iniziare a concentrarmi sul resto e un po’ meno su di me. Ma vorrei mantenere il mio punto di vista sulle cose e continuare a dare una versione integrale del racconto, senza omettere o fingere, per mantenere il legame con gli spettatori.
Al di là dei temi e del modo di raccontare, trovi limitante la nuova etichetta della stand up comedy?
Rispetto al cabaret e a ciò che veniva proposto in passato ora si è più concentrati sui monologhi del singolo performer. Non c’è una maschera, non c’è un personaggio e non c’è una quarta parete. C’è un rapporto diretto tra il comico e il pubblico, come se io fossi una persona in mezzo alla platea che si alza, prende il microfono e sale sul palco a dire la sua. Ma sono d’accordo con te sul fatto che come etichetta possa essere limitante. Non mi piace molto perché penso non trovo molto sensato mettere dei paletti e decidere a priori come dovrebbe funzionare la serata.
A te piacerebbe per esempio creare un tuo personaggio e portarlo sul palco?
Questa è una cosa che per ora non ho mai fatto. Ci ho pensato più volte e sicuramente mi piacerebbe, ma non sono sicuro che sia nelle mie corde. Ho grande rispetto per i caratteristi e mi piacciono molto, tanto che Antonio Albanese è da sempre uno dei miei preferiti e i suoi personaggi sono incredibili, quindi non escludo di provarci prima o poi. Magari un personaggio che nasce sul set di un film e cerca vita propria fuori dal cinema. Chissà.
Forse non legandosi a un personaggio e a un copione preciso, con tormentoni e caricature, viene anche più facile interagire col pubblico. Quanto ti piace questa parte e come la integri con la tua scrittura?
La cosa interessante è che prima di costruire uno spettacolo intero, ci si ritrova a provare vari frammenti, pochi minuti alla volta, poche battute alla volta. E dalle interazioni, nascono le improvvisazioni, che poi restano. In pratica, quando sono in camera a scrivere, non faccio altro che raccogliere i pezzi seminati nel tempo. Eppure, visto che ci siamo ritrovati in un momento storico assurdo, già lo scorso anno mi sono ritrovato a stravolgere questa procedura. Infatti questo spettacolo, “Venti Freschi”, è nato praticamente tutto in isolamento. L’ho scritto per intero e solo dopo ho iniziato a provarlo dal vivo, ovviamente integrando nel tempo con alcuni fuori programma che hanno funzionato particolarmente bene. E questo mi ha ricordato quanto mi piaccia improvvisare e quanto le due fasi, scrittura e performance, siano ugualmente fondamentali.
Ora che le piattaforme di streaming sono sempre più attente al tuo mestiere, c’è qualche format che ti attira per il tuo futuro? LOL 3 su Amazon Prime? Uno special su Netflix?
LOL mi fa davvero paura. Ovviamente se mi chiamassero ci andrei subito, perché è una vetrina importante e perché lavorerei con nomi davvero enormi. Però mi chiedo: come fai a stare con quei grandi comici e non ridere? Non penso che ce la farei.
Lo special su Netflix, invece… Un mio spettacolo fatto per restare ed essere visto da chissà quante persone sparse per il mondo. Eh sì, quello è un sogno.
Fotografie a cura di AliSe Blandini.