Fedeli d’Amore al Verdi di Pordenone: il Teatro delle Albe canta la morte di Dante Alighieri

Fedeli d’Amore è il lavoro del Teatro delle Albe che prende vita da una scrittura originale di Marco Martinelli, centrata sulla prodigiosa capacità del recitar- cantando di Ermanna Montanari, alla quale è valso nel 2018 un altro degli innumerevoli premi Ubu della sua carriera come miglior attrice.

_di Elisabetta Galasso

L’opera racconta degli ultimi istanti di vita di Dante Alighieri e di quanto la sua voce sia ancora straordinariamente attuale. Lo spettacolo appare come una sorta di interludio tra l’Inferno che Martinelli e Montanari portarono in scena nel 2018, seguito nel 2019 dal Purgatorio e che porterà nel 2021 al Paradiso e dunque alla messa in vita dell’intera Divina Commedia. Lo spettacolo sarà in scena dal 31 gennaio al 2 febbraio al Teatro Astra di Torino.

Fedeli d’Amore, polittico in sette quadri per Dante Alighieri. Questo il titolo che sancisce l’attaccamento profondo che il Teatro delle Albe ha per il sommo poeta, nonché concittadino d’elezione. Infatti la nebbia in un’alba del 1321 è proprio quella di Ravenna, città che vide il poeta spegnersi in preda alla febbre malarica. Poi il demone della fossa, un asino in croce, il diavolo del rabbuffo, l’Italia che scalcia se stessa, Antonia figlia di Dante Alighieri, una fine che non è una fine. Via via una dopo l’altra, ognuna di queste sette tele ridiventa bianca per far spazio a quella successiva con un unico filo conduttore: il nostro presente. Proprio Martinelli accenna ad una leggenda medievale in cui si diceva che per capire ciò che Dante ha scritto, dovevano passare sette secoli. Sette secoli sono passati e la realtà fa male.

Attingere alla tradizione riportandola allo spettatore in una chiave mai scontata è una delle sfide del nostro teatro contemporaneo e se la tradizione in questione è la poesia dantesca, la probabilità di riuscire nell’impresa è ancora più ardua. Impresa che però non ha spaventato il duo Martinelli-Montanari. Difatti Il quarto quadro, quello dell’Italia che scalcia se stessa, riscrittura originale di Martinelli che riprende la famosa invettiva Ahi serva Italia di dolore ostello ne è la prova. In questo caso quella di Martinelli, non vuole essere un’invettiva e nemmeno un’autocommiserazione, ma una lunga sfilza di comportamenti umani, uno straziante grido, in cui a malincuore è impossibile non riconoscere l’Italia di oggi.

[…] Italia alla deriva

come una nave di pazzi

Italia dei paparazzi

Italia sempre in ginocchio

che godi a servire i forti

Italia occhio corrotto

Italia degli omiciatoli

che amano obbedire

la testa soto il giogo

di questo vizio mostruoso

Italia dei nuovi media

Italia del fai-da-te

Italia dei cinguetti

delle opinioni facili

Italia che sputa sangue

Italia che muore sul lavoro

Italia dei delitti

Italia dei misfatti

Italia delle stragi

dei crimini impuniti

Italia noiosa

nei secoli immutata […]

Protagonista indiscussa è la voce. Ermanna Montanari, legge al centro della scena e trasforma la sua voce in una vera e propria partitura che regola con controllo e maestria. E con il suo strumento prodigioso, l’attrice riesce a incarnarsi in quella nebbia impalbabile di Ravenna, a ragliare come l’asino che ha portato sulle spalle Dante levando una struggente preghiera,  a diventare il demone del rabbuffo con  il suono della sua voce  che si fa ritmo incessante, per poi lasciare il posto alla dolcezza della figlia Antonia. Il tutto contaminato da echi dialettali; come Dante aveva fatto in vita con il volgare e la lingua italiana, la Montanari mischia l’italiano al dialetto ravennate. Senza la grande interpretazione della Montanari le parole seppur meticolose ed efficaci di Martinelli, non avrebbero creato la stessa tensione e magia.

Alla potenza della voce con suoni ora dissonanti e acuti, ora ansimanti e languidi, fa capolino la tromba di Simone Marzocchi che riesce a creare una cornice perfetta e a  scandire i vari quadri con la musica di Luigi Ceccarelli. Lo stesso accade con il gioco di luci e ombre di Anusc Castiglioni ed Enrico Isola che prendono per mano lo spettatore nel viaggio perturbante della mente di Dante al finire della sua vita. Se la vita finisce, l’amore vince. Ed ecco che i Fedeli d’amore, quei lirici  che riconobbero nell’amore un’energia spirituale in grado di innalzare la condizione umana fino a Dio, vengono invocati a gran voce  da Antonia, la figlia di Dante nel penultimo tableau dello spettacolo. Il simbolo di questa catarsi è Beatrice, il tramite tra uomo e Dio che nell’ultimo quadro, raffiora alla memoria del poeta. Un cerchio che si chiude quindi, e l’amore si conferma l’antidoto per conquistare la libertà.

 

Tutte le foto sono di Enrico Fedrigoli