Il drammaturgo di fama internazionale raccoglie, nella sua prima opera narrativa edita da Fandango Libri, una sequela di scenari ed episodi della religione ebraica, cristiana e musulmana presentandone risvolti inediti e alternativi, resi mediante uno stile ironico, poetico e composito.
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_di Roberta Scalise
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«L’ARRIVO DEL MESSIA SECONDO ME
Toc toc. Bussano alla porta di casa mia.
Mi volto.
Non vado ad aprire.Non saprò mai chi c’era sulla porta».
Chi c’era sulla porta? Dio, Satana, Abramo? Oppure Maometto, Giovanni o il rabbino Löw? È da un quesito orfano di risposte, ma pregno di interrogativi, dubbi e supposizioni, che sembra trarre abbrivio “Il diavolo innamorato”: la prima opera narrativa, edita da Fandango Libri, di Davide Carnevali, tra gli autori teatrali italiani più rappresentati sulla scena europea e professore di drammaturgia di fama internazionale.
Costituito da una serie di «leggende, storielle e tradizioni ebraiche, musulmane e cristiane, tutte inventate da un ateo» – come riporta ironicamente il sottotitolo –, il testo assume, infatti, i contorni di un curioso “esperimento mentale”, che travalica i confini dei dogmi imposti e abbraccia il territorio della fantasia, elaborando suggestioni e scenari dal sapore alternativo e inedito. La cui narrazione risulta, inoltre, essere dominata dalla velleità di indagare ciò che «accadde dopo», dischiudendo il “velo di Maya” che occulta una realtà taciuta dal sapere religioso tradizionale e che scalpita per essere scoperta.
E che trova, nello scorrere amabile delle pagine, una sua peculiare “rivelazione”, la quale non consiste nel mistero della fede o di verità insondabili, bensì risiede nel desiderio pulsante e perpetuo di “umanizzare” tutti i protagonisti dell’immaginario religioso – e le vicende afferenti a essi, dalla creazione alla cacciata dal Paradiso, fino all’Apocalisse e al Giorno del Giudizio –, al fine di recarsi oltre il “non detto” e cogliere sfumature e insegnamenti da una prospettiva dissimile a quella tramandata nei secoli. Mostrando difetti, incertezze, sensibilità, paure ed emozioni dei personaggi coinvolti, infatti, il volume si allontana dall’etereo ed elide il divino, conducendolo nelle viscere di una Terra dominata da nevrosi, pareri discordanti e inganni e riponendolo al cospetto dei precetti di un’etica laica e scevra di vincoli aprioristici.
Come si evince dai periodi conclusivi di ogni episodio riportato, che, alla stregua delle morali favolistiche, conducono il lettore di fronte alla sconcertante e inattesa consapevolezza che anche Dio e Satana – e, nel complesso, tutti gli uomini di fede – siano intrisi, proprio come Adamo, Eva e la progenie che da questi derivò, di un’imperfezione spirituale così prismatica e autentica da rendere l’uomo caratteristico e irrinunciabile nella sua essenza.
Ed è così, dunque, che Carnevali ci mostra un Lucifero volutamente esiliatosi in seguito alla palese sconfitta contro Michele e profondamente innamorato degli uomini e venato di melanconia, che «crescendo a dismisura, faceva addirittura aumentare il livello delle acque, provocando quelle che noi chiamiamo maree, che crescono e si riducono durante la notte apparentemente senza una ragione precisa, proprio come la melanconia una ragione precisa non ha»; oppure un Dio sordo alle litanie dei terrestri, permaloso, duro e dispettoso, e spesso distante dagli ideali di benevolenza e affezione accordatigli; oppure, ancora, la molteplicità dei diavoli che attanagliano le nostre esistenze, assumendo forma di ossessione, insicurezza e atteggiamenti divisivi e portando l’uomo a «essere solo la metà di se stesso»; oppure presentandoci, infine, le incomprensioni, l’astio e l’amore negato di un rapporto adulto, che «faceva sentire Adamo sminuito agli occhi di Eva» e fece comprendere «all’uomo e alla donna che fuori dal Paradiso la loro vita sarebbe stata un Inferno. E così, in effetti, fu».
Il tutto reso mediante uno stile poetico, sontuoso e composito che, prestandosi a una sequela diversificata di interpretazioni, risulta capace di riflettere la strenua complessità di riflessioni e giudizi che contraddistinguono il discorso religioso, ma che, attraverso l’agilità della sua lettura, esplica anche quanto sia, in realtà, semplice cedere alla confusione e farsi irretire dalla relatività delle credenze, con le loro contraddizioni, forme e prospettive sempre cangianti e mai univoche e, proprio per questo, fugaci.
«Ma questo poco importa al credente, che non fa distinzione tra immagini e realtà, tra realtà e sogno, tra sogno e vita, tra vita e parola, tra parola e Dio. Perché, in realtà, a tutti apparteneva quello stesso Dio sognatore, che sognò l’uomo e i suoi dipinti, la sua vita e le sue parole. Anche quelle che avete letto».