Da 26 anni ‘L Birichin è tra i ristoranti più apprezzati dai torinesi. Lo chef Nicola Batavia è interprete di una cucina semplice e raffinata allo stesso tempo. Materie prime di alta qualità, professionalità e passione estrema per la condivisione, sono i suoi punti di forza. Lo abbiamo incontrato dopo aver avuto la fortuna di partecipare ad uno degli eventi mensili in cui apre le porte della sua cucina. Dopo aver messo le mani in pasta, gli abbiamo fatto qualche domanda attratti dal suo estro e dalla sua vitalità incontenibile.
_di Elisabetta Galasso
Nicola Batavia nasce a Torino nel 1966. Frequenta l’Istituto Alberghiero di Torino e si inserisce da subito nel mondo del lavoro. Infatti vola a Londra e da quel momento, comincia il suo lunghissimo peregrinare in Europa e nel mondo alla ricerca di gusti, odori, sapori. Dalla Thailandia alla Cina, fino ad arrivare a Casablanca e in Qatar. Batavia è conosciuto anche come lo chef delle Olimpiadi, nel 2006 viene scelto come chef ufficiale per le Olimpiadi invernali di Torino. Nello stesso anno riceve anche la Stella Michelin che restituisce dopo due anni perché aveva voglia di essere libero da formalismi legati a un certo tipo di dettami che quel riconoscimento esige. E libero soprattutto di accrescere ancora di più il suo talento in campo internazionale.
Nel 2008 e nel 2012 viene infatti chiamato in qualità di chef ufficiale Nike per le Olimpiadi di Pechino e Londra. Ma è alla fine degli anni ’90 che il suo sogno più grande si compie: il 4 marzo 1993 apre il suo ristorante ‘l Birichin dove unisce sapientemente piatti della tradizione piemontese, strizzando però l’occhio all’innovazione. E il 19 marzo 2014 apre, di fianco al Birichin, The Egg – Semplice come un uovo- bistrot gourmet interamente dedicato al suo ingrediente preferito: l’uovo. il The Egg diventa all’occorrenza una scuola di cucina o un’esclusiva location per eventi pubblici e privati. Il successo è tale che a luglio 2015 The Egg si sposterà all’EXPO di Milano e lo stesso format verrà ricreato a Venezia e a Londra.
Innanzitutto, come è nato l’amore per la cucina?
Inconsapevolemente scrissi il mio percorso da cuoco quando da piccolo, grazie a mia mamma, mi innamorai dei piatti che portava in tavola. Ed è lei stessa che ancora oggi, lavora al mio fianco, sfornando pane e grissini e con le sue sapienti mani prepara la pasta. Attirato dalla magia che ogni volta prendeva forma attraverso pentole e padelle, a 17 anni decisi di voler far diventare della mia passione in cucina, una professione.
E così ti sei iscritto all’alberghiero, poi è arrivata la parentesi londinese e quella thailandese…
Sì ho frequentato l’Istituto Alberghiero di Torino e già da subito presi confidenza con il mestiere di cuoco. La mia era una passione irrefrenabile che andava aldilà della scuola: facemmo un viaggio studio ad Amsterdam e mentre i miei compagni si alzavano tardi alle 7 di mattina andavo a fare il pane. Accettai poi di trasferirmi a Londra per un lavoro stagionale durante l’ultimo anno di alberghiero e ci rimasi per sette anni. A 21 anni, grazie a una parternship gastronomica promossa dal ristorante londinese dove lavoravo, ebbi l’opportunità di scoprire i sapori e i profumi dell’Oriente a Bangkok e Phuket.
Quindi il viaggio è un elemento imprescindibile per uno chef?
Assolutamente sì. I viaggi sono l’unico modo che abbiamo per capire il mondo e in particolare per uno chef, per farsi portatore di una cultura diversa attraverso il cibo, rimanere aggiornati sui gusti e le tendenze diventandone ambasciatori. Dalle esperienze internazionali con le Olimpiadi di Pechino e Londra non mi sono più fermato. Cina, Ucraina, Baku, Qatar sono solo alcune delle terre da cui ho imparato tanto, dove ho portato l’italianità e in cambio ho ricevuto stimoli e spunti per i miei piatti.
L’ingrediente per antonomasia della tua cucina è l’uovo. Qual è la forza di questo ingrediente?
L’uovo è l’ingrediente da cui è partito tutto e non l’ho mai abbandonato. Sono stato sempre attratto dalla sua forma perfetta e quando mi sono avvicinato alla cucina, per prendere dimestichezza con la tecnica, l’uovo era l’alleato perfetto. È un prodotto semplice ma pregiato allo stesso tempo ed è pazzesco sia da solo, che esaltato con altri ingredienti e preparazioni. E che io faccia consulenze o eventi in giro per il mondo, in tavola non deve mancare mai perché con un uovo in mano, il risultato finale sarà sempre un piatto eccezionale.
Il 4 marzo 1993 nasce ‘L Birichin e il 19 marzo 2014 il bistrò The Egg… sono due anime diverse dello stesso locale?
‘L Birichin è il ristorante storico, quello che dopo 26 anni riesce con le sue tovaglie di fiandra, l’argenteria e la cristalleria a far vivere agli ospiti un’ esperienza di gusto più formale con un menù alla carta e 4 menù degustazione di cui Il primo è dedicato alla tradizione piemontese e include i piatti più famosi del ristorante; Il secondo è dedicato invece al pesce mediterraneo, il terzo è quello dove le contaminazioni che porto a casa dai miei viaggi sono preponderanti e infine l’ultimo è un menù completamente al buio dove sono libero di giocare. Il The Egg prende vita grazie alla nascita di mio figlio e nello stesso tempo da un’esigenza pratica: dove ora è il bistrot prima c’era la sala dei sigari del Brichin che per forza di cose non era più al passo coi tempi. Al The Egg proponiamo 5 cicchetti e un piatto di pasta a 25 euro, una proposta più sfiziosa e informale che incarna la mia filosofia di vita: divertirmi cucinando.
E infatti ci siamo conosciuti all’evento che proponi una volta al mese in cui dai la possibilità di entrare nella tua cucina e provare a ricreare i tuoi piatti divertendosi. E la domanda sorge spontanea, che rapporto hai con i social?
Siamo stati uno dei primi locali a Torino, se non davvero il primo, ad avere la cucina a vista ben 18 anni fa con una webcam e due monitor in sala. L’esperienza a Londra mi ha svezzato da questo punto di vista e credo che ancora ora a Torino con il mio locale, sono il primo ad aver aperto le porte della mia cucina senza aver paura di svelare i “segreti” dei miei piatti. Penso che la cucina debba essere divulgata e chiaccherare di cibo attorno a un tavolo sia l’essenza della nostra cultura. Tutto ciò per dire che già ai tempi ero “all’avanguardia” e ora i social se usati bene, sono uno strumento che mi permette di farmi conoscere in un modo diverso. Poco tempo fa, due ragazze sono venute a mangiare al Brichin perchè mi hanno trovato digitando su Google “cucina eclettica e particolare”. Ieri il biglietto da visita era il passaparola, oggi il social.
A distanza di 11 anni dal rifiuto della stella Michelin, quanto ha pesato quella scelta?
Ho molto rispetto per questo importante riconoscimento e ovviamente non è stata una scelta presa a cuor leggero, ma quando non si è solo chef, ma anche titolari del proprio ristorante, bisogna considerare anche la redditività. La stella Michelin impone un tenore alto e obblighi molto rigidi. Ho deciso di rifiutarla dopo l’esperienza di chef alle Olimpiadi di Torino 2006 perchè sentivo che altre proposte internazionali stavano arrivando. La mia è stata una scelta controcorrente non capita all’inizio, ma ora a distanza di molto tempo, sono soddisfatto. La mia cucina è rimasta la stessa, ma è diventata alla portata di tutti.
Come definiresti oggi, il panorama enogastronomico piemontese? E quale consiglio daresti a un giovane chef?
Il Piemonte dal punto di vista enogastronomico è una regione molto solida con dei prodotti che gli stranieri possono solo invidiarci, ma la storia ci racconta bene la “sabaudità” di un popolo schivo anche quando si tratta di cibo. Torino non è paragonabile a Milano, dove io vivo gran parte della settimana e dove esiste una mentalità assolutamente diversa: il milanese è entusiasta e molto più aperto al cambiamento. Mi sento di consigliare a un giovane di aprire a Torino solo se ne è fortemente innamorato e ha una grande capacità di resistenza, se no che vada all’estero, che viaggi molto e soprattutto colga l’occasione dopo aver studiato, di mettersi subito in gioco lavorando in un locale. Vorrei ribadire che quello dello cuoco è un “mestieraccio” quando ho aperto io il mio ristorante lo chef stava barricato in cucina.
Progetti per il futuro? Bolle in pentola un’apertura a Milano?
Come ogni creativo che si rispetti mi sveglio ogni mattina con tantissime idee, ma quelle che porto avanti sono quelle che faccio nascere all’interno del Birichin. Sono stato brand ambassador di Deliveroo e ultimamente un progetto su cui sto lavorando su quella scia è il servizio di take away che offriamo con il The Egg, un altro strumento efficace per far conoscere il bistrot. Da quando vivo a Milano ho avuto diverse proposte per una nuova apertura, ma da quando sono diventato padre il tempo per me è diventato prezioso e se devo imbarcarmi in una nuova sfida, deve essere un progetto che mi interessa fortemente e che soprattutto mi diverta. Mai dire mai.
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