Il viaggio evocativo di MiTo Settembre Musica 2019

A  rassegna conclusa, alcune riflessioni sui punti focali dell’edizione 2019 di MiTo Settembre Musica.

_ di Silvia Ferrannini

 

Tempo di bilanci per MiTo Settembre Musica 2019. I numeri della tredicesima edizione sarebbero di per sé sufficienti a dare una dimensione alla rassegna: 128 concerti, 74.000 spettatori nelle città di Milano e Torino, 50 concerti esauriti e molti altri appuntamenti vicini al sold out. Ma il disegno di generosità e passione tracciato dall’interazione tra artisti e pubblico (ma anche tra gli organizzatori, sponsor, volontari) supera il materiale e approda nell’immaginario lungo un percorso che davvero ha illustrato un’inattesa e poliedrica geografia.

 

In un concerto c’è l’impegno e c’è l’accoglienza. Gli spazi torinesi e milanesi chiamati ad ospitare questa reciprocità di intenti sono stati numerosissimi e diversissimi – teatri, sale, chiese, associazioni, auditorium – e hanno ampliato significativamente il perimetro del territorio MiTo. Tali e tanti sono stati i momenti da annotare della rassegna che Rai Cultura ha anche prodotto il documentario di Barbara Pozzoni dal titolo MITO 2019: Le geografie della musica, che andrà in onda in prima TV su Rai5 sabato 28 settembre alle 23.15, pensato per chi non c’era e chi vorrebbe tornarci un’altra volta ancora.

 

 

Una rassegna ricchissima di appuntamenti dunque, tutti di alto livello qualitativo e spettacolare – sebbene qualcuno si sia mostrato un po’ tenue, poco vibrante. Fra gli appuntamenti più prestigiosi di quest’anno si possono ricordare i concerti che hanno visto protagonisti Martha Argerich e Zubin Mehta alla guida della Israel Philarmonic Orchestra; l’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo diretta da Ion Marin; Alexander Romanovsky e Myung-Whun Chung con la Filarmonica della Scala; Marin Alsop sul podio dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino; John Axelrod e l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai con Tine Thing Helseth e Rachel Harnisch come soliste; il Third Coast Percussion, che ha eseguito in prima europea Perpetulum di Philip Glass, co-commissionato da MiTo. Davvero outsider lo spettacolo Sutra di Sidi Larbi Cherkaoui con i Monaci del Tempio cinese Shaolin, vero sposalizio tra filosofia orientale e pensiero occidentale. Si spazia poi dal folklore scandinavo alla Germania romantica di Brahms e Schumann, dai Notturni Francesi alla Douce France fino al Nuovo Mondo – insomma un dolce saliscendi di adrenalina, calme trascendentali, giochi e ispirazioni popolari che s’intrecciano in modo via via sempre più incandescente nel corso della rassegna.

 

Sempre cordialmente comunicativo, sempre eclettico e difficilmente banale, MiTo pare aver colpito nel segno anche quest’anno, rimanendo fedele alle sue ispirazioni fondamentali: il genuino amore per la musica e per le sue risorse espressive. Il sunto perfetto e gioioso di questa vocazione sembra, in un’ultima istanza, incarnarsi perfettamente nelle consuete Giornate dei Cori, dove la voce collettiva si fa balsamo per cuore e spirito e dà inizio alla vera festa. L’Open Singing è poi il culmine della partecipazione e della condivisione: come afferma il direttore artistico Nicola Campogrande, «con determinazione, e con un pizzico di orgoglio, MiTo continua a porsi come l’unico grande festival non specializzato a mettere sotto i riflettori, per un’intera giornata, il mondo corale».

 

 

Con gli stessi concerti in entrambe le città si sono esplorate scuole nazionali, scandagliate idee di compositori celeberrimi e non, ci si  è aggiornati sul panorama musicale contemporaneo. Perché la geografia non è solo un complesso di mappe, ma è anche un discorso continuo sull’identità, sul confine, sulla nostra relazione con lo spazio. E il proposito di MiTo, quest’anno, parrebbe proprio tener conto di questo: esplorare questo presente mobile e nomade (ma che sa anche estremizzare le diversità) senza lasciarsi alle spalle un mondo musicale che fece delle radici locali e nazionali la spinta fondamentale per generare arte. Il confronto tra lingue e linguaggi è stata la vera chiave di volta della rassegna: MiTo 2019 ha recuperato viaggi, tradizioni, appartenenze per regalarci una cognizione diacronica e multiforme del linguaggio dell’arte da ogni latitudine,a qualsiasi intensità. Perché anche le linee dello spartito sanno percorrere lunghe distanze.