Abbiamo intervistato Alessandro Bossi, cantautore giovane, fresco e talentuoso che, questa sera, aprirà la data del Flowers Festival del cantante e musicista anglo-italiano Jack Savoretti.
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_di Roberta Scalise
«Aspetto questo momento da una settimana e non vedo l’ora di salire sul palco». È entusiasta, energico e ricolmo di giovinezza Kiol, pseudonimo gaelico del torinese – ma ora residente a Londra, per studio – Alessandro Bossi, al Flowers Festival di Collegno, questa sera, per aprire il concerto del cantante e musicista anglo-italiano Jack Savoretti.
Classe 1997, Alessandro nasce a Torino e avvia la propria carriera cantautorale nel 2016, in seguito a un viaggio in Irlanda nello sperduto villaggio di Mallow, «dove mi sedevo con i miei amici sui campi da calcio e cantavo le mie canzoni», che, in poco tempo, lo ha condotto a condividere la scena con Natalie Imbruglia, i Placebo, Patty Smith, i Negrita ed Eros Ramazzotti e a infuocare, così, le platee di tutta Europa.
Riscontrando un successo trascinante e spontaneo che, ora, sta diffondendo il suo talento anche al pubblico italiano.
Nasci artisticamente come batterista e chitarrista, ma come ti sei avvicinato al mondo della musica e qual è stato il motore propulsore che ti ha spinto a comporre?
Mi sono avvicinato alla musica all’età di 5 anni: tutto è iniziato con una folgorazione per la batteria di un amico un po’ più grande di me, da lui ricevuta in dono. Di qui, ho iniziato a suonare i successi dei Green Day e dei Blink-182, fino alla creazione, in età adolescenziale, di piccoli gruppi locali e alla scoperta del grunge, che, per primo, ha spostato la mia attenzione anche sulla voce e le chitarre.
Nel frattempo, ho iniziato a comporre delle canzoni per i progetti che seguivo e, dopo lo scioglimento di questi ultimi e una bocciatura, mi sono recato in Irlanda, dove, con la mia chitarra e qualche brano, ho cominciato a esibirmi per gli amici del villaggio di Mallow.
Gli stessi che, in quella occasione, mi hanno soprannominato “Ceol”, ossia “musica”, in gaelico – poi tramutatosi in “Kiol”, per la pronuncia –, e mi hanno convinto a proseguire tale strada.
E qui, a Mallow, che cosa è successo esattamente?
A Mallow ho capito che la mia musica potevo farla non solo in camera. Era la prima volta, infatti, che portavo chitarra e canzoni tra i miei amici, e proprio qui mi sono avvicinato all’amore per la musica folk, alternando cover dei Mumford & Sons e brani originali che hanno attirato l’attenzione e ottenuto il consenso da parte dei presenti: lo scatto è avvenuto così, e così ho capito potessi tentare la strada cantautorale.
Come definiresti la tua esperienza a Londra? Come ti ha cambiato, a livello artistico?
Il primo anno di studio a Londra mi ha già arricchito e cambiato molto. A livello artistico, sono sempre stato vicino al folk e all’hip hop, quindi ho sempre cercato di miscelare queste, e altre, influenze sonore, pertanto, in questo senso, mi ha stupito particolarmente l’incontrarsi di generi tra loro differenti – come il neo soul, culla di r&b, soul anni ‘70 e hip hop –, e la conoscenza di persone con culture e approcci musicali dissimili, che mi hanno portato a evolvere.
Com’è nata, invece, la collaborazione con artisti del calibro di Patty Smith, Placebo, Natalie Imbruglia ed Eros Ramazzotti? Che cosa hai provato, una volta sul palco? E il pubblico come ha reagito?
Le collaborazioni sono nate l’una dietro l’altra. Per parlare dell’ultima, con Eros Ramazzotti, devo ammettere che un po’ d’ansia era presente, ma tutte le esperienze effettuate in precedenza mi hanno preparato in maniera graduale e mi hanno concesso di vivere il palco serenamente e di gestire con calma la situazione.
Per quanto riguarda il pubblico, invece, esso ha sempre reagito con calore, anche nei casi in cui il suo numero era “immenso”, rivelandosi attento, curioso e onesto.
Nello specifico, come nascono i tuoi brani e quali sono le fasi principali del processo creativo?
Sono dell’idea che non vi siano regole per comporre. Quando compongo, sento qualcosa: può derivare dalla lettura di una frase interessante – da Carmelo Bene a “Topolino” – che sento possa diventare mia e dalla quale consegue, poi, il testo, oppure può scaturire da una melodia, stimolata da altre sonorità.
E, soprattutto, è importante vivere: se non vivi, infatti, non hai il materiale per scrivere e per raccontare qualcosa, e lo “stare bene” e lo “stare male”, anche altrui, si rivelano emozioni intense particolarmente funzionali ai brani.
E, queste emozioni, confluiranno presto in un album?
In questo momento, stiamo cercando di far uscire, nel miglior modo possibile, canzoni che mi piacciono molto e risalgono a 4/5 anni fa, per poi giungere a costruire un lavoro dai suoni nuovi e caratterizzato da una rinnovata maturità. Prima di un disco, dunque, usciranno ancora un po’ di singoli, che si riuniranno, nel 2020, in un album.
Secondo te, poi, perché in Italia la tua musica non ha la medesima risonanza che possiede in Europa?
Credo che questo derivi sia dalla scelta di cantare in inglese, sia dal fatto che la musica in tale lingua derivi spesso non dall’interno, bensì da altri paesi: per tale motivo, stiamo lavorando proprio sul potere di un’eventuale “eco” proveniente dal successo riscontrato all’estero.
A questo proposito, ti piace scrivere in italiano?
Scrivo in italiano e mi piace: è una lingua poetica e incredibile, capace di dipingere immagini vivide e bellissime e di far vedere il vero colore delle parole.
In futuro, quindi, farò sicuramente uscire qualcosa in italiano!
Quali sono gli artisti che apprezzi maggiormente del panorama musicale attuale, nostrano ed estero?
Ultimamente sono in fissa con Dope Lemon e con lo stile incredibile di Angus Stone, ma anche con artisti neo soul e rap, come Loyle Carner.
E anche a livello italiano, apprezzo molto il rap, con artisti come il torinese Willie Peyote e i Club Dogo, e talenti come Bianco e i Negrita.
Infine, vi sono aneddoti relativi alle tue esperienze con i grandi artisti di cui hai aperto i concerti?
Sì: proprio i Negrita, per esempio, sono stati la band che più mi ha ispirato, perché ho visto una passione e una verità che, nonostante l’età e il tempo, sono rimaste immutate. Il consiglio che mi hanno rivolto è stato, infatti, quello di leggere tanto e parlare della mia generazione, di “urlare ai miei coetanei”. E non lo dimenticherò mai.
Il concerto inizierà alle ore 21 (29,90 euro).