Performance d’avanguardia in un teatro di pietra? Molto di più. Tra teatro, musica e arti visive, il festival Tones on the Stones e la sua costola Nextones aprono uno stargate verso il futuro, nell’incredibile scenario della cave piemontesi della provincia di Verbania. L’appuntamento è fissato per fine luglio: il 20 con l’Aida, il 23 con lo spettacolo No Gravity e il 26-27-28 con i set di Amnesia Scanner e molti altri. Andiamo alla scoperta di uno dei progetti culturali più interessanti e arditi d’Europa.
_
_di Lorenzo Giannetti
Il rinnovamento in chiave contemporanea dei classici dell’Opera e le derive più oltranziste della rappresentazione teatrale. E ancora: il dancefloor del futuro, le arti visive, il turismo internazionale. Tutte queste componenti si amalgamano all’interno di Tones on the Stones, festival giunto alla sua tredicesima edizione che si conferma un unicum nel panorama internazionale. Dopo l’anteprima affidata al Bukowski anarcoide di Alessandro Haber, a fine luglio le cave di pietra che costituiscono il proscenio naturale del festival ospiteranno una programmazione di qualità e coraggio assoluti, in grado di mettere in dialogo linguaggi artistici differenti, in un cortocircuito tra passato e futuro, Giuseppe Verdi e Nina Kraviz…
Ne abbiamo parlato con Maddalena Calderoni, fondatrice del festival, per capire quanto può essere complicato gestire un festival in un contesto di questo tipo, ma anche per raccontare meglio genesi e prospettive del progetto e del territorio che lo ospita.
* * *
Siete arrivati alla 13° edizione. Ma partiamo, ovviamente, dal principio: come è nata l’idea-base del festival? Chi sono le persone coinvolte dal “giorno 1”. Conoscevate già bene la realtà delle cave?
Le cave fanno parte del patrimonio storico ed economico del territorio ma come tanti le avevo sempre guardate come un qualcosa di molto distante, non mi ero mai soffermata a pensare a quanto la nostra cultura materiale e immateriale fosse legata alla pietra e all’attività estrattiva. Nel 2007, posando lo sguardo sullo squarcio di Montorfano mi è apparso come un imponente teatro. È stata una sorta di visione, perché mi sono immaginata l’allestimento di uno spettacolo fatto e finito, come se stessi guardando un film. Ho cercato subito interlocutori per reperire delle risorse per un nuovo festival e mi sono buttata nell’impresa. È stato un successo immediato! Il nome poi è uscito semplicemente giocando sulla vicinanza e assonanza dei due termini.
Facciamo invece solo un piccolo passo indietro rispetto all’oggi: come è andata l'”anteprima” di fine giugno con lo spettacolo di Haber dedicato a Bukowski?
Haber ha uno talento straordinario e lo spettacolo che ci ha proposto è un bell’esempio di dialogo tra linguaggi diversi e attuali. A noi piacciono questi approcci multisciplinari, fanno parte della nostra cifra stilistica. Lo spettacolo, pensato per un teatro tradizionale, ha trovato un nuovo, perfetto contesto nell’ambiente “industriale” in cui è stato proposto, e ha coinvolto ed entusiasmato gli spettatori.
Come si è sviluppata la “costola” di Nextones? C’è stato un disegno complessivo fin dall’inizio o la componente elettronica si è sviluppata in un secondo momento?
Nextones è nato nel 2014, quindi alcuni anni dopo. Volevo affrontare alcune problematiche legate alla programmazione culturale del territorio e proporre delle risposte: si era venuta a creare una sovrapposizione di contenuti e di date con un altro festival, e l’assenza di una proposta innovativa, contemporanea e di qualità, dedicata ai giovani mi ha fatto decidere di spingermi in una nuova direzione. Gli spazi di Tones on the Stones anno dopo anno evidenziavano un potenziale straordinario per una programmazione che desse spazio alle tecnologie digitali, al mapping, alla video arte… è nato quindi Nextones e siamo andati anche a definire più puntualmente lo stile generale del format Tones on the Stones.
«Oggi ci concentriamo su allestimenti immersivi e su produzioni site specific: sono certa sia la nostra strada. Tones on the Stones e Nextones sono spazi dove poter sperimentare e utilizzare tutte le tecnologie digitali per produrre eventi unici e irripetibili in altri luoghi»
Ovviamente la location di questo festival è indimenticabile. Costruire un festival a ridosso di questi scrigni di pietra appare come un miracolo. Proviamo a capire almeno in parte che cosa c’è dietro: come funziona un evento come TOTS a livello logistico? Ci racconti meglio la fase in cui “sistemate” gli spettacoli all’interno delle cave?
La cosa straordinaria di questo festival è proprio l’utilizzo di cave d’estrazione effettivamente attive. In 13 anni abbiamo utilizzato una decina di cave diverse, ma grazie al costante intervento dell’uomo sulla morfologia della cava, il pubblico si è trovato di fronte scenari sempre diversi. Sono teatri in continua mutazione, che stimolano la creatività, sia mia che dei miei collaboratori che degli artisti che ospitiamo. Concepire le produzioni è la cosa più divertente di questo lavoro, in qualche modo è anche la cava a dirci che cosa realizzare al proprio interno, ha senz’altro una sua valenza drammaturgica. Edizione dopo edizione abbiamo raffinato e definito la nostra cifra stilistica ma anche il nostro modo di produrre. Oggi ci concentriamo su allestimenti immersivi e su produzioni site specific: sono certa sia la nostra strada. Tones on the Stones e Nextones sono spazi dove poter sperimentare e utilizzare tutte le tecnologie digitali per produrre eventi unici e irripetibili in altri luoghi. In merito all’allestimento degli spazi devo dire che c’è una costante collaborazione con le aziende che ci ospitano e con l’associazione di categoria Assograniti. Inoltre la nostra squadra e il project manager Nicola Giuliani hanno sviluppato una competenza non indifferente per gestire produzioni estremamente complesse: trasformare un luogo di lavoro così duro in un teatro non è uno scherzo e anche il tema sicurezza impone sempre più attenzioni. Li ringrazio tutti perché ogni anno li “provoco” con allestimenti sempre più difficili.
In tal senso, quali sono le chicche e/o novità di quest’anno?
Questa è un’edizione molto significativa per noi, perché stiamo inserendo parecchie novità: due produzioni immersive, una collaborazione con Threes per Nextones, abbiamo ampliato decisamente il budget e attivato diverse collaborazioni nazionali e internazionali. Oggi innegabilmente all’interno di uno stesso format abbiamo due festival distinti con identità diverse, guardano i due siti www.tonesonthestnoes.com e www.nextones.eu direi che è lampante.
Restando in cava, ho una curiosità: al di là del festival, come “vive” questo territorio durante l’anno? So che ci saranno dei veri e proprio tour guidati, nell’orbita del festival stesso, ma più in generale, ti va di consigliarci qualcosa da fare/vedere in quelle zone?
Per studiare prima e poi per la mia attività artistica sono stata molti anni lontana dal mio territorio. Sono tornata dopo quindici anni e ho subito dato vita a Tones on the Stones. Ora le cave per me sono una seconda casa, il territorio mi ha offerto una splendida opportunità. La provincia del VCO ha una popolazione tra le più anziane d’Italia, i giovani se ne vanno, quello che ho realizzato spero possa essere uno stimolo, ci sono spazi e opportunità per una realizzazione professionale, certo bisogna essere tenaci e coraggiosi. Grazie al Festival, sto riscoprendo anche le meravigliose montagne dell’Ossola. Tones on the Stones si sta impegnando molto per realizzare e promuovere un format che sappia coniugare natura e arte, fortunatamente i giovani europei sembrano apprezzare questo approccio: sono infatti in costante aumento i fruitori stranieri che arrivano per seguire Nextones. Le attività possibili nel nostro territorio sono così numerose, che abbiamo creato una sezione del sito (Turismo) proprio per raccoglierle tutte.
Mi piacerebbe anche qualche parola di presentazione sulle aree del festival in senso stretto: quali sono le peculiarità delle diverse cave coinvolte quest’anno?
La programmazione della XIII edizione è contestualizzata in due location: lo stabilimento industriale di cava Seula e la cava La Beola di Monte di Montecrestese. La prima mi sembrava perfetta per uno spettacolo “duro” e irriverente come Haberowski, la seconda, una cava di Beola argentata, avendo alte pareti a ferro di cavallo è perfetta per scenografie video che possano avvolgere lo spettatore a 270°.
C’è grande fermento per l’Aida del TOTS: si tratta della vostra produzione più grande in assoluto, giusto? Realizzata in tandem col Teatro Coccia di Novara. Cosa puoi dirci al riguardo?
Verissimo. Aida è la più grande produzione da noi realizzata finora, grazie anche alla collaborazione del Teatro Coccia e dell’Ente Luglio Trapanese. Rappresenta il punto di partenza di un percorso legato alla produzione di opere liriche con scenografie video immersive. L’opera lirica si sta rinnovando anche nei Teatri, e noi possiamo veramente osare e proporre dei progetti decisamente innovativi. La nostra zona non ha teatri di tradizione, quindi mi entusiasma fare questo percorso con il nostro territorio e con il pubblico, che vediamo crescere con noi. Partiamo con Aida, giocando facile, ma ovviamente sto pensando a titoli forse meno celebri, ma comunque perfetti per i nostri teatri di pietra.
Tra l’altro, essendo tu stessa un soprano, mi incuriosisce chiederti dell’acustica del posto.
Abbiamo utilizzato cave con acustiche straordinarie. Con una programmazione che parte dall’opera e arriva alla musica elettronica è necessario lavorare con massima puntualità sull’amplificazione. Mi piacerebbe realizzare spettacoli anche acustici, ma con palcoscenici e spazi tanto grandi non è impresa semplice.
Una questione “istituzionale”. Recentemente è nata anche la Fondazione Tones of the Stones: come influirà sul vostro modo di organizzare il festival e quali sono – se già ce ne sono – progetti e obiettivi imminenti?
La nascita della Fondazione è un traguardo senz’altro rilevante, il festival è cresciuto molto negli ultimi due/tre anni e necessitava di uno strumento adeguato. Innegabilmente siamo un riferimento per il tessuto culturale e turistico del territorio e non solo: con piacere leggiamo che siamo considerati come uno dei progetti più interessanti in Europa. Come Fondazione guardiamo senz’altro a tutte le opportunità e agli strumenti internazionali che sono a disposizione degli operatori culturali. La cosa più bella della Fondazione è che a costituirne il patrimonio è il format stesso! E sempre più interlocutori se ne stanno accorgendo, infatti proprio da quest’anno abbiamo portato a bordo nuovi finanziatori e partner.
A proposito, come commentereste le reazioni del “territorio” all’evento in questi anni? Inteso ovviamente sia dalla parte della cittadinanza che da quella delle istituzioni. Che tipo di rapporto avete maturato e atteggiamento avete riscontrato?
Tones on the Stones collabora praticamente con tutti gli enti pubblici e privati del territorio, e sempre più spesso viene da loro invitata a proporre idee e contenuti per implementarne la crescita culturale e turistica. Sono felice che anche la nostra modalità produttiva, basata sull’utilizzo di spazi alternativi ai luoghi convenzionalmente deputati allo spettacolo, sia vissuta e interpretata come un grande valore aggiunto. Credo che la cittadinanza abbia sviluppato un senso di appartenenza a Tones on the Stones. L’affetto è cresciuto anche grazie a progetti inclusivi, non aumenta solo il pubblico in termini numerici, ma crescono anche i volontari e le attività che consentono ai cittadini di entrare a far parte del progetto con un ruolo attivo.
Chiusura doppia: un aneddoto curioso/particolare che ricordi con affetto di questi anni di lavoro al TOTS e un sogno nel cassetto per le edizioni future.
Non dimenticherò mai un amministratore locale che mentre chiedevo supporto per far partire il festival mi disse: “Sei pazza… chi vuoi che venga a vedere uno spettacolo in una cava” … almeno sul secondo concetto si è sbagliato!
Non ho un vero e proprio sogno nel cassetto, ma ho tante idee per spettacoli che potrebbero riempire almeno 5 edizioni… Ad esempio, sto già lavorando alla produzione di un musical horror con video scenografie in stile fantasy che racconti le incredibili storie di donne tacciate di stregoneria che hanno vissuto tra le montagne dell’Ossola ai tempi dell’inquisizione.
–
_
In ultimo, una galleria di immagini per farsi un’idea dell’incredibile “colpo d’occhio” di Tones on the Stones.
–
INFO SULL’EDIZIONE 2020 QUI