La ricerca sulla pittura prosegue in spazi come la Societé Interludio, dove casa e galleria coincidono

Giovani artisti in un contesto informale e vivo. Una galleria da poco aperta con le idee chiare, nel centro di Torino e con particolarità da scoprire.

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_di Alessio Moitre

La pittura è tecnica così nota ed acquisita. d’aver generato un trucco sofisticato all’interno dell’effimero meccanismo dell’esposizione temporanea, infatti è, per l’uomo, di qualsiasi studio, “cosa naturale”, domestica nelle invenzioni di un parente come raffinata sulle pareti museali, ma sempre di matrice comune, dunque svalutabile. La sottostima colpisce il pittore quanto il gallerista, lasciato quest’ultimo a macerarsi dentro ad un liquido d’abitudine.

Cosa vista, cosa conosciuta: il colore, la sua sovrapposizione o la negazione del rapporto classico con la tela. Di conseguenza non c’è ragione di frequentare luoghi dove la ricerca della pittura o delle altre tecniche contemporanee si accasino degnamente. Nel caso di Societé Interludio, casa e galleria coincidono e confermare il posizionamento cartografico, tramite il mio articolo è doloroso, perché delizie simili dovrebbero essere certe solo agli amanti. Ma di certo il lato imprenditoriale ne risentirebbe, dunque mi sollevo avendo potuto visitare l’ultima esposizione, dal titolo “Vie di Fuga” (con testo al seguito di Vincenzo Estremo) apertasi a marzo ed in corso sino al 16 giugno.

«La normalità complessa passa in un appartamento come questo, composto, e si capisce, da ricercatori d’arte. Ma non è una destinazione mondana, è un centro di scambi ed opinioni. Non so se la città riuscirà ancora a reggere tale nuova strafottenza»

Tre artisti, tre pittori nel contesto di un’entrata e di un salottino a modino, e trovarci un paravento di Sebastiano Impellizzeri, lavorato per l’occasione, è quanto di più lineare nel solco della tradizione barotta cittadina. Anche le cromie, ricalcanti la stagionalità del lungo Po, avvicinabili alle piante spontanee cresciute lungo la proda. Ma i segreti a Torino, iniziano sempre con un maquillage: storie, sventatezze, casi, racconti apparentemente frivoli e poi vicende. Il titolo dell’opera sono coordinate geografiche, affar vostro scovarne il motivo (i piemontesi sono stati definiti dal critico letterario Matteo Marchesini, nel solco calviniano, picareschi e diligenti, dunque nessuna manina vi debbo fornire).

Un lieve esercizio di stile è la prova di Davide Mancini Zanchi, con le sue tele di juta frapposte tra noi, l’esterno e la scarsa abitudine ad alzare la testa, per osservare sopra la linea dell’orizzonte. Sono curiosi, colorati, dunque anche un poco sacrileghi per le vie massicce del centro città. Simboli e segni, con quelli noi torinesi andiamo bene e son certo che i curiosi si saranno domandati perché su strada sono apparsi stimoli diversi dal recente passato. Di certo imputazioni d’insubordinazione non posso avanzarle ad Andrea Barzaghi, ai suoi oli su carta intelata e tela, in tutto tre, ubicati nell’ingresso. Si adeguano sia in corpo che in forma, non eccedono, rimangono, insomma. Una prova giusta, a pochi passi dalla cucina,  dal termosifone incoronato dal libro di Houellebecq, da altri oggetti e dal doppio tavolo adeguato a desco, piattaforma di lavoro, asse perditempo ed acchiappacenere per curiosi, clienti, ospiti. La normalità complessa passa in un appartamento come questo, composto, e si capisce, da ricercatori d’arte. Ma non è una destinazione mondana, è un centro di scambi ed opinioni. Non so se la città riuscirà ancora a reggere tale nuova strafottenza.