Con un concerto tiratissimo e pieno di “pacca”, Edda si è di nuovo confermato come un artista che è impossibile da ingabbiare in schemi o in generi preconfezionati: che si gratti il culo sul palco o raggiunga ottave che non credevamo neppure esistessimo, ad uno come Edda non si può che non volere tanto bene. Ma proprio tanto.
–
_di Mattia Nesto
Che Edda non sia un cantante “normale” è ormai un dato di fatto assodato negli anni. È infatti quello che si può permettere, senza perdere un briciolo di credibilità di, letteralmente, grattarsi “colà ove non batte il sole” senza che nessuno degli spettatori che hanno gremito il Santeria Social Club di Milano facesse un commento negativo, una battutitina ironica o anche solo un pensiero salace: no, Edda, al limite del misticismo, ancora una volta, è riuscito a fare di un concerto una bestemmia in chiesa, una messa laica, sì, insomma, Edda ha ormai raggiunto la beatificazione.
E questo stato di grazia, o forse di “santità al contrario” raggiunga, lo ha trovato con il suo nuovo album “Fru-Fru”, uscito a febbraio per Woodworm. Se forse la fan-base e i critici di vecchia data maggiormente appassionati di Edda hanno trovato come sia un album troppo leggero l’ex Ritmo Tribale ha invece avuto le idee molto chiare: se leggerezza proprio doveva essere allora mettiamocela alla mia maniera, ovvero nel modo più pesante possibile.
Proprio in modo “pesante” si è quindi presentato in Santeria, spalleggiato da una band composto da chitarra, basso (e tastiere) e batteria che più solida e possente non si poteva. Questo ha permesso al cantautore milanese di suonare i suoi pezzi in modo deciso e possente. Scordatevi infatti quelle situazioni, a cui Edda ci aveva ormai abituato negli anni, di set semi-acustici o comunque “solo chitarra e voce”. No, per il suo album “più leggero” Edda ha scelto la soluzione “più pesante”, con una formazione di attacco che ha dato pacca e sostanza ad ognuno dei pezzi di “Fru-Fru”.
Album che poi, per altro, a giudicare dal pubblico della Santeria, è stato immediatamente assimilato dai suoi appassionati che hanno cantato senza sosta e senza sbagliare una strofa tutte le canzoni proposte.
E quale sia questa dimensione spirituale (non spiritistica) emerge molto chiaramente. Prendiamo “Samsara”, un pezzo fatto benissimo l’altra volta in Santeria e che, dopo qualche ascolto più approfondito, rivela la citazione certamente di San Francesco e Sant’Agostino, ma anche di un verso di un sacerdote Hare Krishna. Perciò si può comprendere bene come Edda, nel suo modo unico di fare le cose, è riuscito ancora una volta a spiazzarci, proponendo un album che al primo ascolto sembra leggero, bello ma passabile, e che invece, dopo uno “studio” maggiore, brilla di una luce e di una profondità di campo incredibile.
Ma gli esempi non finiscono qua. Nella tiratissima “Italia Gay” il serio e il faceto si mescolano, tanto da potere dedicare, in modo oltremodo sibillino, questo pezzo a “tutti i membri del prossimo Forum delle Famiglie di Verona”.
Alla fine, quando Edda si concede ad un lungo bis a dimostrazione di tutta quanta la sua voglia di suonare e di stare sul palco, ci appare chiaro come il cantautore di Milano sia una stella sghemba nel panorama nostrano, un artista capace di portare una ventata di aria fresca sempre e comunque, e mai per il gusto “di suonare strano” ma sempre perché suonando riesce ad esprimere la cosa più importante di tutte: se stesso.