[INTERVISTA] Salgari Records: El Búho a Torino per cancellare i confini

Sabato 23 marzo il producer UK Robin Perkins – aka El Búho – arriva a Torino  nella cornice urbana del Teatro Espace per una data esclusiva del nord Italia. 


_di Alessia Giazzi

Abbiamo scambiato due chiacchiere con Davide Vizio di Salgari Records,  label emergente che, insieme a Ondapacifica e Discomoderni, ha deciso di abbattere i confini – geografici e musicali – portando “Il gufo” a Torino.

Rompiamo il ghiaccio con due parole su Salgari Records: come è nata l’etichetta?

Salgari Records, Torino, seconda metà del 2018. Per chi è di Torino, diciamo che Salgari può essere un nome familiare: scrittore di Sandokan e del Corsaro Nero, è riuscito a influenzare suggestioni e visioni esotiche pur non essendosi mai spostato di casa, immaginando e facendo immaginare ad altri posti lontani mai visitati. Il parallelismo con Salgari nasce nei giorni nostri con questi produttori musicali che, stando in casa propria, prendono suoni da una parte all’altra del mondo, li campionano, li ricreano unendo popoli e culture, peraltro in un momento di tempi bui in cui si erigono barriere e muri rispetto a integrare il diverso. Questo è un po’ il concept di integrazie del diverso che arriva da un lato con la world music e dall’altro da un contesto urbano un po’ più danzereccio che ibrida ascolto, ricerca dei suoni e degli strumenti di matrice organica, acustica, materica con una contaminazione più contemporanea dell’elettronica in una chiave dancefloor. In Italia non abbiamo la cultura musicale legata a quegli spazi che sono poi gli alternative stage e alle aree chillout, tutto ciò che è all’interno di festival più grossi che ogni tanto uno riesce a tirar su ripensando la musica e la sua fruizione a 360°.

Nello specifico chi c’è dietro a Salgari Records?

Salgari Records sono io [ride] Personalmente, questo concept di Salgari deriva da quando ho iniziato a far musica – ma è anche un’idea che tutti possono condividere – e ho ascoltato i primi vinili che avevo in casa – nello specifico i vinili che aveva mia madre tra robe strane, world music, free jazz – è da lì che è iniziata la mia passione per i dischi e per la ricerca, anche più a livello etnomusicologico, un po’ più storico, tribale, legato ai luoghi. Questo mio percorso da musicista che tentenna tra mille identità ha trovato una chiave con Salgari e principalmente il motivo per cui è nato è che nell’ultimo anno ho tirato su questo progetto che si chiama Nina Simmons, insieme a un altro sassofonista, e le sonorità che abbiamo approfondito si collocano tra elettronica e world music in una chiave downtempo. Dato che a Torino non ci sono dei contesti dove proporre al meglio questo tipo di musica, con Nina Simmons ho pensato di ricreare una situazione ottimale che potesse valorizzarla. Ad esempio abbiamo fatto un evento a fine dell’anno scorso da Comodo64 insieme a Ivan Cazzola in cui abbiamo anche presentato Salgari Records: l’evento si chiamava Tupinambà, il nome assegnato erroneamente ai tapinambur erroneamente.
Piccolo aneddoto sull’origine del naming: ai tuberi è stato dato questo nome quando nel 1500 sono stati “portati in visita” degli indigeni del Brasile che facevano parte di una tribù chiamata Tupinambà e insieme a loro erano stati presentati questi tuberi, creando questa confusione linguistica generale [ride]. Ispirandoci a questo episodio abbiamo creato questo piccolo concept di world music e cibo. Poi con con El B
úho ci sarà un’altra occasione per creare sensibilità verso questo tipo di sonorità e anche verso questo tipo di fruizione: un ballare che sia un po’ più tranquillo, una musica tra una techno lenta e una dub.

Ci dicevi che rispetto a chiamare artisti di Salgari Records hai preferito privilegiare la presenza di El Búho a Torino. Che cosa ti ha affascinato in particolare di questo artista da volerlo assolutamente portare qui?

Beh è stato uno dei primi esponenti di queste nuove sonorità che ho ascoltato tre anni fa quando ho scoperto su Soundcloud questo tizio che faceva della musica “nuova”. Io ero un po’ avvezzo a questo approccio digitale e lui ha trovato una chiave di interpretazione che suona molto personale e funziona molto bene, è stato il primo ad aprirmi a questi nuovi produttori e a quest scena musicale internazionale di downtempo elettronica. Anche una delle sue tracce, uno suo re-edit, mi ha fatto un po’ venire in mente Salgari e mi ha fatto pensare che c’era da agire e ricominciare a fare dei dischi.

El Búho si allinea piuttosto bene la filosofia di Salgari Records essendo lui britannico ma attingendo musicalmente da influenze sonore sudamericane.

Sì, lui sembra una barzelletta! C’erano un argentino, un inglese, un francese..ecco questo mix è El Búho! Tra l’altro lui è un attivista di Greenpeace, uno molto sensibile a una serie di temi relativi alla natura che trovano un richiamo anche nel suo nome d’arte, letteralmente “il gufo”. Per farti capire, lui cercherà di spostarsi nella maniera meno impattante possibile: arriverà in aereo fino a Roma per un’ulteriore data e poi prenderà un treno, non berrà da bottiglie di plastica… insomma quello che prova a trasmettere con questa musica cerca di applicarlo a 360° nella quotidianità. C’è bisogno di contenuti in questo momento e aprirsi a queste nuove sonorità potrebbe essere un buon punto di partenza per cambiare le cose.

Pensi che il fatto di aprirsi ad altre culture sul piano musicale possa poi portare a un cambiamento di stampo più sociale?

Sì, la musica è cultura in fin dei conti: la musica si condivide, è fatta per stare insieme, si parla con gli altri. Quando mi chiedono perché Salgari Records non sia partita facendo ascoltare qualcosa di proprio rispondo che è perchè io e altri ragazzi che mi stanno dando una mano stiamo provando ad applicare un approccio che viene dal basso: il concept di Salgari, i romanzi, la narrazione, fa sì che uno crei curiosià, un percorso dal punto di vista di community e di sensibilità delle persone a essere pronte ad aprirsi a cose diverse. La chiave è proprio partire dal basso per fare le cose, collegandosi anche a livello internazionale con artisti del livello de El Búho. Un anno fa con Andrea –  perché questa serata dall’idea con Ondapacifica, l’altro ragazzo che suonerà alla serata – non conoscendo tanta gente che ascoltasse questa musica, io e Andre ci siamo martellati mentre io ero qui e lui era in Colombia per portare assolutamente qua El Búho e alla fine abbiamo trovato questa soluzione in questa location tutta alternativa che creerà un’identità particolare per la serata: porteremo l’impianto Makinda Hi Fi, ci sarà videomapping, ci saranno vari sponsor con vari omaggi, si creerà una bella situazione.

Partire da Torino è un po’ difficile da una parte perché manca la sensbilità rispetto a questo genere ma allo stesso tempo è un territorio da esplorare. Per ora come che tipo di feedback sei riuscito a raccogliere da parte del pubblico torinese?

In realtà per ora ottimo, sono fiducioso: non è una cosa per tutti però il fatto che trovi spazio in una realtà molto complessa è già un primo passo. Torino è unica tra le città in italia che permettono di realizzare iniziative dal basso perché le persone che sono a Torino vivono la città rispetto ad altri contesti urbani in cui la gente è solo di passaggio. A Torino ci sono realtà concrete, basta buttare la miccia e poi le cose si accendono. Non a caso abbiamo deciso di fare direttamente El Búho, nello stesso periodo in cui è venuto in Italia, a Milano, Nicola Cruz: evidentemente è il momento giusto per aprire questa breccia.

Per Torino è anche un momento particolare in cui convivono situazioni contrastanti: da una parte la spinta a costruire qualcosa di nuovo e dall’altra le strette sempre più severe sulla movida con la chiusura di tanti dei locali punto di riferimento per l’ambiente musicale.

Ma una situazione secondo me porta all’altra, purtroppo non si è mai in un clima di pace totale in cui uno è veramente libero di fare quello che vuole. Nel momento in cui non si è in tempi positivi, più si stringe sulla libertà più la gente inizia a svegliarsi e a fare controcultura. Non solo per chi fa musica, anche per la gente che organizza: ci sono molte più serate in spazi occupati,  per quanto ne chiudano qualcuno per dare un esempio a tutti, per sottolineare che queste cose non si possono fare.

Tornando a Salgari Records, con che artisti state lavorando per ora? Riusciremo a sentire presto qualcosa di vostro?

Una prima release uscirà con crowdfunding per finanziare il progetto di una ONG e questo progetto musicale sarà da un lato una ricerca su un certo tipo di sound e dall’altra parte sarà una ricerca su che tipo di feedback può restituire la musica. Tutto questo di concept di Salgari vuole comunicare che la musica non è solo effimera, la musica può generare cambiamento. Noi siamo in mezzo al Mediterraneo, ci sono barche con gente a bordo che non possono attraccare..uno può guardare anche oltre quello che fa e riuscire a dare con quello che fa qualcosa indietro.

Quindi c’è anche una componente di Salgari Records molto vicina all’attivismo.

Ci sono dei contenuti che non sono prettamente musicali, sono legati a cultura, socialità, filosofia di vita nel modo di stare assieme e di restituire qualcosa alla collettività, questo per non essere sempre molto individualisti e guardare solo alle cose che si vogliono fare.

Ci sono degli artisti e dei producer italiani che ti ispirano particolarmente e che si allineano con la filosofia di Salgari Records?

Ci sono giri di artisti che, pur  essendo un po’ una nicchia, sono seguiti da una parte dall’altra del mondo: a volte saltano fuori delle realtà che paiono essere straniere e in realtà sono poi italiane! Per citarti alcuni tra i più noti ad esempio Populous o Montoya che è un altro dell’etichetta di Nicola Cruz ed è di Trento ad esempio! L’appertenenza è relativa perché poi questa musica gira e cancella i confini.