«Soffre tutto ciò che cambia, anche per farsi migliore», scriveva Pasolini. Storie di abbondoni, fughe, solitudine e Amore. Il mito di Teseo e Arianna si attualizza tra le pagine di Chiara Gamberale nel suo ultimo romanzo: L’isola dell’abbandono. L’abbiamo intervistata in occasione della conferenza di presentazione al Circolo dei lettori di Torino.
_
_di Federica Bassignana
L’isola dell’abbandono, edito Feltrinelli, di Chiara Gamberale fa riflettere il lettore sin dall’iniziale riposo di sguardo sulle prime parole che incontra: l’abbandono del titolo – e tutto il dolore che evoca – e la dedica del romanzo, “A chi resta” – e tutta la speranza che racchiude. Un contrasto ossimorico, potente, evocativo e disarmante.
Sinonimo di abbandonare, nel suo uso più comune, è piantare in asso, espressione che si attribuisce al mito dell’abbandono per antonomasia: Teseo e Arianna. Teseo, uscito dal labirinto di Creta grazie al filo di Arianna, la abbandona sull’isola di Naxos. Così, in Naxos: in asso, appunto. La storia del romanzo dialoga continuamente con il mito, interrogando i misteri più profondi dell’esistenza: l’amore, la paura di perdere il filo per uscire dal labirinto della vita, la morte, la nascita, l’abbondono subìto, l’abbandono inflitto, la fine, l’inizio.

Chiara Gamberale mette i lettori vis à vis con le loro trasformazioni, vere protagoniste del romanzo declinate nelle loro più diverse e fatali manifestazioni.
Perché le metamorfosi, talvolta orientano, talvolta costringono al cambiamento e solo assecondandole, abbandonandosi all’imprevisto, a noi stessi, alla vertigine dello slancio e alla vita, possiamo capire – forse – chi siamo davvero. L’isola dell’abbandono mostra come non sia possibile giocare a nascondino con sé stessi perché quando la vita irrompe, con forza improvvisa, si cambia. E il cambiamento, fa soffrire, sempre, anche quando si fa migliore.
Un romanzo sulla fenomenologia dell’amore e dell’abbandono, su come affrontarlo e come superarlo e che celebra chi, invece, ha il coraggio di restare. Approfondiamo l’argomento con la stessa Chiara…
Il romanzo racconta l’abbandono, nelle sue sfumature e nelle sue declinazioni. Essere abbandonati e abbandonare. Quale abbandono è più difficile da vivere e superare?
Entrambi lo sono, anche se per motivi diversi… Ma comunque si tratta di affrontare uno strappo, un cambiamento profondo. È un percorso inevitabilmente lungo e doloroso. Ma solo se accettiamo di farlo possiamo dire di avere guadagnato una perdita. Sembra un ossimoro, ma non è così, fa parte del nostro venire al mondo.
E ancora, nella seconda parte del libro, si parla di un altro abbandono: “abbandonarsi a sé stessi”, cosa vuole comunicare ai lettori? È una condizione necessaria per affrontare un dolore o per evaderlo?
Abbandonarsi a sé stessi, sì, ma anche alla vita, quando tocca a noi e ci sorprende… Invochiamo sempre che succeda, eppure, quando poi succede, ci ritroviamo ad alzare le difese, ci sembra quasi un attentato… Perché, come scriveva Pasolini, “soffre tutto quello che cambia, anche per farsi migliore”.

Che ruolo hanno la fuga e la solitudine nel romanzo?
La fuga è l’unica soluzione di fronte alle difficoltà per Stefano, uno dei personaggi maschili. Ma è anche una grande tentazione per Arianna, di fronte al vero amore e alla felicità… La solitudine invece diventa per Arianna fondamentale, fra l’abbandono che subisce da Stefano e l’abbandonarsi a cui la invita l’incontro con Di, l’altro personaggio maschile.
In opposizione al titolo, la dedica del libro è “A chi resta”, cosa ha orientato questa scelta?
L’ha orientata proprio il fatto che anch’io, come Arianna, conosco quella tentazione di fuggire di fronte a chi invece resta… E sono arrivata a un punto della mia vita in cui non voglio più fuggire. E mi sento di celebrare chi resta, anziché averne paura.
Ci sono diverse manifestazioni di Amore nel libro, nelle relazioni tra i personaggi. L’amore verso il compagno, l’amante, il padre del proprio figlio e verso il figlio stesso. L’amore è come il filo di Arianna che aiuta a uscire dal labirinto o può intrappolare invece dentro?
Può fare entrambe le cose… Ma credo che fondamentalmente sia la nostra più grande occasione per accedere al mistero. Di chi abbiamo davanti, del mondo. E di noi stessi.
In nome di questo mistero, credo che se sapessimo di cosa abbiamo bisogno, non avremmo bisogno dell’amore.
–
–
All pics by Sara Lando