[REPORT] Rough Enough: “Molto Poco Zen”, molto poco soft

Continua la rassegna LOUD da Zo – Centro Culture Contemporanee. Stavolta è il duo catanese Rough Enough a presentare il nuovo album.

_di Simona Strano

Sono in due, il palco è ben illuminato e due amplificatori si stagliano sulla destra, poco dietro a una ricca pedaliera: i Rough Enough ringraziano il pubblico e iniziano a spiattellare i brani del nuovo disco “Molto Poco Zen”, appena uscito per Overdub Recordings.
Sono una ventina i brani scelti non solo per presentare il disco ma anche per ripercorrere la storia della band, dalla creazione, ad opera di Fabiano Gulisano, fino all’ingresso di Raffaele Auteri alla batteria, una manciata di anni fa.
La scelta dell’opening track del live cade sul primo singolo estratto da “Molto Poco Zen”: Mackie. “Ci faccio l’abitudine/andare avanti vuol dire perdere” e la chitarra graffia per quattro minuti abbondanti. Si continua ripescando Bisturi per poi tornare al presente con Una Lunga Serie di Scelte Sbagliate.

Tra una canzone e l’altra i due musicisti scambiano battute con il pubblico, rendendo l’atmosfera già assai rilassata e amichevole tempestata di tormentoni e citazioni tratte dal disco (che gli amici presenti proprio tra il pubblico conoscono già a memoria): una di queste sarà sicuramente “col Nesquik devi soffocare”, frase della title track Molto Poco Zen, ripetuta a più riprese.

Tra i testi che provano a fare un’analisi sociale – neanche troppo diplomatica –  c’è spazio per la disillusione generazionale, per la ossimorica inciviltà di questo nuovo millennio, per le fake news, per la noia e le sue conseguenze, per la fragilità di corpo e mente ma, allo stesso tempo, ciò che traspare è la capacità di provare a mantenere il focus e avere ancora voglia di reattività e di riscatto.  Almeno per chi se lo merita, in uno scenario praticamente post apocalittico ben poco meritocratico e, come sempre, pieno, pienissimo di viziati figli di papà dalle strade ben spianate.
Anche lo stesso momento in cui Gulisano abbandona la chitarra per un synth ricavato da un joystick sottolinea l’approccio poco italico e meno mainstream di questa band. Forse i testi sembrano funzionare più in inglese ma gli incastri di batteria e chitarra (questa tipologia di duo è ormai assai inflazionato, da un decennio abbondante a questa parte) funzionano bene e meglio di tanti altri.

Saranno le svisionate più alternative che blues della Gibson SG (e non solo) di Fabiano Gulisano, saranno i calzini colorati del batterista picchiatore Raffaele Auteri ma il cocktail sonoro offerto live dai Rough Enough risulta internazionale, privo di spocchia, assai divertente ma, soprattutto, ben suonato dalla prima all’ultima nota e questa, diciamolo con onestà, di questi tempi è una capacità che anche i meno avvezzi al genere non potranno proprio negare.