Nel videogioco “Gris” il Nomada Studio riesce ad evocare grandi temi, come il dolore, la perdita e l’inadeguatezza di fronte alla vita, con levità e poeticità, senza dimenticare un gameplay ricco di trovate piene di ingegno che lasciano senza parole.
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_di Mattia Nesto
“Inutile piangere. Si nasce e si muore da soli”. Così scriveva Cesare Pavese nel suo celeberrimo “La casa in collina” e proprio queste parole mi sono venute in mente nel momento in cui ho terminato Gris, il gioco per Microsoft Windows, Classic Mac OS e per Nintendo Switch (noi abbiamo provato proprio questa versione) realizzato dal team di sviluppo spagnolo, anzi catalogno, Nomada Studio e musicato dai Berlinist, gruppo nostrano che si è fatto onore. Ma che gioco è Gris per scomodare, addirittura, Cesare Pavese.
Meglio dirlo subito: Gris non è (solo) un’avventura grafica, un gioco in cui è la storia o la narrativa a fare da padrona. No, tutto il contrario. Gris è un titolo che fa del gameplay il suo cuore, un gameplay scarno e ridotto all’osso ma non privo di tocchi e trovate geniali, anzi, ma che, contemporaneamente, attraverso una scrittura silenziosa e una tavolozza di colori mai così ispirata, ci fa intuire tutto il senso profondo di ogni singola nostra azione.
Già perché la nostra protagonista, una ragazzina con i capelli a caschetto, lo sguardo sognante e le lentiggini che punteggiano il viso è sola davanti ad un mondo e a situazioni ostili. La vediamo affranta, praticamente afona e sconfitta ad inizio del gioco, soverchiata dallo spazio aperto che, sconfinato, si estende intorno a lei. Ogni passo, ogni movimento, ogni piccolo tocco del joycon che diamo è un piccolo, grande dolore, una parziale o forse totale fatica che la nostra protagonista deve compiere, per andare avanti, per andare oltre, senza sapere, però, per andare dove.
E così, via via, abituandoci a questi nostri passi pesanti e spesso incerti facciamo la conoscenza con l’ambiente di gioco, con gli ostacoli da evitare, con i dislivelli da superare e gli strapiombi da superare. Prima un deserto, poi un bosco, poi una serie di caverne umide e quindi il mare nero della notte e ancora il cielo stellato e molto altro ancora. Un mondo di Gris solo all’apparenza disabitato ma in realtà che vibra di piccole presenze vitali, che ora ci ignorano, ora ci aiutano ma mai ci minacciano, perché il pericolo viene dal di dentro, viene da noi, viene dal nostro insondabile e oscuro dolore per una perdita, per una fine, per una voce che stentiamo a recuperare.
Una ragazzina afona che deve attraversare un mondo crudele senza poter dire una parola: questo è Gris ma, nonostante ciò è lungi dall’essere un gioco straziante, anzi.
Grazie alla colonna sonora curata con maestria dai Berlinist, capaci sempre di sottolineare con grande eleganze e sagacia ogni momento topico e meno topico della nostra avventura, Gris evolve, cambia pelle e cambia forma mano a mano che il nostro gameplay si fa sciolto, i nostri passi meno incerti, i nostri salti più precisi e la nostra voce, piano piano, “si fa”.
Il dolore non viene superato con l’oblio della memoria o con l’abbandono dell’anima, no tutt’altro. Le stelle che siamo obbligati a raccogliere per far sì che la nostra costellazione nel cielo stellato venga completato e ci permetta di attraversare “gli oceani dello spazio e del tempo” sono piccoli puntini di memoria che ci vogliono dire come, ogni sconfitta non va dimenticata ma va incamerata e fatta propria, per poter essere più forti la prossima volta o, ancora meglio, più adattivi. Infatti nel mondo di Gris non si supera un ostacolo con la durezza della spada che trafigge ma con l’intelligenza della forma che muta. Allora, quando il vento sarà troppo forte per poterci muovere, dovremo farci pietra per resistere e andare avanti. Certo saremo più lenti, certo non saremo più agili come prima ma il nostro viaggio proseguirà, andrà avanti e ci ricorderemo tutto perché non è vero che si ferma è perduto è vero che si scorda non impara e quindi non cresce.
La crescita, è questo il cuore di Gris, la crescita nel risolvere i puzzle dei livelli, la crescita nell’abilità nel superare i cul-de-sac contro cui, di tanto in tanto, ci troviamo a sbattere contro oppure la crescita nel saper affrontare il nemico di turno, qualunque aspetto, forma o elemento esso assuma.
Gris è un’opera poetica e ispirata, un titolo che nonostante si termini in 5-6 ore, almeno nella sua versione base, rende ogni singolo minuto di gameplay più denso e fondamentale decine e decine di ore di gioco del “solito” open-world degli anni dieci del 2000. Il nostro consiglio è di provare il dolore, di conoscere la perdita e di comprendere cosa si prova a smarrire la propria voce e non ricordarsi più quali siano i propri colori, perché solo così si può crescere.
Ecco perché la protagonista di Gris non solo attraverserà mondi ma si immergerà anche attraverso svariate pigmentazioni e ascolterà diversi suoni. Conoscenza, crescita e sfida: tutto questo oggi ci può fornire il mondo dei videogiochi e piccoli, anzi grandi titoli come questo Gris ne sono l’esempio più luminoso.