[INTERVISTA] Il Saggiatore: il testo letterario come generatore di abissi

Pubblicano le parole degli altri, noi vogliamo far parlare loro: le case editrici. Marchi storici oppure realtà underground, eclettiche o iper-specializzate, alla ricerca di talenti a chilometro zero oppure di nomi internazionali poco distribuiti. Mettiamo il naso tra le pagine delle loro bozze, per raccontare il loro modus operandi e la loro poetica. 

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_di Lorenzo Giannetti

Il Saggiatore non ha bisogno di presentazioni: un’eccellenza dell’editoria italiana, capace di coniugare titoli dall’appeal mainstream e attitudine outsider ma soprattutto in grado di sublimare la saggistica in letteratura e viceversa. Fondata nel 1958 come costola di Mondadori (dopo Feltrinelli e prima di Adelphi), la casa editrice ha attraversato questi decenni con approccio sempre personale e ardito, all’insegna della qualità, dell’attenzione per i dettagli e della ricerca.

Ci siamo confrontati con il direttore editoriale Andrea Gentile, per ripercorrere una storia entusiasmante e spesso controcorrente: dalla celebrazione della collana di culto intitolata “La Cultura” alla scelta di bypassare la formula del tascabile, fino ai recenti progetti “multidisciplinari” e agli eventi organizzati sul territorio. Con un comun denominatore: la diffusione un’idea di cultura che possa davvero resistere alla prova del tempo, una letteratura che sia “contemporanea all’infinito”.

60 anni di attività: proviamo a rievocare almeno 2-3 momenti salienti per lo sviluppo della casa editrice? Quali gli upgrade più significativi (e/o anche “simbolici”)?

Il Saggiatore/Andrea Gentile: Il primo momento simbolico è sicuramente la pubblicazione di “Lettera sul matrimonio” di Thomas Mann, il primo volume pubblicato con questo marchio, fondato da Alberto Mondadori. Il secondo momento simbolico è, per quel che mi riguarda, l’acquisizione del marchio da parte di Luca Formenton, nel 1993; la casa editrice tornava ad avere indipendenza – dopo un lungo periodo mondadoriano. Il terzo momento lo scovo in tempi più recenti; nel febbraio 2014 usciva “Prendila così” di Joan Didion, nella collana La Cultura, la storica collana di saggistica della casa editrice. Era emblematicamente un passaggio che sanciva una definitiva rifocalizzazione e mutamento dell’anima di questa casa editrice. Sempre senza dimenticare la tradizione; quella che per Gustav Mahler è conservazione del fuoco e non adorazione delle ceneri.

A parere di chi scrive, bilanciate egregiamente uscite internazionali e nomi nazionali: come si sviluppa attualmente il catalogo del Il Saggiatore? Ipotizzando di osservare una mappa della letteratura contemporanea, quali sono i paesi “emergenti” o comunque meno noti da un punto di vista letterario che suscitano maggiormente il vostro interesse?

La poetica della casa editrice, sul fronte letterario, mi pare molto chiara ed è arrivata, almeno dal mio punto di vista, a una certa maturità; se in lingua italiana hanno esordito Andrea Esposito e Marco Lupo e diversi altri esordiranno nei prossimi anni (solo per citare il prossimo: Francesco Iannone, con una favola oscura intrisa di poesia) aggiungendosi ad autori come Vittorio Giacopini o Filippo Tuena, in lingua straniera abbiamo ampliato la prospettiva; a voci del nostro catalogo che abbiamo cercato di valorizzare (penso a Joan Didion, Joyce Carol Oates, David Peace), o a autori classici ripresi da altri cataloghi come Witold Gombrowitz, abbiamo aggiunto autori di svariate lingue, nella prospettiva di proporre delle poetiche in linea con quelle della casa editrice, eludendo talvolta la supremazia della lingua inglese; autori come László Darvasi, Andreas Moster, Mircea Cartarescu o altri che arriveranno come Ádám Bodor, Julio Llamazares, Esther Kinsky, Jakob Nolte hanno sguardi e stili molto personali, ma tutti rispondono a una precisa idea di mondo: per trovare una formula imprecisa: testo letterario come generatore di abissi.

Abolizione dei tascabili: come mai questa scelta? Quanto sta pagando sulla medio-lunga distanza?  

L’abolizione dei tascabili partiva da diversi presupposti: il primo era che la casa editrice aveva bisogno di una politica/poetica unitaria; per loro natura, i tascabili rappresentavano un “sottobosco” del catalogo, mentre noi ritenevamo che molti titoli del catalogo, se riproposti come novità, avrebbero avuto riscontri maggiori. Al tempo stesso, dal nostro punto di vista, si trattava di andare incontro al lettore ideale della casa editrice: un lettore con grande consuetudine all’oggetto libro che preferisce un’edizione non solo più bella, ma che soprattutto rientri in un progetto di costituzione di un’aura editoriale. Ora la casa editrice aveva un’aura e questo spingeva un certo tipo di lettore a interessarsi a un libro che, magari, nei tascabili, gli era sfuggito.

Un evento come Book-City sembra – apparentemente – andare in un direzione non dico opposta ma comunque diversa da quella de Il Saggiatore: diffuso ma forse anche un po’ dispersivo. Eppure nel complesso pare che la ricaduta culturale e mediatica sia buona. Dal vostro punto di vista quali sono i punti di forze della manifestazione e in cosa, invece, potrebbe ancora migliorare?

La politica di proliferazione degli eventi di Bookcity è stata molto discussa in questi anni. Dal nostro punto di vista di editori, si tratta di una formula molto efficace, che permette di costruire eventi con grande attenzione, in luoghi spesso inaccessibili durante l’anno, ed evitando, spesso, la solita formula “presentazione libro”.

Sempre a proposito di Book-City, avete chiuso in bellezza la manifestazione con un party tutto vostro: come è andata “La grande festa del Saggiatore”? Vi stuzzica l’idea di replicare eventi di questo tipo nel corso dell’intero anno?

Un editore è anche un agente culturale, e durante l’anno, per quel che ci riguarda, deve costruire ragioni di incontro e di profondità; siano esse una festa, una conferenza, una semplice presentazione, l’importante è l’approccio: costruire in sinergia con la poetica della casa editrice.

Dal vostro punto di vista, quanta cooperazione e sinergia c’è nel mondo editoriale nostrano (tra case editrici colleghe ma anche nel rapporto con fiere, media ect) e quali invece sono le criticità nella gestione dei rapporti dei soggetti coinvolti?

Tema molto complicato. Mi limito a rispondere alla prima parte di domanda: mi pare che negli ultimi anni, con l’emersione di una nuova leva di editoriali, la cooperazione e sinergia sia molto cresciuta. Si può fare ancora di più, nel tentativo di evitare di lasciarsi schiacchiare dalla vita quotidiana.

Recentemente, avete deciso di contribuire attivamente alla realizzazione del film “Bajkonur, Terra”, lavorando nel solco di un immaginario comune, al crocevia tra parole ed immagine. Cosa potete raccontarci di questo progetto e di eventuali operazioni simili?

In una casa editrice si lavora con i contenuti e non soltanto con i testi; “Bajkonur, Terra” di Andrea Sorini rappresenta un primo passo per esplorare un meccanismo che vediamo necessario a lungo termine: un libro è anche un film o un documentario, o una mostra, o uno spettacolo teatrale. Non importa che l’origine sia il libro stesso. In questo caso, per esempio, dal film nascerà un libro, a firma di Eliseo Acanfora.

Domanda classica ma non retorica: quali consigli daresti ad un aspirante scrittore nel 2019?

Non fermarsi alla forma.

Chiudiamo con una sfida per il futuro: la ristampa di un Classico che vi piacerebbe tantissimo pubblicare?

La Bibbia come un romanzo.