“First Night Nerves”: uno sfavillante microcosmo di tensioni al femminile  

Dopo otto anni trascorsi  tra produzioni e progetti collettivi, Stanley Kwan torna alla regia di un lungometraggio con la storia della nascita di un’amicizia tra due donne dello star system.  Interrogandosi con la consueta delicatezza su un soggetto femminile, il regista di Hong Kong trova anche l’occasione per fare il punto sull’attualità di un’industria in difficoltà. Presentato in anteprima al prestigioso Busan International Film Festival, il film è stato inserito nella sezione Festa mobile del TFF 36.

_di Alberto Vigolungo

Xiuling e Yuwen sono scritturate per un dramma teatrale in cui interpretano la parte di due sorelle: per la prima, la proposta arriva a distanza di cinque anni dalla sua ultima apparizione sulla scena, quand’era all’apice della carriera; per la seconda rappresenta l’occasione per confrontarsi con la diva di un tempo. Il film segue la preparazione delle due attrici ad una prova che per entrambe vale molto, tra tensioni, scoperte, tentativi di comprensione, confessioni di un passato che le ha duramente segnate, nei sei giorni che intercorrono tra il loro arrivo ad Hong Kong e le prove generali dello spettacolo. Tra le persone che accompagnano la loro vita dentro e fuori dal teatro, un regista transgender tanto fragile quanto perfezionista, una produttrice comprensiva, assistenti fidate e un’amica intima.

First Night Nerves è innanzitutto ritratto della solitudine della star, emblema del dissidio tra l’essere e l’apparire e della loro pericolosa mescolanza, radicalizzato nelle forme di un divismo ancora lontano dalla sua definitiva scomparsa, in piena era “social” (uno dei personaggi del film è introdotto mentre è impegnato a leggere notizie di gossip sul tablet o a seguire trasmissioni tv in ufficio, durante le pause, con piglio quasi febbrile). Pur essendo intrecciate fin dall’inizio, le storie di Xiuling e Yuwen si sviluppano in parallelo per gran parte del film, storie che passano inevitabilmente per la coscienza del proprio vissuto. L’attrice più anziana si è lasciata alle spalle un matrimonio, insieme ad una montagna di debiti lasciati dal marito, morto negli Stati Uniti in un incidente aereo poco tempo prima insieme all’amante, dalla quale ha avuto due figlie. Xiuling stima molto il regista An (che la adora), nonché la produttrice dello spettacolo, la signora Cong – sua cognata, peraltro – ma accetta il ruolo soprattutto per motivi economici, cosa che non riesce ad ammettere, specie con se stessa. Anche Yuwen porta con sé il peso di un passato che non riesce a sostenere: la relazione fugace con un famoso regista di Hong Kong, maturata sul set del film che la lanciò al successo e il conseguente aborto.

Mentre l’ex diva guarda con pregiudizio alla collega, Yuwen subisce fin dai primi giorni il fascino della donna, talvolta sbagliando le battute del copione o la posizione sul palcoscenico, provando nei suoi confronti un senso di inadeguatezza. A riflettori spenti entrambe si rifuggono, ostentando uno snobismo dietro al quale tentano di nascondere le loro insicurezze. La spinta a superare questi ostacoli proviene da altre donne, che fanno parte dei loro éntourages, e dalla loro reciproca conoscenza. Da parte di Xiuling, è la giovane assistente a farla uscire da dietro un muro fatto di auto-compatimento e inganno, con parole decise e talvolta risentite (spinte anche da qualche bicchierino di troppo), così come la signora Cong, che riesce a tranquillizzarla dal punto di vista economico. Ma è soprattutto nella relazione con Sha, agente di moda e confidente sincera (sua fan sin da ragazzina), che Xiuling trova nuove motivazioni, riconciliandosi con se stessa.

Ciò che accomuna di più le due donne è l’esperienza della solitudine, in un mondo in cui ogni azione è volta a difesa della propria immagine, quindi dei propri interessi. Dietro la facciata di una professionista sicura di sé, che viaggia in Ferrari e indossa abiti costosi, si nasconde la fragilità di una donna che non ha ancora definito la sua identità. Sulla consapevolezza di questa fragilità comune Xiuling e Sha basano il loro profondo legame, talvolta ambiguo (l’attrice andrà su tutte le furie quando scopre che la sua amica più intima ha stretto un rapporto con l’éntourage della collega-rivale, chiassoso ed esagerato): Sha si dimostra sempre dolce con una donna che per lei è quasi oggetto di venerazione, anche a fronte di un’omosessualità accennata. A lei l’attrice confida i propri timori di artista e di madre (la nostalgia per un figlio lontano, che sta vivendo le sue prime esperienze amorose), trovando sincero conforto.

La relazione fra Xiuling e Sha occupa una posizione centrale nel film, i cui momenti di maggior sospensione si condensano proprio intorno alle loro figure, emergendo chiaramente dalla scansione regolare e definita che contraddistingue l’opera. Significativa in tal senso è la sequenza che mostra Sha seguire la prova canora dell’amica da dietro le quinte: una serie di mini ralenti di breve durata rappresenta la donna muoversi con emozione, rapita dal talento di Xiuling, intervallati dai piani dell’attrice che domina il palco con seducente eleganza. Soluzione che “rompe” con lo stile di ripresa dinamico che caratterizza il ritmo complessivo del film.

Come Sha, Yuwen nasconde una personalità sensibile dietro l’apparenza di una donna forte, determinata a proseguire una carriera di successi e la presunzione di uno staff che la isola dagli altri. L’attrice reagisce alla pressione del confronto con un orgoglio sfrontato che la porterà, a pochi giorni dalle prove generali, a reclamare “più spazio” nello spettacolo, dichiarandosi insoddisfatta del proprio ruolo e imponendo la modifica del copione: diktat che provocherà un malore al regista e autore, An. A ben vedere, nel complesso quadro di relazioni tracciato nel film, la posizione di Yuwen appare come la più instabile, almeno dal punto di vista affettivo. Non riesce ad avvicinare nessuno, come rinchiusa in una gabbia emotiva dalla quale sembra impossibile evadere: Yuwen avverte l’impossibilità di superare i traumi passati concentrandosi unicamente sul presente. E l’incontro freddo e casuale con Mozi, l’uomo con il quale aveva avuto una storia, la porterà a ricercare un contatto più vero con gli altri. Il suo atteggiamento cambia, anche sul palcoscenico, lasciando da parte le sue pretese sul copione e accettando addirittura la direzione di Xiuling, in attesa che il regista si rimetta per le prove generali dello spettacolo. Il dialogo finale, che ha luogo la sera prima dell’esordio di “Due sorelle”, restituisce il senso di una serenità ritrovata, enfatizzata da piani d’insieme che rendono anche omaggio allo splendore notturno della downtown di Hong Kong.

Alla rappresentazione del mondo che gira intorno ai due personaggi principali, Stanley Kwan (insieme a Wong Kar-wai, maestro indiscusso del cinema hongkonghese contemporaneo) affida anche un’amara riflessione sulle dinamiche dello star system nel suo Paese, denunciando lo stato di un’industria seriamente provata da una crisi che pare inarrestabile. Le tracce di una colpa che affonda le sue radici nel recente passato sono visibili nella figura del regista Mozi; ma Kwan si spinge ancora più in là, rimarcando a chiare lettere la corruzione di un sistema che, a suo parere, è ormai morto, come si nota nell’episodio in cui Yuwen, a bordo di un taxi, è riconosciuta dall’autista, il quale si dichiara un ex regista (“Il cinema di Hong Kong è morto. Adesso non giriamo più film, guidiamo taxi”, dice in  tono grottesco). Nel processo di riemersione del passato della giovane attrice c’è spazio per l’autocitazione diretta, con quel Rouge che aveva consacrato il nome di Stanley Kwan nel 1988,  agli Hong Kong Film Awards: chissà che l’autore non identifichi anch’esso con le colpe “antiche”…

Nello stesso modo in cui il regista si sofferma sulle delicate fasi dell’allestimento di un’opera teatrale, evitando la rappresentazione della “prima”, così preferisce concentrarsi sulla rinascita interiore di due donne che riscoprono la speranza, lasciando intravedere la genesi di un’amicizia. “Nervi da debutto” appunto, non il debutto. A Kwan interessa soprattutto indagare le tappe di questo processo che si sviluppa in un mondo tutto al femminile, declinato in tutte le sue forme e sensibilità, e che emerge per confessioni intime nella quiete ovattata di un camerino, davanti ai bicchieri semivuoti e ai posacenere, nella penombra di una stanza d’albergo, o al tavolino di un cocktail bar.

Il regista hongkonghese firma un’opera sentita, che intreccia vita e arte.

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