Prosegue con il secondo concerto Leggerezza la Stagione 2018-2019 dell’Orchestra Filarmonica di Torino, proponendo Barocco e contemporaneo in un unico programma.
–
_di Silvia Ferrannini
Leggerezza non è superficialità. Leggerezza è cumulo di cirri, carezzevole suggestione, obiezione all’esagitata frenesia che confonde e arena il pensiero. La leggerezza non ti allontana mai veramente da te stesso, ma chiede di partecipare a un’altra dimensione: quella in cui ogni cosa diventa semplice, e mai futile.
Che sia la fioritura barocca o il minimalismo delle forme, la musica sa creare mondi altri. Lo faceva Arcangelo Corelli con i suoi concerti grossi, lo ribadivano Francesco Geminiani e Vivaldi che cercavano il canto anche nello strumento. Esprimevano questa volontà Philip Glass e Arvo Pärt con i loro pulviscoli di arpeggi, che recuperando la fonte stessa del suono (essenziale, pulita, sovente mistica) evocavano una lontananza che non è mai stata tanto vicina alla radice stessa dell’essere.
–
Tanto il Barocco quanto il contemporaneo indagano altri microcosmi, senza mai prendere le distanza dall’unica verità a loro (e a noi) accessibile: la purezza del suono, della voce e delle loro emanazioni. Questo, per loro, era il solo modo di divagare in leggerezza senza perdere di vista se stessi.
–
–
È l’anima lieve della semplicità da cui nasce l’arte che accomuna con un sottile filo le musiche in programma per il concerto Leggerezza dell’Orchestra Filarmonica di Torino (guidata dal violino concertante di Sergio Lamberto), autentica esplorazione di linguaggi non tanto simili tra loro quanto coerenti ad una precisa idea di fare musica. Il Concerto Grosso op. 6 n. 1 in re maggiore di Corelli parte con una certa indecisione ma spicca il volo nell‘Allegro finale, quasi a imprimere nelle menti dell’uditorio qualcosa di nettamente diverso a ciò che seguirà, ossia le affascinanti progressioni armoniche (assai espressive, dato che furono pensare per la pièce di Beckett) di Company di Glass. Segue l’esuberanza del Concerto Grosso op. 6 n. 1 di Händel che va a braccetto con la densità sinfonica di Geminiani, che sfociano sorprendentemente nell’intensa contemplazione di quell’anima baltica di Pärt e della sua Silouan’s Song.
–
Si fa chiudere il tutto a Vivaldi e nel connubio di sapere e fantasia che erompe dal Concerto op. 3 n. 2 in sol minore tratto da L’Estro Armonico, chiudendo così il cerchio magico della volatile espressione e della plasticità formale che il concerto dell’Orchestra ha voluto tracciare con pochi e semplici punti.