All’inizio del suo nuovo tour abbiamo raggiunto Davide Petrella, un artista, è il caso dire, a “tutto tondo” dato che nella sua giovane seppur ricca carriera ha già rivestito il ruolo di leader della band indie-rock Le Strisce ed ha collaborato con il meglio del meglio del pop mainstream italiano nelle vesti di autore. Adesso torna con un progetto solista, “Litigare” che definisce “onesto come mai prima d’ora”. Ci facciamo spiegare che cosa vuol dire.
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_di Mattia Nesto
La prima cosa che mi ha incuriosito a proposito del tuo nuovo disco “Litigare” è stata leggere nel comunicato stampa questa frase: “Litigare è un disco onesto”. Ecco trovo sia un concetto molto importante che però rischia, se non viene contestualizzato, di parere un po’ paraculo, passami il termine: ecco spiegaci un po’ perché il tuo album è onesto.
Fin da ragazzino ho sempre amato giocare con le parole e con la musica e il fatto, da grande, di poterci campare è qualcosa di incredibile per me, un vero e proprio regalo. Detto questo ho scelto di definire onesto questo disco perché, innanzi tutto, è onesto e sincero nei miei confronti. Avevo infatti già pronto un altro disco prima di questo, già fatto e finito, consegnato all’etichetta e con tutte le canzoni registrare. Ma quello non mi rappresentava, questo sì. Nella mia esperienza come artista e autore, ma anche produttore, ho potuto appurare come se fai qualcosa in modo onesto non è detto che sarà clamorosamente bella come opera ma sarai in pace con te stesso. E sono convinto che anche il pubblico ciò lo comprenderà bene.
Come saranno questa serie di concerti?
Guarda noi partiamo da Milano e ho pensato che lo stesso album “Litigare” si presterebbe, addirittura, per essere portato in giro un po’ alla stregua degli album rap o trap, cioè semplicemente con un computer e delle basi sotto dove cantarci. Tuttavia per me è fondamentale la dimensione live e il contatto, non solo col pubblico, ma proprio con i musicisti. Per questo motivo, usando l’elettronica naturalmente, porteremo set molto suonati nei concerti che saranno concerti e show ibridati, dove i generi si mescoleranno e i confini non ci saranno.
Tornando all’album “Litigare” mescola molto le carte in tavola, ibridando stili e generi musicali anche molto distanti da loro. Questo tua attitudine al sincretismo, diciamo così, fa parte della tua persona/personalità oppure è scelta consapevole per questo disco?
È, credo, un’evoluzione diretta causata dalla mia carriera e dalle mie esperienze. Avere suonato in una band indie e poi avere avuto a che fare con artisti molto diversi da quell’ambiente mi ha sicuramente permesso di conoscere un gradiente molto largo di stili, idee, attitudini nel mondo della musica e sono convinto di esserne uscito, anche se non vuol dire assolutamente che non farò l’autore anche in futuro, anzi, più ricco e con maggiori frecce nel mio arco. Ecco spiegata l’ibridazione, perché è naturale conseguenza della mia vita prima come persona e poi come artista.
«È cresciuta la gente che va ai concerti, sono cresciute il numero di date che si possono, in tutta Italia, realizzare anche con, relativamente, poco sforzo. È un periodo liquido, l’ideale per chi vuole viaggiare nella musica come me»
“Alla fine è un po’ d’amore a salvarci tutti”: quanto credi in questa frase?
Sono molto ma molto convinto di questa frase. So perfettamente che parlare d’amore sia al tempo stesso facile, perché lo fanno tutti, ma anche difficile, proprio perché lo fanno tutti. E dato che tutti, o per meglio dire, tantissimi nella musica italiana di oggi trattano ancora l’amore con toni melensi e zuccherosi, ho cercato in questo album di affrancarmi da tutto ciò, tentando di avere una mia personale voce e visione dell’amore. Sono convinto di esserci riuscito anche grazie all’abbandono di tutti i formalismi di tanto, troppo, pop contemporaneo.
Hai esordito nel mondo musicale con “Le Strisce” (al tempo in cui l’indie era indie e il mainstream era mainstream verrebbe da dire): quali sono le principali differenze da quel periodo e questo?
Penso che la vera e propria differenza tra quel mondo e questo era che prima le due scene non comunicavano, non c’era scambio. Locali e circuiti di Serie A erano inavvicinabili per chi, come ad esempio no de Le Strisce, avevamo anche un buon seguito a livello di fan-base. Era impossibile, mondi troppo diversi. Adesso le cose sono molto cambiate anche grazie ad idee innovative ed ad uno spirito propulsivo in primis dei locali e dei promotori. È cresciuta la gente che va ai concerti, sono cresciute il numero di date che si possono, in tutta Italia, realizzare anche con, relativamente, poco sforzo. È un periodo liquido, l’ideale per chi vuole viaggiare nella musica come me.
Proseguendo nella tua carriera sappiamo che hai scritto per, praticamente, tutto il pop “che conta” italiano: da Cesare Cremonini a Jovanotti, Elisa, J-Ax & Fedez, Gianna Nannini, Fabri Fibra fino a Gué Pequeno. Cosa ha significato per te scrivere per questi artisti?
Anche quando mi sono approcciato ai grandi ho sempre mantenuto un atteggiamento schietto. Cioè tu puoi avere cento o un milione di follower ma se quello che fai è valido e ha contenuto io ti supporto fino alla morte. Devo crederci in quello che fai per scrivere una canzone per te, ecco perché non ne compongo mai di pre-fatte ma devo sempre lavorare fianco a fianco con l’artista di turno. Ed è proprio così, lavorando fianco a fianco, che si scoprono e si assorbono i trucchi e i comportamenti giusti del mestiere. O almeno lo spero!
Non possiamo dire tu sia un artista “regolare”, nel senso che hai tantissime sfaccettature: e tra dieci anni dove ti vedi? Compositore, paroliere, autore, arrangiatore, producer, musicista o cosa?
Ma sai che proprio non ci penso o meglio ci penso ma non riesco ad avere un pensiero preciso, netto. So che sarà comunque un futuro nel mondo della musica perché è quello che so fare e ciò è indubbio, poi in che modo e in che veste non lo so. Forse l’unico vero grande desiderio è quello di non fare sempre e costantemente la vita del nomade, per così dire, e trovare un po’ di stabilità anche proprio geografica. Poi con quali vestiti addosso trovo sia una nota di secondaria importanza! Ciò che conta è vivere nella musica ancora e ancora e ancora.