[INTERVISTA] Tra le pagine di CasaSirio

Pubblicano le parole degli altri, noi vogliamo far parlare loro: le case editrici. Marchi storici oppure realtà underground, eclettiche o iper-specializzate, alla ricerca di talenti a chilometro zero oppure di nomi internazionali poco distribuiti. Mettiamo il naso tra le pagine delle loro bozze, per raccontare il loro modus operandi e la loro poetica. 

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_di Lorenzo Giannetti

Oggi andiamo alla scoperta di CasaSirio, una realtà giovane, intraprendente e “graffiante”: come si intuisce immediatamente dalle risposte del nostro interlocutore Martino Ferrario, direttore della casa editrice “col gatto nero”.

Partiamo da una domanda di rito, tuttavia declinata in un modo più specifico del solito: non ti chiedo semplicemente “come è nata CasaSirio” bensì se ricordi proprio la “scintilla iniziale”, quel momento in cui hai deciso-capito che doveva nascere CasaSirio. E, chiaramente, come mai hai o avete scelto questo nome.

Ehm, ecco, la scintilla iniziale è imbarazzante. Finito di studiare, avevo iniziato a lavorare per varie case editrici, librerie editrici e service editoriali [ci tengo a dire che non ero una persona noiosa come può sembrare, giocavo ancora a calcio a ottimo livello, facevo serate e follie di cui mi pentivo sia il giorno che le settimane dopo]. Comunque, tutte avevano un unico e meraviglioso punto in comune: prendevo poco o nulla. Un giorno mi sono trovato a lavorare su un libro di meditazione col gong. Eccola la scintilla. In quel momento ho deciso che avrei lavorato solo su libri che amavo, e l’ho proposto alle altre con cui abbiamo poi fondato la casa editrice.
Il nome invece viene dalla casa di Torino in cui vivevamo io e buona parte delle fondatrici durante gli studi. Stavamo in via Madama, accanto al Colosseo, ed eravamo troppi per la casa e, soprattutto, per il citofono. Così gli avevamo scritto sopra CASASIRIO, dal nome di Sirio, il mio gatto, che viveva (e vive tuttora) con noi. Quando poi abbiamo deciso di fondare la casa editrice dei libri che amavamo, beh, siamo stati quasi costretti a darle il nome di un posto che abbiamo amato alla follia.
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Un ricordo legato al primissimo libro pubblicato?

Claudio Metallo, COME UNA FOGLIA AL VENTO, 5 dicembre 2014 a Milano, quartiere Isola. Piove che Dio la manda, ho bevuto troppi spritz prima della presentazione, mi metto in fondo alla sala per fare le foto e non essere visto e lascio la parola a Carolina, una delle fondatrici. Alla seconda domanda svela il finale del libro. Blackout (ma, ci tengo a dirlo, Claudio non si è incazzato).

Ci piace entrare un po’ nel “backstage” delle attività culturale quindi procediamo con qualche dettaglio logistico: quanti siete a lavorare a CasaSirio, dove lavorate e come funziona una giornata di lavoro “standard”? In tal senso, qual è l’aneddoto più assurdo-bizzarro-curioso che vi è capitato in anni di lavoro?

Dipende dai giorni, ogni tanto due, ogni tanto sei. La costante però è lavorare tutti con l’ansia (di cui, modestamente, sono uno dei principali esponenti mondiali). Lavoriamo un po’ dalla nostra sede a Roma, poi da Torino, Milano, Genova e Venezia. Una delle cose più belle di questo lavoro è che la giornata standard non esiste. Ci sono giorni in cui devi fare editing a libri o traduzioni dalle 8 alle 24, giorni in cui curi più la parte commerciale, giorni in cui hai presentazioni, incontri, eventi e giorni in cui queste tre cose si sommano. Poi ci sono le fiere (bellissime, ma troppe), gli eventi in giro (io, per esempio, l’anno scorso ho dormito fuori casa per più di 160 giorni, potrei fare una nuova mappa italiana degli hotel) e il commercialista (che non commento).

Per quanto riguarda aneddoti folli, ne abbiamo parecchi (al punto che ogni tanto ci chiediamo se, alla fine, non siamo noi i casi umani). Uno dei più divertenti è stato quando, in fiera a Messina, alle 3 del mattino mi squilla il telefono. Faccio una precisazione: io, per esperienze di quando ero più piccolo, non spengo né silenzio il telefono quando vado a dormire, mi è capitato troppe volte di essere buttato giù dal letto per bisogni di amici che avevano fatto qualche danno (e viceversa, sia chiaro). Comunque, alle 3 parte a suonare e vedo un numero di 8000 cifre. Rispondo biascicando qualcosa di incomprensibile, e dall’altra parte c’è qualcuno che parla inglese e mi dice quanto è felice di pubblicare con noi. Ci ho messo dieci minuti a capire chi fosse. E a spiegargli che da noi erano le 3 e che si dormiva. Poi però ero così felice che mi sono arato la città a piedi, in pantaloncini da calcio e giubbotto, finché non ho trovato un bar per festeggiare a suon di birre (scadenti, non era proprio il posto più frequentato e ben visto della città).

La vostra sede è a Roma ma ovviamente siete molto attivi su tutto il territorio italiano. La mia domanda va a parere fuori dai confini nazionali però: dal vostro punto di vista, quanto può essere difficile per un editore “indipendente” aprirsi al mercato estero? Diciamo europeo, per cominciare. O almeno, come vivete voi la questione.

Guarda, il problema principale è che non ci sono molti lettori di italiano nelle case editrici estere, e questo porta i nostri libri a essere letti dopo i vari i big e i vari premi, e ancora più spesso a non essere letti (voglio dire, se sommiamo i big di tutti gli editori grandi e medi, più tutti i premi, servirebbe una batteria di lettori più che una persona sola). Detto ciò, facciamo quello che per noi è quasi un mantra, se picchi il muro con la testa abbastanza volte e abbastanza forte prima o poi viene giù.
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In foto: Martino Ferrario
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So che proponete anche dei corsi: come li organizzate e come funzionano fino ad ora?

Abbiamo appena lanciato un videocorso su come scrivere una storia (cosa che non fa nessuno, se non sbaglio) che sta funzionando molto bene, abbiamo già un po’ di studenti e sono molto contenti. È stato un esperimento, ma adesso ci piacerebbe farne altri. Dall’altro lato, da fine ottobre, una volta al mese, lanceremo dei mega “seminari” sui vari lavori che ruotano attorno al libro, chiamando solo i meglio professionisti e cercando di fare classi ristrette e che possano mettersi alla prova di continuo. L’idea, anche vedendo chi si propone di lavorare con noi, è che ci sia una valanga di formazione teorica e zero (o quasi) di lavoro pratico, così noi chiamiamo solo chi quel lavoro lo fa, e lo fa divinamente, per provare a passarlo ad altri. Il primo, il 27 e 28 ottobre, sarà tenuto da Walter Bergero, che lavora alla narrativa straniera di Einaudi e che mette le mani su testi di scrittori che fanno venire i brividi di piacere solo a nominarli.

Mi piacciono molto anche i nomi delle vostre sezioni – esempi: “i riottosi” o “gli sciamani”. Avete in programma di aggiungerne altre?

No, per piacere! Spero davvero di fermarci su queste per un po’ di tempo! Alla fine, gli eXtra hanno solo due libri, i Morti&StraMorti tre: il lavoro adesso è farle diventare indimenticabili.

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Vi definite “pop”, in maniera risoluta, senza giri di parole: mi piacerebbe approfondire questo concetto, a me molto caro.
Io stesso – ad esempio – rivendico spesso un approccio-afflato “pop” per il progetto OUTsiders webzine.

Io credo sia davvero una delle cose utili a invertire la rotta (discendente, tendente al baratro) dei lettori in Italia. Leggere è bello, è divertente, è anche entrare in una storia senza troppe rotture di coglioni. Non è sempre così, vero, ma non può nemmeno essere sempre una cosa adatta a gente iper-colta. Che cazzo, io prima dei vent’anni ho fatto presenza in abbastanza questure (non solo italiane) da poterci scrivere le recensioni in stile TripAdvisor, sono uscito con 60 e un calcio nel culo di quelli forti dal liceo e fatto cose che ammetterò solo con accanto il mio avvocato, ma leggevo. E questo mi ha regalato un lavoro.

Domanda da un milione di dollari o quanto meno da scriverci un saggio breve, me ne rendo conto.
Come vedete la situazione delle librerie indipendenti in Italia e quella dei grandi festival di letteratura? Dal Salone del Libro a eventi più “di nicchia”. Secondo voi ci sono segnali incoraggianti? La risposta del pubblico? E la cooperazione tra voi editori?

Io sono sempre per il “meno eventi, più lavoro dietro le quinte”. Ci sono troppi festival, troppe fiere, troppi soldi buttati in questo e quel mega evento che poi parla sempre e solo ai lettori forti (oltre a essere un enorme onanismo dell’organizzatore). Se una parte dei soldi che vengono spesi per questi eventi finissero, che so, nel formare gli studenti (non aprirò il capitolo “leggere a scuola”, ci sarebbero talmente tante cose da dire che nemmeno il viaggio che sto facendo adesso – da Roma ad Aosta, lungo bene o male come Roma-San Francisco, solo con più scali – mi basterebbe), nell’avvicinare i libri a chi li vede come oggetti lontani e irraggiungibili, nell’aiutare editori e librerie a non essere affossati e quindi poter pensare al meglio (anche) al loro territorio, ecco, secondo me la tendenza al baratro si potrebbe invertire in tempi relativamente brevi.
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Detto ciò, la cooperazione tra editori è meravigliosa. Ci diamo una mano, ci consigliamo (e sconsigliamo), andiamo a giocare al pallone assieme, dormiamo gli uni a casa degli altri, cresciamo. Confrontarmi di continuo con i miei colleghi, più o meno grandi, mi ha fatto crescere tantissimo.

 

Adoro il vostro logo! Il gatto nero è praticamente uno stato d’animo ed uno stile di vita per me. Raccontateci come è nato/perché il gatto nero/ chi lo ha realizzato? 

Il gatto è SIRIO, il nostro gatto, che viveva con noi nella CasaSirio originale, quella enorme casa torinese dove, in un modo o nell’altro, hanno vissuto tutti fondatori di CasaSirio. Lo hanno fatto Chiara Mazzotta e Flavia Sorato, le nostre grafiche, e nella realtà il gatto è di un’antipatia rara.

Classicone dei progetti futuri, dai! 

Rimanere in piedi e riuscire a pagare tutti (sembra una cazzata, ma… no, non lo sembra).

Per quanto riguarda i progetti editoriali, abbiamo tante cose in testa e molte altre nei PC (e pure un paio che mi frullano in testa ma non riesco a capire dove cazzo vogliano andare), così ti racconto del progetto natalizio. Il 6 dicembre esce L’ITALIA AI TEMPI DEL PALLONE, il racconto – meravigliosamente illustrato – della storia d’Italia attraverso i suoi calciatori. Lo ha scritto Darwin Pastorin e pensato e illustrato Andrea Bozzo e sarà dinamite.

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In ultimo, divaghiamo un po’: da nerd musicale quale sono non ho potuto fare a meno di notare all’interno del vostro catalogo “La Notte che suonò Sven Vath” di Lucio Aimasso. Dunque non posso esimermi dal chiedervi qual è secondo voi la “colonna sonora” di CasaSirio: tre canzoni che rispecchiano la vostra poetica-personalità.

Guarda, il bello di CasaSirio è che ci sono milioni di canzoni che rispecchiano la nostra idea, qualcuna per un motivo, altre per un altro, tante perché sono state la nostra colonna sonora mentre lavoravamo i libri o mentre li leggevamo la prima volta. Ogni libro ha – per me, ma non l’ho mai condivisa con le altre – una sua colonna sonora più o meno ideale, ma dato che sto andando di supercazzola che manco il conte Mascetti, te ne provo a dire tre che rappresentano la mia CasaSirio:
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– Articolo 31 – “Bestie Mutanti” (che se l’è combattuta fino alla fine coi Dogo) —> siamo un po’ tamarri e un po’ fuori
– Bruce Springsteen (metti un po’ quella che vuoi) —> i libri che vogliamo pubblicare, storie che intrattengono e tirano pugni allo stomaco
– Bloody Beetroots e Tommy Lee – “RAW” —> non tanto per la canzone, ma per cosa rappresentano loro e il loro incontro
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Grazie Martino, personalmente mi piace molto questo spirito un po’ funkytarro (o zarrogante?!) e un po’ working class! 

Ti è piaciuta la chiacchierata? Spulcia QUI il sito di CasaSirio!

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