Torino Spiritualità si è concluso da pochi giorni e il luccicante alone di sospensione e di pace ancora aleggia tra le vie della città e nella casa-madre del festival al Circolo dei Lettori. Dove si sente il bisogno di rallentare, dove si alzano gli occhi per guardare il cielo, dove si sceglie di dire no per aprirsi a qualcos’altro, qualcosa di profondamente nostro e giusto. Qui ciò che insegna Asha Phillips, la psicoterapeuta che ha tagliato il nastro della manifestazione nella suggestiva location di San Filippo Neri.
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_di Giorgia Bollati
Respirare, ritrovare la coscienza della propria fisicità. In un’epoca di velocità accelerate, interconnessioni virtuali e rumori assordanti, è bene ogni tanto fermarsi e riflettere, per svuotare le profonde cavità della nostra mente e del nostro corpo, e per accogliere quello che viene. In questi tempi di violenza, occorre re imparare a essere miti, a placare gli animi e a godere dei piccoli istanti di quiete e apertura. Ed è necessario, per poter essere liberi, imparare a dire di no, non come espressione di uno spirito di contrapposizione, ma no come resistenza intima, no che spinge al raccoglimento e quindi alla sopravvivenza, no dell’autoconservazione, che torce l’umanità e fa percepire il soprassalto interiore.
I no che aiutano a crescere, come scrive Asha Phillips, e che permettono di volare alto, sono quelli che ricompongono, che rimettono insieme lo spirito, quelli che portano con loro una forza di eversione tale da permettere di andare un po’ più in là. Non no come barriera, ma come negazione fiera per tutto ciò che deve essere salvato.
La psicoterapeuta britannica, chiamata a inaugurare l’edizione 2018 di Torino Spiritualità, si pone a risoluta difesa di questi no. Grazie alla meditazione e alla focalizzazione, Phillips intraprende un percorso di accettazione di un rifiuto che si allontana dagli indicibili imperativi estremisti del fascismo e dell’ideologia hippy, e lo riporta a una dimensione tutta umana e intima. Il no che si professa in sede di Torino Spiritualità è molto più difficile, è una vera lezione per la cura di sé ed è un limite che, se posto, fa sentire sicuri. Derivato dall’accettazione della fallibilità del mondo e dell’uomo che lo abita, porta alla compassione che dona la serenità, che permette di passare dalla modalità del fare a quella dell’essere, per ritrovare se stessi e le proprie emozioni.
Da qui si ritrova la libertà: dal poter assaporare le proprie personali sensazioni nel qui e ora, senza dare la colpa ad altri o desiderare che la situazione sia diversa.