Il racconto della prima giornata di TOdays Festival

Siamo sinceri: difficilmente la quarta edizione del TOdays festival poteva iniziare meglio di così. Iniziamo raccontandovi cosa è successo ieri a sPAZIO211, in una serata che curiosamente segna un ritorno alle chitarre come denominatore comune di Indianizer, Bud Spencer Blues Explosion, King Gizzard & the Lizard Wizard e The War on Drugs. Volumi alti, tantissime presenze e nessun intoppo per l’appuntamento che tutti aspettavamo con grande fermento.

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_di Enrico Viarengo

Gli Indianizer attaccano senza esitazione, forti di un’estate in giro per l’Italia (per chi volesse recuperarli, questa sera al Balla coi Cinghiali) per promuovere il loro ultimo spaziale “Zenith”. La chitarra e i mantra vocali di Riccardo Salvini si appoggiano su costanti pattern ipnotici dal sapore psichedelico geograficamente distanti da qualsiasi produzione nostrana: circa 20 minuti di viaggio cosmico tra percussioni e riff acidi, poche note reiterate come arma finalizzata a far ciondolare il pubblico di sPAZIO 211, compreso quello ancora in coda. Local heroes promossi a pieni voti e che, insieme alla creatura strettamente connessa che porta il nome di Foxhound, rappresentano il meglio che la città possa esportare a livello nazionale e non solo.

Il prato di via Cigna è già brulicante per il set dei Bud Spencer Blues Explosion. La band di Adriano Viterbini, con alle spalle ormai più di 10 anni di costante attività live, si presenta sul palco in formazione allargata per decretare che il rock’n’roll, in Italia, è ancora vivo. I quattro romani suonano più sporchi e grintosi del solito, concedendosi, senza troppi indugi, un breve siparietto di presentazioni e saluti vari. Inutile dire che tutto continua a ruotare attorno alla chitarra del leader di bianco vestito, che detta il tempo anche quando perde i freni nelle impeccabili dimostrazioni di virtuosismi eseguiti ormai a occhi chiusi e pose plastiche di grande effetto. Tra i nuovi pezzi di “Vivi muori blues ripeti”, uscito quest’anno per La Tempesta Dischi, c’è anche spazio per brani più datati come la sempre efficace cover di “Hey boy hey girl” dei Chemical Brothers. I BSBE saranno forse anacronistici in questo 2018 ITPOP, ma continuano ad avere un’appagante (e appagata) nicchia di fan sfegatati che difficilmente si stancherà di questa contagiosa irruenza blues.

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I pronostici meteo vengono fortunatamente disattesi e tutto continua a filare liscissimo in questa prima giornata di TOdays, iniziata già nel pomeriggio con una serie di appuntamenti, laboratori e workshop dislocati tra la Galleria d’Arte Gagliardi e Domke e l’Arca Studios, all’interno dei Docks Dora. Il pubblico numerosissimo e in odore di sold-out scalpita con curiosità, tra birre e burger dai nomi di celebri rock band, in attesa degli australiani King Gizzard & the Lizard Wizard. Una premessa doverosa: la band di Melbourne ha sfornato 13 album in 8 anni di attività, 5 dei quali pubblicati solo nel 2017, in una corsa record contro il tempo e forse, pare legittimo chiederselo, contro una più serena vita sociale extra-musicale. La critica è quasi unanime in una valutazione da quattro stelle in su e le voci di corridoio sembrano affermare che la dimensione live sia ancora più incredibile: sensazioni confermate in questa unica data italiana che sorprende anche i più perplessi e tradizionali followers dei War on Drugs. I Gizzard si presentano in 7, tre chitarre e due batterie. Dirige la folle orchestra Stu Mackenzie, capellone alla voce, chitarra, flauto e tastiere. La scaletta è un ipotetico Greatest Hits con rincorsa continua, BPM sempre sostenutissimi e attitudine punk di una band di neanche trentenni, un set anarchico, divertente e multiforme per il quale le etichette di genere diventano superflue. In un’ora abbondante di concerto c’è tutto, dalla psichedelia più pura (e certamente amata dagli opener Indianizer) al progressive rock, dagli accenni jazz schizofrenici alle derive quasi epic-metal, con quel treno costante di basso e chitarre stoppate che fa venire in mente dei Deep Purple sotto acidi pesanti che a sorpresa tirano fuori anche l’armonica davanti a un pubblico meravigliato e sorridente. Pubblico che chissà se avrà voglia di tuffarsi nella loro discografia sconfinata, ma che certamente sarà andato a dormire divertito canticchiando Rattlesnake.

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Ci pensano gli attesissimi War on Drugs a riportare tutto alla normalità: lo fanno probabilmente con sofferenza iniziale dopo il set memorabile dei King Gizzard, partendo in quinta con la springsteeniana e più datata “Baby Missiles” e la sognante “Pain”, per poi ingranare con la più dimessa “Strangest Thing”, che si apre in tutto il suo splendore malinconico di ricami chitarristici. La band di Adam Granduciel non ha certo inventato nulla di nuovo, ma ripesca con una semplicità encomiabile, sincera e sentita quei grandi classici made in USA. “Lost in the Dream” e “A Deeper Understanding” restano due tra gli album più consumati e trasversali degli ultimi anni, capaci di mettere d’accordo i papà fermi al Boss e a Tom Petty e i rispettivi figli ancora sedotti da grazia e compostezza analogica. The War on Drugs suonano impeccabili, con una batteria-metronomo al limite della banalità che riesce comunque a scandire il tempo in quell’oceano di riverberi così omogeneo da risultare divisivo: i War on Drugs possono fare sbadigliare o andare dritto al cuore dell’ascoltatore, ma l’aspetto strettamente performativo è ineccepibile.

Non si poteva chiudere meglio – in una atmosfera sempre rilassata, tra cambi palco puntualissimi e performance all’altezza delle aspettative – questa prima serata di festival, proseguita poi tra le mura dell’ex-Incet con Coma Cose e Mount Kimbie; e già capace di saziare le diecimila persone arrivate da tutta Italia e dall’estero per un evento che resta il fiore all’occhiello dell’estate torinese.

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All pics by Miriam Corona