Un’infanzia passata tra Congo e Belgio e un’irrefrenabile voglia di fare i bagagli e vedere (e ascoltare) il mondo intero: Témé Tan arriva in Italia per il suo primo tour solista e a luglio approda sul Main Stage di Apolide Festival. L’abbiamo intervistato in occasione del live a Vialfrè e ci siamo fatti raccontare esperienze, sogni e curiosità dell’artista belga.
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_di Alessia Giazzi
Una chioma di ricci ribelli e il viso pulito di un ragazzino: l’Italia ha visto solo una fugace apparizione di Témé Tan. Era il 2017 e Tanguy Haesevoets saliva da solo sul palco ad aprire il live dei tedeschi Milky Chance. E’ passato più di un anno da quella performance e stavolta Témé Tan torna in Italia a presentare il suo album con un tour a lui dedicato.
One-man band che strizza l’occhio a Stromae e Jain nelle sue influenze africaneggianti, l’artista belga-congolese salirà sul Main Stage di Apolide Festival venerdì 20 luglio: abbiamo scambiato due chiacchiere con lui ficcanasando tra i suoi appunti di viaggio, alla ricerca delle origini delle sonorità che rendono la musica di Témé Tan un souvenir degli angoli più nascosti del globo.
La lista di posti che hai visitato è notevole: oltre ad aver trascorso la tua infanzia tra Congo e Belgio hai viaggiato in Brasile, Giappone, Perù, Norvegia, Guinea e hai anche vissuto in Spagna. Possiamo quindi affermare che il viaggio sia una costante nella tua vita. In che modo i posti e le culture che hai incrociato finora hanno finito per influenzare la tua musica?
Come prima cosa direi che mi lascio ispirare dai diversi tipi di musica dei posti in cui viaggio, non nel senso che prendo nota o campiono e inserisco direttamente nelle mie registrazione, scelgo soltanto suggestioni diverse, ritmi diversi e, in qualche modo, li assorbo e internalizzo per poi farli uscire nella mia musica. Direi quindi che la musica che ascolto in un pub o piuttosto in un supermarket, mi piace ascoltare le hit locali. Poi il desiderio di scoprire cose nuove apre la mia mente e mi fa venir voglia di scrivere riguardo diversi argomenti e esplorare diverse tematiche che magari non avrei mai trattato se avessi passato tutta la mia vita in Belgio.
Quindi è più una questione di curiosità.
Sì, direi di sì. Dico spesso che le mie due passioni nella vita sono la musica e viaggiare ma in realtà penso che siano la musica e scoprire cose nuove. Non significa sempre dover andare lontano, posso anche decidere – nella mia città natale in Belgio – di andare in quel posto in cui non sono mai stato, andare da solo e magari incontrare nuove persone. Mi piace mettermi alla prova in situazioni difficili per vedere che cosa può succedere.
Nella tua produzione musicale emergono generi diversi, da ritmi tribali a influenze disco e inserti elettronici. Oltre ai luoghi in cui sei stato, ci sono degli artisti in particolare che ti hanno influenzato?
Il mio primo riferimento riguardo il cantato arriva dalla musica pop congolese come ad esempio Papa Wemba. Oltre a questo, ascolto tanti artisti brasiliani del movimento tropicalista come Gilberto Gil, João Gilberto, Jorge Ben, Chico Buarque. Stavo provando a imparare a suonare la chitarra e ho iniziato ad ascoltare samba brasiliana e bossa nova e penso che abbiamo nutrito la mia conoscenza e il mio bagaglio di accordi. E infine, direi molte persone della scena hip hop che lavorano con MPC e campionatori, persone che creavano beat dai suoni che poi sarebbero diventati registrazioni vere e proprie.
Come nasce una canzone di Témé Tan? Da dove parte il processo creativo?
Di solito dipende dalla canzone, ogni canzone ha il suo processo: a volte inizia con me che cammino – cammino un sacco, mi piace camminare quando visito altre città – poi a volte mi entra in testa una melodia mentre cammino e ci aggiungo delle parole. Parto da quelle melodie e cerco un ritmo, aggiungo un drum pattern e magari canto un “lalala” e provo a cercare gli accordi alla chitarra o alla tastiera. E’ un processo molto istintivo e primordiale che poi si estende a macchine e dispositivi elettronici.
Il tuo approccio alla musica sembra seguire la filosofia del DIY: oltre ad essere un musicista autodidatta, hai finito per diventare il tuo stesso produttore. C’è una ragione particolare che ti ha fatto decidere di imbarcarti in questa avventura in solitaria?
Mi piace viaggiare da solo, penso di avere più opportunità ed è più facile rispetto a quando porto un amico con me. Molte opportunità di registrare o collaborare con altri artisti arrivano spesso quando sono da solo alla scoperta di un Paese. In realtà mi piace essere solitario, ho scoperto essere un modo per entrare in contatto con persone nuove, creare nuove connessioni, per me non è difficile stare da solo sul palco come in viaggio.
Nel tuo album canti principalmente in francese, ma si possono trovare anche un paio di canzoni in inglese e qualche fugace apparizione di espressioni africane. Viaggiare ha anche influenzato il modo in cui canti?
Certo, cerco sempre di immedesimarmi nella lingua del Paese che sto visitando. Apre la tua mente e, inoltre, il linguaggio riflette il modo in cui le persone pensano, il modo in cui costruiamo la frase non è lo stesso in tutte le lingue. Quando inizi a interessarti alla lingua e alle altre culture scopri, prima di tutto, che persone diverse possono avere molto in comune ma anche che persone che appartengono alla stessa realtà interpretano le cose in modo diverso a seconda dell’influenza che hanno la loro cultura, il Paese in cui vivono, ciò che le circonda – dove vivono, la natura, la televisione. Sento che più entro in contatto con diversi modi di pensare e riesco a vedere le cose da un punto di vista differente, più realizzo che il mio stesso punto di vista e il mio modo di pensare vengono arricchiti da questi nuovi spunti, mi danno una percezione più ampia del mondo in cui vivo. Vorrei conoscere ogni parte del mondo, anche se la vita è troppo breve per farlo!
Stai per partire per il tuo primo tour solista in Italia ma in realtà ha già avuto un primo contatto con il nostro Paese nella tua carriera. Hai avuto modo di collaborare con l’artista e produttore italiano Go Dugong per registrare la canzone Shifumi, estratto del suo nuovo album. Come vi siete conosciuti e come siete finiti a registrare insieme?
Beh, parlando di viaggi è curioso perché io e Go Dugong ci siamo conosciuti perché dovevo suonare a Milano e ho prenotato una stanza su Airbnb. Go Dugong era il fidanzato della ragazza che mi ospitava! È così che ci siamo conosciuti! Sai, quando stai in un Airbnb hai diverse opzioni: puoi farti dare le chiavi, fare le tue cose e tornare solo per dormire oppure puoi cogliere l’occasione per conoscere persone nuove e scambiare due parole con loro. Quella volta li invitai allo show e iniziammo a parlare del fatto che fossi un musicista, quindi la ragazza mi disse che anche il suo fidanzato era un musicista e che sarebbe passato di là. La sera seguente ci siamo conosciuti, abbiamo iniziato a parlare di musica e abbiamo detto “Dovremmo fare una canzone insieme” e così è stato!
Avete scoperto qualche connessione particolare da un punto di vista musicale?
Sì, certo, anche lui è appassionato di registrazione dei suoni, quando viaggiamo ci piace registrare suoni dalla natura ad esempio, anche lui agisce nello stesso modo e trasferisce tutto in musica. Abbiamo iniziato a parlare principalmente per questo motivo, anche lui usa il dittafono, è lì che abbiamo stabilito una connessione, insieme al fatto che unisce elementi acustici ed elettronici e vuole far ballare la gente!
Quello che vedremo sul palco di Apolide Festival sarà un one-man show. Come ti senti a salire sul palco e affrontare il pubblico da solo?
Beh, è da un po’ che lo faccio quindi ora sono mi trovo a mio agio. Ovviamente ti senti sempre più forte e sicuro di te stesso quando sei circondato da musicisti, inoltre quando sei da solo sul palco puoi contare solo tu te stesso e sei l’unica persona che puoi incolpare se qualcosa va storto: mi piace poter dedicare meno energie a controllare cosa sta succedendo sul palco attorno a me. Oltretutto ti senti maggiormente a contatto con il pubblico, ci siamo praticamente io e loro, si crea un legame molto intenso con la folla quando sei da solo sul palco. È una situazione intima.
Cosa ti aspetti per il futuro? Ci dici un posto in cui vorresti viaggiare e un artista con cui vorresti collaborare?
In realtà ho diverse mete nel cassetto! Ultimamente si parla molto di una possibile Terza Guerra Mondiale e la tensione attorno al globo è palpabile, specie quando si parla della Corea del Nord: sarei curioso di visitare quei Paesi che avranno un ruolo cruciale per il futuro del nostro pianeta. Parlavo di Corea del Nord, ma penso anche che la Cina abbia un ruolo fondamentale per quanto riguarda l’economia mondiale, vorrei andare lì per vedere e capire come si vive in quella parte del mondo perché è importante per il futuro dell’ecologia e dell’economia. Vorrei anche tornare in Sudafrica e conoscere chi fa musica lì, il Sudafrica è una delle maggiori zone artistiche in Africa.
Un artista? Il mio sogno sarebbe collaborare con Frank Ocean.
Per quanto riguarda il mio futuro, sono sempre in esplorazione: ho iniziato a lavorare al mio secondo album per cui sto collaborando con altre persone su musica e testi, voglio che il risultato sia partecipato, più l’album di un collettivo che quello di un solista. Sarà sempre un album di Témé Tan ma voglio che diventi un’opera collettiva.