Rolling Stones li ha definiti “America’s Most Exciting Punk Band”: i Downtown Boys tornano in Italia per sei date imperdibili e martedì 5 giugno approdano al Blah Blah di Torino. Abbiamo parlato con Victoria Ruiz e Joey La Neve DeFrancesco di musica, attivismo e di cosa significa essere una band politicamente impegnata oggi.
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_Alessia Giazzi
Multietnici, poliglotti, agguerriti e senza peli sulla lingua: i Downtown Boys, band di Providence, onorano la tradizione che fa del punk un genere politically oriented toccando temi che spaziano dalla lotta a razzismo e sessismo fino all’alienazione dell’individuo e alla critica al capitalismo, il tutto a cavallo tra lingua inglese e spagnola. È il 2011 quando il chitarrista Joey La Neve DeFrancesco e la vocalist Victoria Ruiz danno vita al progetto e, dopo l’omonimo disco di esordio e la seconda fatica in studio Full Communism del 2014, la punk band americana riesce ad approdare alla Sub Pop di Guy Picciotto per la stesura dell’ultimo Cost Of Living.
In occasione del tour europeo, che toccherà l’Italia per sei date, abbiamo scambiato due parole con Victoria Ruiz e Joey La Neve DeFrancesco per capire cosa ci aspetterà il 5 giugno al Blah Blah di Torino.
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I temi delle vostre canzoni gravitano spesso attorno a tematiche di stampo politico e sociale, tra cui la lotta al sessimo, il razzismo e la violenza, tra gli altri. Qual è il vostro rapporto con l’attivismo? Come avete finito per fonderlo con la musica?
Ruiz: Gran parte di questa fusione si è verificata in seguito ad esperienze personali e alla necessità di cantare canzoni che avessero significato molto anche se fossimo stati noi stessi ad ascoltarle. Non è niente di super premeditato in realtà, è una conseguenza delle nostre esperienze.
Pensate che la musica abbiamo qualche tipo di responsabilità sociale in quanto mezzo di comunicazione?
Ruiz: Non penso sia tanto una responsabilità quanto un’opportunità. Nonostante questo, niente è mai completo o perfetto da solo, quindi anche se affrontiamo certe battaglie, sappiamo che è impossibile includere tutto o arrivare a tutti, per questo non mettiamo quello che facciamo su un piedistallo. Piuttosto, facciamo parte di una tradizione di artisti che vogliono fare della propria forma di espressione una documentazione delle proprie esperienze.
Sentite che ciò che state facendo con musica e performance possa portare le persone a porsi domande o eventualmente ad un’azione concreta? Avete mai avuto esperienze dirette al riguardo?
Ruiz: Ci sono state persone che ci hanno detto di aver creato delle band o di essersi sentite incoraggiate a provare a parlare di cosa stava succedendo nelle proprie comunità perché avevano visto noi farlo. Non penso che ci sia sempre un gruppo o una persona o un momento che possa portare a qualche tipo di rivoluzione, si tratta più di una somma delle parti. Speriamo di aver fatto qualcosa per ispirare questo atteggiamento.
DeFrancesco: C’è certamente un ruolo per la musica e per la cultura: possono unire persone all’interno di comunità, diffondere informazioni, servire come uno sfogo che ci permetta di continuare a lottare. Ovviamente, da sole non bastano a portare a un cambiamento. Si tratta di un piccolo strumento nell’ampio toolkit di cui abbiamo bisogno per forzare i cambiamenti. Facciamo tutto quello che ci è possibile per creare direttamente queste connessioni – ad esempio questo mese abbiamo suonato al Workers Revival Fest a Kansas City, un festival sponsorizzato dai sindacati, e lo show ha potuto direttamente reclutare persone per varie campagne aiutandone l’organizzazione. È grandioso quando le connessioni sono così chiare, per quanto ovviamente si tratti di seminare per raccogliere in seguito.
I vostri testi sono scritti sia in inglese che in spagnolo: che ruolo ha la lingua nel comunicare un messaggio per i Downtown Boys?
Ruiz: Penso che abbia un ruolo particolarmente importante nel momento in cui riesce ad essere una chiave di accesso per le persone. Molti degli slogan o dei messaggi che cerchiamo di esprimere in spagnolo come “Somos Chulas, No Somos Pendejas” (“Siamo fighe, non siamo stupide”), sono scritte per le persone che si possono riconoscere in quel messaggio. Spesso vuol dire che i media statunitensi non sceglieranno di diffondere troppo questi pezzi a causa dell’eurocentricità dei media, ma non importa, è pur sempre un passo verso quello cambiamento che sbilancia il potere. Più che altro, lo facciamo per le persone per cui significa qualcosa.
È passato quasi un anno dall’uscita del vostro ultimo album “Cost of living”, arrivato in un momento complicato per gli USA dal punto di vista socio-politico. Su che idea si basa? Su quali temi si focalizza?
DeFrancesco: Sì, “Cost Of Living” è uscito lo scorso agosto, quindi neanche un anno fa, e le cose hanno continuato ad essere piuttosto tragiche negli Stati Uniti e nel mondo. La maggior parte di quell’album è stato scritto prima che Trump venisse eletto, per cui non è una reazione diretta alla sua elezione e forse è la prova che i temi che trattiamo sono sempre stati legati alle problematiche della nostra nazione. Trump e i suoi sostenitori li hanno certamente portati in superficie da un nuovo punto di vista ma non c’è niente di nuovo. “A Wall” per esempio, è diventata un modo per opporsi alla costruzione del muro di Trump. È un’interpretazione corretta e siamo contenti che la canzone venga usata in quel senso, ma in realtà l’abbiamo scritta pre-Trump. Si parlava già del tema del muro a quel tempo, mentre Obama stava deportando il maggior numero di persone nella storia del nostro Paese. E c’è sicuramente un significato più ampio di “A Wall” in quanto costruzione oppressiva e separatista inventata dagli uomini e che può distruggere gli uomini.
Cost of Living vi ha anche aperto le porte di una grande etichetta discografica come la Sub Pop ed è stato prodotto da Guy Picciotto dei Fugazi. Che cosa ha significato collaborare con lui ed entrare nelle dinamiche commerciali di un’etichetta maggiore?
DeFrancesco: Lavorare con Guy è stato un sogno – eravamo intimiditi all’inizio, ma lui è una persona davvero umile, gente e ci ha aiutato molto mantenendoci uniti in studio. E ovviamente ha un orecchio eccezionale per creare suoni e livelli nella musica. Per quanto riguarda Sub Pop, onestamente le cose non sono cambiate molto per noi. Sono un meraviglioso gruppo di persone e ci hanno davvero supportato molto. Hanno una distribuzione più ampia e siamo in grado di far arrivare la nostra musica e il nostro messaggio a una maggiore varietà di punti vendita e questo ci aiuta a raggiungere il nostro scopo. Ma la nostra precarietà economica, fatta del bisogno costante di lottare contro quest’industria, è tutto ciò che è rimasto uguale.
Parliamo della dimensione live. In che modo l’approccio attivista alla musica si traduce in performance? Avete una tipologia di posto o una situazione in cui vi trovate maggiormente a vostro agio?
Ruiz: È stato davvero fantastico suonare a festival che fossero parte attiva nel generare qualche tipo di messaggio o azione. Abbiamo suonato a un paio di spettacoli con “Rock Against the TPP” (Partenariato Trans-Pacifico). Tanti artisti tra cui Tom Morello e Taina Asili hanno partecipato al tour, è stato incredibile far parte di una grande lotta contro il capitalismo. Allo stesso modo, show più piccoli in città in cui non siamo mai stati ma in cui c’è una fame o un desiderio…
Come vi relazionate con il pubblico durante le performance?
DeFrancesco: Penso che ognuno di crei diversi tipi di connessioni. Siamo una band di stampo live, intenzionata a creare un legame con la folla. Victoria è una speaker incredibilmente potente e fa la maggior parte del lavoro nel forgiare questo legame con le persone. Come musicisti, cerchiamo di mettere tutti noi stessi in quel momento, oltre a incalzare lo spettacolo ed essere partecipi assieme al pubblico.
Il vostro tour europeo arriverà in Italia all’inizio di giugno: che cosa vi aspettate dal pubblico italiano?
DeFrancesco: Abbiamo suonato due volte in Italia una paio di anni fa e quelli sono stati probabilmente i nostri show preferiti del tour, quindi questa volta eravamo intenzionati ad esibirci più volte in Italia. Il pubblico è stato veramente ricettivo, ospitale e gentile con noi, quindi siamo emozionati di essere in Italia per tutta la settimana questa volta.
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