L’équipe veneta specializzata in massacri sonori scende in campo con l’ennesima riprova della sua concretezza: dall’old school alle nuove leve, l’edizione 2018 ci consegna un’altra esperienza memorabile.
–
_di Luca Cescon
Se il Venezia Hardcore Fest fosse una squadra di Serie A, sarebbe senza dubbio un mix tra il “bel giuoco” del Napoli e la concreta spavalderia della Juventus. A sei anni dall’inizio del match, la crew si schiera sul terreno con i migliori effettivi, con l’unico obiettivo di far divertire il pubblico.
Tra le centinaia di persone accorse nelle due giornate del festival, gli outsiders che non hanno mai partecipato alle precedenti edizioni si contano sulle dita di una mano: è sotto gli occhi di tutti l’aspetto ormai internazionale di questo evento, capace di catalizzare su di sé anche un buon numero di appassionati provenienti da Paesi limitrofi.
Quest’anno il menu prevedeva due portate: un antipasto, in programma per venerdì 11 maggio, in cui il release party dei Discomfort ha saziato a dovere i presenti, e il main course di sabato 12, con ben venti band suddivise tra Nitepark e Open Stage.
L’area merch, come sempre meta per aficionados di rarità legate al mondo del metal e dell’hardcore punk, ha portato alto l’onore del Belpaese grazie a punti di forza nostrani come Shove Records, F.O.A.D. Records, Grindpromotion Records ed Epidemic Records, mentre nell’attigua zona skate i più audaci si sono dati battaglia a colpi di trick.
I locali del Centro Sociale Rivolta di Marghera, che ormai sembra essere indissolubilmente legato al Venezia Hardcore Fest, si sposano alla perfezione con l’idea stessa di festival, grazie all’unione di spazi aperti e chiusi che non costringono il pubblico a rimanere bloccato all’interno di una sala fino alla fine dei set delle band, ma anzi lascia a tutti la chance di godersi una birra al sole.
Una annotazione speciale va in questo senso alle decine di volontari impegnati nell’allestimento dei palchi e nella gestione delle cucine e delle aree food, come sempre prese d’assalto nel corso di tutta la giornata. Spesso ci si dimentica di quanto sia importante per un evento autofinanziato avere il supporto di ragazzi e ragazze che si attivano semplicemente per il piacere di dare il proprio contributo, che sia preparando uno spritz o pulendo i bagni a fine giornata.
Da un punto di vista musicale, l’edizione 2018 ha mantenuto intatta la volontà dei collettivi organizzatori di alternare vecchia scuola a band della scena locale, creando così una amalgama di pubblico capace di spaziare dai punk agli skater, dagli appassionati di hardcore moderno agli ascoltatori onnivori.
Un elenco di tutte le performance rischierebbe di trasformare il resoconto della giornata in una descrizione sommaria, snaturando così la situazione che si vive ormai ogni anno in quel di Marghera: lo stage diving che impazza fin dalle prime band, gli incontri più o meno fugaci con vecchi amici o le nuove conoscenze fatte in loco davanti a una mezza dozzina di cicchetti, gli organizzatori che si dannano per completare i cambi palco nel minor tempo possibile e per rispettare la rigidissima quanto obbligata tabella di marcia.
Nel corso degli anni la presa bene è sempre stata elevata, soprattutto quando a transitare sopra ai due palchi sono state band come Dead Swans, Dufresne, Trash Talk e i Cro-Mags di Harley Flanagan.
Quest’anno nell’aria la foga era ancora più palpabile, grazie al primo live a distanza di anni dei The Secret, band che non ha bisogno di essere introdotta in alcun modo, grazie a un CV che strizza l’occhio al demonio senza vergogna alcuna. Il loro set, oscuro e mortifero, ha sostanzialmente segnato una linea di demarcazione importante per tutte quelle che saranno le edizioni a venire del VEHC Fest.
Gli stessi Integrity, nome senza ombra di dubbio fondamentale nel panorama hardcore/metal degli ultimi decenni, sono stati quasi “scalzati” dal trono di gruppo di punta della giornata, anche grazie a live dall’impatto notevole come quelli di Cripple Bastards, Bull Brigade e No Turning Back.
In avvio, menzione particolare ai rientranti Oltrezona, accolti a braccia aperte da un pubblico che non li ha mai dimenticati, e ai Coldburn, con il loro hardcore tutt’altro che scontato, senza dimenticare gli statunitensi The Rememberables, per tutti i fan dell’emo/shoegaze.
Come ogni hanno, va rimarcato come questo festival sia sinonimo di quantità e di qualità: da un lato, si cerca di offrire il maggior numero di band possibili, accostando generi non sempre simili; dall’altro, la proposta raggiunge un livello altissimo in termini di nomi presentati in scaletta, il che non è poco per un festival che si sostiene grazie alla forza della collettività e al senso di appartenenza dei singoli.