Elegante e raffinata, la cantautrice e polistrumentista di Brooklyn ha suonato in un Teatro Colosseo completamente sold out.
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_di Edoardo D’Amato
La carriera di Norah Jones non è certo stata lineare: nel corso di questi quindici anni l’artista americana ha voluto sempre sperimentare, non sempre riuscendo però a trovare la formula giusta. Ma andiamo con ordine: il suo disco d’esordio “Come Away With Me” del 2002 aveva spiazzato tutti: il mercato discografico (c’è voluto “21” di Adele per superarlo come album più venduto del nuovo millennio), il pubblico (ammaliato non solo dai suoi pezzi – indubbiamente ben fatti – e della sua incredibile voce, ma anche da quel suo visino dolce e intrigante) e la critica (vinse cinque grammy, tra cui “Album of the Year” e “Song of the Year” per “Don’t Know Why”).
Insomma, un esordio col botto a cui sono seguiti dischi che hanno provato a replicare quella magia senza riuscirci (l’ultimo “Day Breaks”), altri con cui invece Norah ha cambiato registro (l’interessante “…Little Broken Hearts”) e altri in cui si è mostrata semplicemente poco ispirata (in “Not Too Late” manca un po’ di coraggio). In mezzo lo sfizioso incontro con Billie Joe Armstrong, con cui ha realizzato un album tributo agli Everly Brothers. Brani old school della tradizione americana reinterprestate, registrate e pubblicate dal duo americano nel 1958, coverizzate da Norah e Billie con una classe infinita.
Al netto di tutto ciò, al netto del fatto che Norah Jones è un artista dalle capacità straordinarie (vocali e strumentali in primis) ma sulla cui originalità e creatività qualcosa da appuntare ci sarebbe (e l’ultimo lavoro sembra testimoniarlo), ebbene, come suona dal vivo? Si presenta in formazione jazz classica, ovvero batteria, basso/contrabbasso e lei al piano. Mancano i fiati, ma l’assenza non si nota. La scena se la prende quasi totalmente lei nonostante il phisique du role di Chris Thomas, che più che suonare sembra abbracciare il suo contrabbasso. Ha un’incredibile tecnica vocale e musicale, oltre ad uno charme pazzesco, un magnetismo che ti attrae non appena mette piede sul palco, e non ti molla più.
La cornice del Teatro Colosseo è poi perfetta per un trio che in 90 minuti ripercorre una discografia che – pur essendo non priva di passi falsi – sciorina una hit dietro l’altra. Dalla succitata “Don’t Know Why” alla sempre bellissima “Sunrise”, non puoi far altro che stare lì ad ammirarla.
Certamente non provvista delle doti compositive e creative di una Erykah Badu ad esempio (ma stiamo proprio parlando di due mondi diversi), Norah Jones sa essere fascinosa nella sua essenza classica: anche live sembra aver abbandonato i tentativi di sperimentazione, preferendo puntare alla soglia dei suoi quarant’anni su una formula collaudata. Su un suono pulito, lindo e che riesce per un’ora e mezza a riconciliarti col mondo. E non è poco.
Foto in copertina e nell’articolo a cura di Franco Rodi