Se cercate un racconto razionale, schematico e logicamente funzionante, non andate a vedere La forma dell’acqua. Se invece siete in grado di mettere da parte la logica e abbandonarvi a un mondo fiabesco e deliziosamente romantico, allora la creazione di Guillermo del Toro è uno dei migliori film che possiate trovare quest’anno.
–
_di Giulia Scabin
Pochi registi sono in grado di rendere “romantico” il genere fantascientifico: del Toro è uno di quelli.
Una meravigliosa favola adulta, che forse solo il regista messicano poteva dirigere (e pensare): una ragazza affetta da mutismo, nella Baltimora del 1962 e della Guerra Fredda, lavora come addetta alle pulizie in un laboratorio governativo, dove scopre l’esistenza di una creatura anfibia umanoide sulla quale vengono condotti sanguinosi esperimenti. Guidata da compassione e interesse, Eliza (interpretata dalla bravissima e adorabile Sally Hawkins) costruirà un legame unico e prezioso con lo strano uomo-pesce , e con l’aiuto della sua collega afroamericana (Octavia Spencer) e del suo vicino di casa omosessuale (Richard Jenkins) deciderà di salvarlo.
I tre personaggi attorno ai quali si muove la narrazione sono individui emarginati, in possesso di caratteristiche considerate “sbagliate” negli Stati Uniti degli anni ’60: avere un handicap fisico, essere afroamericani, essere omosessuali. Nell’atipica favola del regista messicano, i mostri hanno infatti aspetto ordinario, e sono i diversi gli unici a capire “la bestia”.
La crudeltà e l’insensibilità umane prendono forma nelle travolgenti doti recitative di Michael Shannon, il cattivo perfetto: nelle vesti del violento colonnello Strickland, l’attore di Animali Notturni e Revolutionary Road mette i brividi ogni volta che entra in scena.
Un film elettrico, da guardare e amare, da riguardare e amare di nuovo: puro e gentile, La forma dell’acqua è un’opera contro giudizio e intolleranza, che celebra la natura meravigliosa dell’amore e smaschera la triste banalità del cinismo.
Già premiata per la miglior regia ai Golden Globe e come miglior film a Venezia, l’atipica love story di del Toro vanta 13 candidature agli Oscar (nell’ultimo decennio superata solo da Lalaland), tra le quali miglior film, miglior regia, e migliore attrice protagonista a Sally Hawkins, che senza mai dire una parola è una presenza meravigliosamente magnetica dall’inizio alla fine del film.
Un’opera molto personale per il regista (che ha dichiarato essere la creazione della quale è più fiero) che, complici una colonna sonora assolutamente perfetta (premiata ai Golden Globe), un’ambientazione favolosa e una regia visionaria, riesce a ricordarci quanto siamo, siamo stati, e saremo sempre innamorati del cinema.
Con le sue numerose citazioni (prima tra tutte ovviamente a Il mostro della laguna nera, del 1945) La forma dell’acqua è un film facilmente amabile da chi conosce e ama il cinema classico: ogni inquadratura è una meraviglia e niente è lì per caso.
Uno dei maggiori meriti che del Toro qui ha avuto come regista e scrittore è stato quello di riuscire a creare una favola “adulta”: pur nel suo contesto fiabesco, il film non manca infatti di rappresentare gli impulsi umani più fisici e carnali, dalla violenza al sesso (nelle sue svariate forme, dalla masturbazione al “fare l’amore”). I due protagonisti non si tengono semplicemente per mano come nelle più innocenti delle fiabe, ma si desiderano l’un l’altra e trasformano quel desiderio in attrazione sessuale.
«Come l’acqua prende la forma del recipiente che va a riempire,
così l’amore del cinema di del Toro non ha una forma prestabilita,
ma assume le sembianze più inusuali»
Il film esplora inoltre la nostra percezione riguardo cosa definiamo (e quindi accettiamo) come amore e cosa no. Se la perfetta famiglia americana di Strickland nasconde in realtà un rapporto coniugale abusivo e sterile, il legame tra una donna e una creatura marina umanoide, che definiremmo istintivamente come un abominio, è invece dolce e basato sul reciproco rispetto. Il regista ci accompagna quindi in un’analisi sui rapporti amorosi molto più profonda di quanto possa apparire.
Non manca certo qualche lacuna nella costruzione del racconto e, soprattutto, nello schema logico della narrazione.
Eppure, se ci s’immerge nel film di del Toro come ci si immerge in una favola, appare ovvio che tali incongruenze logiche non hanno minima importanza in questo genere di racconto, e nel quadro generale il film funziona alla perfezione.
D’altronde, le capacità registiche di Guillermo del Toro non sono certo quelle di un autore capace di costruire trame e schemi narrativi ineccepibili e perfettamente logici (al contrario). Ma ancora una volta il regista mostra la sua più grande e straordinaria abilità: quella di essere un costruttore di mondi, fisici e sentimentali, straordinari e fantastici, che fanno spalancare gli occhi per la meraviglia e riempiono il cuore di luccichii.
Come l’acqua prende la forma del recipiente che va a riempire, così l’amore del cinema di del Toro non ha una forma prestabilita, ma assume le sembianze più inusuali. Se questo film cerca di insegnare qualcosa, quel qualcosa è: qualsiasi tipo di affetto abbiamo la fortuna di trovare nelle peripezie della vita, facciamone tesoro. In fondo l’amore (in tutte le sue forme) è tutto ciò che abbiamo.
The Shape of Water è in programmazione al Cinema Massimo: clicca qui per tutte le info.