Il racconto del live bolognese di uno dei Maestri dell’Afrobeat.
Promemoria1: Cercare di scrivere un articolo su Tony Allen senza nominare Fela Kuti.
Promemoria2: In effetti è troppo difficile
Sudato e luccicante come un paio di occhiali a specchio, volto solcato da linee di corteccia d’ebano: Tony si erge su di un trono di rullanti scintillanti. Che le danze abbiano inizio.
Tony Allen è l’Africa, o in un certo senso, buona parte dell’Africa, eppure ascoltando la sua musica è anche molto Europa: si intercettano suoni e arrangiamenti ormai comuni ai più meticciati del par terre musicale europeo (Thom Yorke, Damon Albarn, Air). Ma è un inganno, e chiudendo gli occhi, abbandonandosi agli ipnotici beat del maestro e all’estro di un ensemble compatto di ottimi musicisti, è come scoprire un nuovo antenato dell’uomo. Certe produzioni musicali ti mettono di fronte a un esercizio infinito di rimandi e citazioni che il rischio è di perdersi agli albori del suono.
Il pubblico del Locomotiv ha accolto con estremo calore e con caldo impeto la venuta del profeta. Si vede che a Bologna l’Afrobeat piace, ne è testimone anche la dolcissima partecipazione di Tony Allen alle prove del Laboratorio Sociale di Afrobeat, avvenute sempre al Locomotiv il giorno prima (in “quasi” totale segretezza per evitare facili assembramenti di idolatri voodoo) e gestito da Guglielmo Pagnozzi (leader di quei Voodoo Sound Club pronipoti felsinei del Fela pensiero) L’alchimia di suoni, esperienze, sogni e sorrisi è perfetta, e il sudore bolle e balla come il sangue. “Don’t Take My Kindness For Weakness!”
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