Fellini, Savinio e Céline sono i tre autori scelti dalla Produzione TPE per muovere una feroce critica alla società, all’interno di un contesto surreale e grottesco. Vi raccontiamo lo spettacolo andato in scena dal 1° al 26 novembre.
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_di Giorgia Bollati
Tendoni scuri ed un minimale palco nero: dietro al palcoscenico della grande sala del Teatro Astra, c’è un antro segreto, una finestra acuta e privilegiata aperta sui meccanismi del mondo. Attraverso la lente di Alberto Gozzi, il paesaggio che si osserva passa da essere quello in cui muoveva i primi passi un giovane Federico Fellini, che tra il 1942 e il 1943 calpestava il suolo dell’Isola delle canzonette, a quello di un borghese salotto saviniano, o ancora a quello dello studio di un meschino professor Y in compagnia di un implacabile Celine. La Produzione TPE sceglie tre cambi di scena, tre travestimenti, per declinare una spietata quanto sottile critica alla società, a quella di un tempo come a quella di oggi, materialista, dominata dai biechi interessi di una massa di arrivisti.
Alberto Gozzi sceglie uno scrittore di favole intento ad assaggiare le scenette da cui sviluppare i suoi scritti per proiettare il pubblico nel mondo dello spettacolo, nella scrittura protocinematografica di un Fellini che ancora collaborava con Marc’Aurelio.
Eleni Molos, Anna Montalenti, Gianluigi Pizzetti e Francesco Benedetto mettono abilmente in scena la compravendita dei sogni di un popolo disperato alla ricerca di una salvifica illusione, costruiscono il capriccioso retroscena di una replica di La Fiaccola sotto il moggio di D’Annunzio e raccontano i truffaldini arrabattamenti di una chiromante, servendosi degli escamotage del doppiaggio e di diverse intensità di illuminazione che allargano lo spazio, proiettano il pubblico in dimensioni fittizie e aprono finestre nuove all’interno di quelle già aperte.
Dal grottesco di Fellini al surreale di Savinio, la Compagnia veste i panni di un’onorata famiglia borghese che, tuttavia, all’interno di uno salotto supera ogni convenzione e sfuma i suoi contorni, in ricordi e racconti in bilico tra passato e presente, racchiusi nelle parole pronunciate dalle poltrone, segrete custodi di vite dissimulate ma pronte ad abbattersi in tutta la loro concretezza su un inerme uomo borghese.
D’improvviso si comprende la realtà nascosta dietro le apparenze, e la sua vista non è più sostenibile: “gli uomini non sanno guardare i paesaggi che popolano l’aria, la credono vuota”. Con l’ultimo appuntamento, la critica si fa più mirata e, attraverso le parole dell’emarginato Céline, diventa ancora più aspra l’analisi del mondo intellettuale e letterario, fatto di libri mediocri che vendono bene.
Un magistrale Gianluigi Pizzetti sostiene il monologo dello scrittore di fronte al giornalista Eleni Molos, in un aperto contrasto umano e artistico, esaltato dalle luci e dalla scenografia minimale. Alberto Gozzi costruisce un percorso attraverso tre tappe legate da un sottile fil rouge, da un biasimo generale per la società civile, fatta di affabulazioni ed espedienti, da imprevedibili matasse di polvere che oscurano la vista, e da abbonamenti ai sogni brutti che vengono disdetti, tutto nell’ingenua speranza di costruire un mondo di dolcezze.