La Sala Upload di Barcellona è un locale dal fascino magnetico e mutevole, che si adatta ai vari eventi che ospita. Abbiamo assistito alle sue mutazioni in due distinte occasioni: il concerto dei Kaleidoscope, band psichedelica inglese, e quello degli Shores of Null, formazione metal italiana. Ve li raccontiamo con i testi di Roberta D’Orazio e un’illustrazione di Marcelo Videla.
Gli antichi romani chiamavano Genius Loci una sorta di entità soprannaturale che animava alcuni luoghi, rendendoli vibranti di energia. Una sorta di spirito innato che popola teatri, città, palazzi, non più scenario, ma materia viva, capace di reagire, di crescere, di trasformarsi. Sensibile al fascino delle ampie piazze come dei locali che brulicano di vita notturna, ho sempre creduto in questo.
La Sala Upload ha un palco con le tende rosse. Il pavimento è una scacchiera, i colori ricordano la Red Room di Twin Peaks. In una settimana, mi trovo qui in due diverse occasioni. La prima, il concerto dei Kaleidoscope, band psichedelica inglese attiva tra la fine dei 60 e l’inizio dei 70. la seconda, il live degli Shores of Null, formazione metal italiana che condivide il palco con gli Harakiri for the sky e Perennial Isolation. Interessante è notare come la sala adatti la propria natura agli eventi ospitati.
È un martedì sera e prima ancora che i Kaleidoscope salgano sul palco mi soffermo a guardare il pubblico. Un uomo e una donna, vestiti in maniera più o meno consapevole da John Lennon y Yoko Ono, si fanno foto con i presenti. Bizzarro è l’anacronismo: per raggiungere la prima fila, sfilo tra vestiti con fantasie geometriche e pantaloni a zampa, ma anche tra sneakers e t-shirt provenienti dall’età contemporanea. Chi è davvero fuori dal tempo?
Quando Peter Daltrey, carismatico leader della band, entra in scena, non posso decifrare il suo sguardo, farfalla distratta che si posa, a volte, sul leggio, a volte in un vuoto indefinito. Non so dire se sia presente mentre interpreta, dopo svariati lustri, i successi di Tangerine Dream, il primo album della formazione. I suoi compagni sono molto più giovani di lui, ma il pubblico è nelle sue mani e reagisce con vere e proprie esplosioni di gioia a quei brani in cui riecheggiano i Pink Floyd e la spensieratezza di alcuni pezzi dei Beatles, e numerosi altri rimandi a tutto ciò che creò l’immaginario di un’epoca. Mi soffermo su quanto sia bizzarro che esista, tra pubblico e artisti, una sorta di mutuo accordo silenzioso con cui si mettono in scena, da una parte e dall’altra delle tende rosse di un teatro, usi e costumi di un tempo passato.
Ogni sussurro è un omaggio a tutto ciò di cui Daltrey sembra sentire nostalgia. Sembra stanco, a volte, e il mio cuore si domanda se ancora ami quello che sta facendo. I miei dubbi si dissipano solo sul finale dello show, quando la band si lascia andare all’unico momento davvero psichedelico della serata: rompendo gli schemi fino a quel momento proposti, Daltrey si impossessa del synth, il resto della band viaggia seguendo la sua improvvisazione. Si interrompe ogni riferimento ad altri artisti e la band, agitata dallo sciamano, esprime finalmente se stessa. C’è suono, c’è rumore e, finalmente, una gioia sincera. Il pubblico è disorientato, ed è in quegli abbondanti dieci minuti di delirio che mi innamoro dei Kaleidoscope.
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Due sere dopo, il posto è lo stesso, ma lo scenario che si prospetta è totalmente distinto. Tra il pubblico si agitano lunghe chiome, il dresscode previsto stanotte non ammette colori. Eppure la costante è il viaggio, per sua natura volubile: se con i Kaleidoscope l’accezione era perlopiù psichedelica, gli Shores of Null mi parlano di spostamenti reali. Sarà Davide Straccione, frontman della band, a raccontarmi ridendo: “La polizia aragonese ci ha multato non appena abbiamo messo piede in Spagna perché a detta loro ho invaso ripetutamente la carreggiata opposta. A parte questo la vita in camper ci fa essere molto responsabili, cucinare on the road, cercare docce nelle stazioni di servizio con una app per camionisti, evitare le autostrade francesi per non diventare poveri.”
Barcellona reagisce positivamente – come le altre città europee visitate durante il Trauma Tour 2017 – alla presenza degli Shores of Null e la Sala Upload è gremita di oscure presenze: quella del pubblico, e quelle che si agitano nei brani di una band straordinariamente coesa pur accogliendo elementi attivi in progetti distinti (Zippo, The Orange Man Theory, Noumeno, Mens Phrenetica ed Il Grande Scisma D’Oriente). Un’impressionante doppia cassa supporta la tessitura ritmica di un basso impietoso, le dita sulle chitarre scalano la tastiera alla ricerca di accordi dolorosi. La voce di Davide conduce questo viaggio nelle crepe del doom: la facilità dei passaggi tra la pulizia cristallina con cui regge le note più impervie e i momenti in cui lo scarto tra growl e screaming è immediato mi lasciano sempre sorpresa, nonostante non sia la prima volta che io lo veda sul palco.
Da tanta oscurità lui stesso sfugge, ripercorrendo altri momenti di questo tour intenso: “Un aftershow party a Nantes con Harkiri for the sky e Sylvaine che è finita a schifo ad ascoltare Gigi d’agostino e cantare Po po ro poo, po po ro pooh, dopo che qualcuno aveva fatto attivare l’allarme antincendio con una sigaretta elettronica.”
Alla domanda più seria, quella su come possa una band proveniente da una realtà sotterranea e spesso provinciale arrivare a totalizzare quasi 45.000 mila visualizzazioni su Youtube e partire per un tour europeo, Davide risponde con umiltà: “Al giorno d’oggi i numeri lasciano il tempo che trovano, qualche decina di migliaia di visualizzazioni sono una goccia nell’oceano considerando quanta è vasta la proposta musicale odierna. Si fa molta fatica ad emergere ma certamente suonare in giro è il modo migliore per farsi conoscere e costruire una fan base. Sul come arrivare ai palchi internazionali non so risponderti poiché credo ci sia ancora tanta strada da fare.”
E se il viaggio è ancora lungo, altrettanto grande è la volontà di ascoltarli ancora.
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