Scritto dal drammaturgo Stefano Massini e diretto da Michele Placido, al Teatro Bellini di Napoli arriva una storia di pregiudizi e discriminazioni.
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_di Luigi Affabile
Sul palco una scenografia essenziale: una cattedra al centro e qualche sedia. Le luci si accendono lentamente, pronte a riscaldare le tavole di legno e il pubblico in sala. Entra in scena il protagonista: il professor Ardeche (interpretato da uno straordinario Fabrizio Bentivoglio), un insegnante di lettere disilluso di una scuola media della banlieue di Tolosa. Con uno sguardo rassegnato e arrendevole inizia la sua storia “Tutte diverse le mie classi e tutte uguali…”. Di colpo, va in scena l’innocenza.
Il professore inzia a presentarci i suoi alunni; alunni che più che un nome e un cognome, hanno un identificativo più profondo per lui: i soprannomi. Il boss e il suo bodyguard, la missionaria, la falsaria, l’invisibile e così via. Ma soprattutto, faremo conoscenza con i genitori di questi ragazzi nell’ora di ricevimento, ogni giovedì dalle 11 alle 12. Islamici, indiani, cattolici, ebrei di diverse nazionalità compongono una classe minacciata da differenze discordanti e problematiche sociali. Dopo aver offerto uno spaccato della crisi dei diritti civili delle lavoratrici di una fabbrica con 7 minuti, Massini ci porta stavolta in uno scenario che non è tanto distante da ciò che avviene nelle nostre periferie.
«Un racconto traumatico, in cui il modello educativo
è vittima del degrado e dell’indifferenza»
Dopo tanti anni di lavoro, in quella scuola fatiscente di Les Izards, a nulla sono servite le letture di Voltaire, Baudelaire e Rabelais. Nemmeno l’entusiasmo del professor Saint-Pierre (un abilissimo Francesco Bolo Rossini), un ingenuo supplente di matematica inconsapevole della cruda realtà; è riuscito a smuovere l’animo disincantato e malinconico del professor Ardeche. Il testo scorre leggero, tra ironia e sarcasmo; la regia pulita, allo stesso tempo colorata, ci regala personaggi liberi di denudarsi di fronte ai loro pregiudizi e alle loro contraddizioni.
L’ora di ricevimento è uno spettacolo che riguarda tutti, nessuno escluso. Distaccato e cinico, questo racconto ci ricorda l’importanza della cultura, un valore sempre più ai margini della nostra società “digitale e istantanea”.
La vicenda, a tratti kafkiana, sprofonda in un leggero sogno, in cui il professor Ardeche è costretto all’amara ammissione: “La verità è che alla fine io perdo.” Buio in sala. Suona la campanella, un nuovo anno scolastico sta per iniziare.