Alcuni lo hanno già definito il “Banksy di Torino”: abbiamo scambiato quattro chiacchiere con l’artista che coi suoi manifesti sbeffeggia la politica nostrana ed internazionale.
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_di Lorenzo Maccarone
Chi è l’uomo dietro i manifesti in giro per Torino che rappresentano attraverso il “Brandalism” lo scenario politico odierno? Fresco di mostra in città, lo abbiamo incontrato.
Come è stata la prima volta che hai appeso un manifesto “in girula”?
Nel 2014, avevo appeso un manifesto di 6x3m sul cavalcavia di Italia 61 con sopra tutti i politici italiani, imitando le pose del quadro di Pelizza da Volpedo. Il giorno dopo la Repubblica mi ha dedicato un articolo di due pagine.
Come è nata l’idea di una mostra vera e propria?
Perché mi incuriosiva confrontare l’ impatto che i miei manifesti possono dare in una galleria rispetto a quello delle pubblicazioni web.
Il mio intento è di creare una situazione sociale simile alla “Banalità del Male” descritta nel libro di Hannah Arendt: rendo nei miei lavori personaggi inquietanti come Erdogan e Putin, ironici ed empatici, cosi che le persone si mettano a ridere, creando una situazione ludica, e scordandosi la loro effettiva potenziale minaccia.
Come mai hai deciso di “utilizzare” molte figure politiche per i tuoi lavori?
La politica ha anche una questione morale intrinseca in se, poiché, secondo l’ accezione data da Platone, dovrebbe governare il Governo dei giusti (aristocrazia dei filosofi).
Dunque, essendo in linea teorica coloro che dovrebbero migliorare il mondo, trovo grave il fatto che oggigiorno si sta imponendo il pensiero che la classe politica stia perdendo sempre di più una coerenza ideologica e cavalchi il flusso dei social media e dell’ apparire pur di avere consensi, svuotandosi dunque di valori concettuali.
Il manifesto dei Marò era una mia palese critica al fatto che la Meloni preferiva cavalcare l’ onda di un Meme rispetto agli scritti di Ezra Pound o di altri intelletuali di destra. E’ per via di questa regressione che Trump ha vinto.
Come selezioni i luoghi dei manifesti?
Inizialmente sceglievo zone universitarie e centrali, perché erano quelle con più visibilità. Ma oggigiorno ho dei supporter che mi seguono, quindi non è più importante il luogo dove li colloco, perché loro me li fotografano e li inviano ai quotidiani.
Pensi che diventerà una moda passeggera? Cosa ne pensi di chi “segue le tue orme”? Esempio: “Fintissimi”.
Io sono schiavo del flusso di Bauman, i miei lavori emergono e poi vengono risucchiati da nuovi post di Facebook. Non so se continuerò ad essere conosciuto anche tra tre mesi.
Penso che avere “un appuntamento fisso” con i miei manifesti, dove esprimo la mia interpretazione dell’attualità sia un operazione simile a quella di Maurizio Crozza, che continua ad essere seguito anche dopo anni perché si aggiorna sempre ispirandosi alla cronaca del momento.
Se facessi sempre gli stessi lavori, perderei di attrattiva, poiché sarei monotono.
Quanto a chi segue le mie orme, non ho inventato niente, il brandalism esiste da prima che nascessi, forse la differenza dagli altri è che sono uno spettatore distaccato ed imparziale, non critico ne il sistema dell’ arte, ne la pubblicità e neanche la società, semplicemente analizzo il contemporaneo riflettendo ciò che mi sta intorno (per questo motivo la maschera che indosso è uno specchio).
Il brandalism classico, a mio avviso, talvolta rischia di perpetrare una critica sociale retorica e banale. Mi viene in mente la vignetta del capitalista con il cilindro che blocca il rubinetto del bimbo africano scheletrico. Questa è un messaggio che rischia di sfociare “nell’intellettualismo spicciolo” citato nel libro “Rumore Bianco” di Don DeLillo.
Chiudiamo coi classici progetti futuri.
Inizierò ad utilizzare anche personaggi pubblici (cantanti, imprenditori) e il prossimo lavoro sarà una risposta al manifesto di Fintissimi, ovvero la mia opinione personale sul tema dell’identità femminile nella società contemporanea.