La serie Suburra ci mostra l’altra faccia della Grande Bellezza

Prequel dell’omonimo film diretto da Stefano Sollima e prima fiction italiana prodotta da Netflix, Suburra ci accompagna nella malavita romana e nelle stanze oscure del potere.

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_di Luigi Affabile

L’Urbe, Caput Mundi, Città eterna. In una sola parola: Roma. La visione della capitale, come tante altre città nel mondo, non è legata solo alla cultura, all’arte e alla storia, ma può avere anche un lato diverso, cupo, oscuro; quello che in questo caso prende il nome di Suburra, un quartiere pericoloso e malfamato dell’antica Roma. “Sto posto non cambia da duemila anni”, con queste parole Netflix lancia uno dei prodotti della piattaforma di streaming più attesi dell’anno: Suburra, la serie tv ispirata all’omonimo film del 2015 e al romanzo omonimo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini. La prima stagione, composta da dieci episodi e diretti da Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi, ci racconta gli intrighi, i segreti e gli incontri tra gli uomini di palazzo e la criminalità romana.

Nella Piovra di Damiano Damiani si parlava di mafia e della Roma che, già a quei tempi, ne era stata contagiata. Si lavorava in Rai e poteva succedere che, durante le riprese, arrivasse la telefonata del funzionario che chiedeva di non girare quella determinata scena. Qui a Netflix la censura non esiste, c’è molta più libertà, sia nel dire sia nel fare – Michele Placido

Chiesa, politica, criminalità organizzata. Tutti seduti allo stesso banchetto.

Al centro della storia troviamo tre giovani ambiziosi: Numero8, alias Aureliano Adami (interpretato da Alessandro Borghi), criminale del litorale romano di Ostia; Spadino, alias Alberto Anacleti (la rivelazione Giacomo Ferrara), appartenente al clan degli zingari; il giovane attore italiano Eduardo Valdarnini, infine, veste i panni di Lele, un ragazzo universitario che spaccia in proprio e organizza feste per la “Roma bene”. Tre personalità diverse e affascinanati che hanno un comune obiettivo: il potere.

Nel mezzo di queste storie, c’è l’assessore Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro), un uomo idealista e disilluso alle prese con le tentazioni della corruzione; Sara Monaschi (un’affascinante Claudia Gerini) un revisore dei conti della Commissione Vaticana pronta a sporcarsi le mani pur di raggiungere i suoi scopi; il Samurai (Francesco Acquaroli), il vero re della criminalità romana, un uomo calmo e attento, impegnato a tessere rapporti con politica, chiesa e malaffare.

Suburra è un thriller politico, un’indagine shakespeariana,
un dramma raccontato con uno stile coraggioso e contemporaneo
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Ciò che affascina nella sceneggiatura è la sincerità con cui si descrivono le emozioni, ovvero la parte più intima e sentimentale dei protagonisti. Il racconto ha una struttura narrativa lucida e morbida, forse delle volte un po troppo frettolosa, ma nonostante ciò, la regia ha sicuramente il merito di aver mostrato e diretto con intrepidezza una misteriosa guerra di potere. Tragica e romantica, originale e coraggiosa, Suburra è un’orgia di potere tra Romanzo criminale e Gomorra.

Una realtà raccontata con rigore, senza maschere. Suburra ci mostra l’altro lato della grande bellezza; quella parte tetra, nuda, corrotta. Un racconto che non conosce confini, e che non si limita ad approfondire un meccanismo perverso che riguarda solo la città capitolina, ma che anzi, racchiude la metafora perfetta del nostro tempo e del nostro belpaese”.

Patrizi e plebei, politici e criminali, mignotte e preti. Saranno passati anche duemila anni da quella Suburra, ma si ha l’impressione di trovarsi davanti ad un presente che puzza di “già visto”.